Mense e dormitori per i poveri della città
Dicono a noi di stringere i denti per salvare l’Italia. Noi. E se a stento qualcuno lo fa, c’è chi non può permettersi di stringere ancora perché è lui, questa volta, a dover essere salvato. A furia di stringere, i suoi denti si stanno rompendo, tra il pane duro dei giorni addietro e il gelo che li fa sbattere gli uni contro gli altri. Dentro una baracca o una casa, che sia popolare o in affitto, o, peggio ancora, tra cartoni e coperte arraffate, dentro le stazioni, sulle panchine, sui marciapiedi.
La povertà dilaga, con la stessa velocità di un virus che annienta tutto ciò che tocca. Il disagio che porta con se è quasi untuoso e fa sentire sporchi, marchiati. Come la lebbra ai tempi di Cristo.
Il morbo della vergogna gli si trascina appresso. Una vergogna che altri dovrebbero portare addosso, come si faceva una volta con il cartello “asino”, in giro per i corridoi delle scuole. Una vergogna per cui altri dovrebbero sotterrare la testa nella sabbia. Ed invece, sono i poveri a nascondersi, fino a diventare invisibili. Facendo, inconsciamente, la volontà di chi vuol fingere che non esistano. L’importante è che riesca la “magia”. Se il trucco c’è, basta che non si veda.
E’ così in Italia ed è così a Messina. E’ così per i “vecchi” clochard ed è così per i cosiddetti nuovi poveri. Pensionati, disoccupati, genitori divorziati, ex lavoratori. La povertà, anche questa volta, non fa differenze. E quella parte di città che ai giochi di prestigio non crede, quella che non fa orecchie da mercante dinanzi alle sommesse richieste di aiuto dei poveri, dà una risposta esemplare. «Anche se molto più spesso non è la città vera e propria a rispondere, ma i privati», afferma amaramente Fratello Drago, responsabile e coordinatore della mensa e dei dormitori dell‘Istituto Cristo Re.
La risposta più esaustiva, infatti, la dà la congregazione dei Padri Rogazionisti, che, memori dell’operato di Padre Annibale Maria Di Francia, non possono rimanere impassibili dinanzi alle mani protese di chi non ha nulla.
Oltre al dormitorio provinciale e al dormitorio Don Orione, la mensa Sant’Antonio, la mensa Padre Annibale, il dormitorio maschile e il “neonato” dormitorio femminile, situati nei locali dei Padri Rogazionisti, sono la risposta concreta per i poveri della città.
Concreta e completa. Visto che a loro disposizione vi sono anche le docce, il barbiere, la distribuzione di viveri e vestiti e, in progetto, un poliambulatorio e uno sportello per gli immigrati. E se, come danno conferma Fratello Drago e i suoi stessi ospiti, molti provano ancora disagio nel chiedere ed accettare aiuto, esso viene abbandonato sulla porta quando si entra nei locali dei dormitori. Accoglienti, puliti, colorati, caldi. Per dare almeno l’illusione di essere a casa.
Sono oltre un centinaio le persone che vengono quotidianamente accolte a mensa, ed oltre quattromila, tra il 2009 e il 2011, quelle ospitate nel solo dormitorio maschile. Per lo più extracomunitari e senza tetto. Ma non mancano, anche se con una frequenza più saltuaria, pensionati, padri separati e addirittura intere famiglie. Dipende da come riescono a gestire le loro piccole entrate. E quando queste non garantiscono un pasto caldo, almeno per i figli, si ricorre alla mensa per mettere a tacere il brontolio dello stomaco.
Ma scavando nella memoria di volontaria della mensa, si riesumano anche ricordi di genitori anziani seduti ai tavoli ad attendere il pasto del giorno, poiché completamente abbandonati dai figli.
Sono, infatti, il volontariato e le auto sovvenzioni – visto che i contributi previsti dal comune si sono dimessi insieme all’assessore Aliberti – l’energia con cui si alimenta l’intera macchina, in funzione ormai da 25 anni. Volontari che cucinano, volontari che servono ai tavoli e puliscono. Volontari che, nei dormitori, lavano e stirano i vestiti dei loro ospiti e preparano loro la cena e la colazione.
Ci sono, poi, realtà più nascoste, prive di grande visibilità, ma pur sempre al servizio di chi vive in condizioni di difficoltà. Realtà che vedono, ancora una volta, la risposta dei privati oltrepassare quella comunale e commuovere. La risposta di chi ascolta, ma ascolta con il cuore. E’ il piccolo, ma delizioso dormitorio che si trova in una traversa della via La Farina. Un po’ nascosto, ma a passarci davanti, salta subito agli occhi. Una villetta color ocra con un piccolo giardinetto che, a vederlo per la prima volta verrebbe da chiedersi chi sia il fortunato proprietario. Adesso, lo sono i senza tetto. Prima, una coppia di anziani, che, privi di eredi, hanno espresso la volontà che la loro casa diventasse tetto accogliente per coloro senza fissa dimora.
La povertà chiama e Messina risponde, quindi. Ma sempre solo una parte della cittadinanza.
«Perché?» – chiediamo a Padre Vincenzo Latina, responsabile e coordinatore della Mensa S. Antonio. «Probabilmente perché la comunicazione dei mass media non basta». Per comprendere davvero una realtà che è più vicina di quanto si creda «bisogna venire a vedere». L’invito di Padre Latina ricorda molto quello dell’angelo ai pastori, esortati ad andare a vedere il figlio di Dio nato in una mangiatoia.
O forse il riferimento è tutt’altro che casuale. «Venire a vedere» e mettersi al servizio degli ultimi, perché in ciascuno di loro si può trovare Gesù.