Onore al merito? Oggi non è sempre così. La nostra è una società che punta sempre e comunque al bello, l’apparire ha assunto un ruolo importantissimo. In ogni campo è il personaggio ad avere la meglio sulla persona. Si simpatizza sempre per chi ci appare migliore, e mai per chi si mostra in maniera naturale: avviene in ogni campo, dalla politica al mondo dello spettacolo, dalla moda a quello dello sport.0
Ammiriamo gli altri per il loro successo, anche se questo ha natura effimera; invidiamo la loro popolarità, e non la loro cultura. Nei tempi moderni si afferma il trionfo dell’apparire sopra l’essere. Il nuovo sogno italiano è quello della fama facile, la scalata alla vetta del successo ricercando l’ammirazione altrui per dissetare il nostro egocentrismo. Ma è tutto oro quello che luccica? È così semplice diventare famosi senza avere una preparazione alle spalle? Con l’avvento dei social network le priorità sembrerebbero davvero capovolte rispetto al passato, un passato neanche troppo remoto: ma bastano veramente i like o tanti follower a darci l’appagamento che proviene da una vita vissuta pienamente? Per analizzare questi temi e rispondere ad alcuni interrogativi abbiamo chiesto il parere di un esperto in materia: il professor Francesco Pira, sociologo e docente di Comunicazione e Giornalismo e Coordinatore Didattico del Master in Manager della Comunicazione Pubblica del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina.
Professore, la società è cambiata. A cosa sono dovuti questi mutamenti, secondo il suo punto di vista?
“Penso che molto di quello che sta accadendo si debba attribuire alle nuove tecnologie. Tutti riportano, molto spesso anche nei convegni, la frase di Umberto Eco: “i social network hanno messo a disposizione degli imbecilli una piattaforma per poter dire tutto quello che vogliono”. Io credo che non sia questo il punto: gli imbecilli c’erano anche quando non esistevano i social, e la voglia di apparire c’è sempre stata. È vero che quella di oggi è una società particolarmente edonistica, e noi siamo proiettati a far trasparire un’immagine nostra che può non essere quella reale, ma è un’immagine che piace agli altri. Questo è il tema vero: noi non puntiamo a piacere a noi stessi, anzi spesso non ci piacciamo affatto; ma per via del meccanismo dei social pubblichiamo tutto quello che incontra il gusto altrui. È chiaro che chi ha fatto della propria vita un’operazione di marketing costante, trasformandola in un reality continuo, ha capito che esistono determinati meccanismi, che funzionano solo se alimentati opportunamente”.
Per parlare attraverso i social oggi non sembra necessario disporre di una particolare cultura. Pensa che raggiungere posizioni di successo sia alla portata di tutti?
Io rimango sempre dell’idea, e l’ho scritto anche in vari testi che firmo, che gli elementi alla base della comunicazione siano tre, e siano fondamentali per qualunque tipo di comunicazione: da quella pubblica, a quella politica, a quella d’impresa. Si tratta di: valori, contenuti e strategie. Senza uno di questi elementi è difficilissimo alimentare un processo comunicativo che sia veramente efficace. Per questo dubito che, anche con le nuove tecnologie, in mancanza di contenuti, i processi di comunicazione funzionino. Al contrario, penso che chi è riuscito ad imporsi nel mondo dei nuovi media, anche social, dei contenuti li abbia.
Al giorno d’oggi anche i matrimoni sono diventati una vetrina. Naturalmente ci riferiamo al matrimonio tra Fedez e Chiara Ferragni, sicuramente il più “social” del momento.
In questi giorni Chiara Ferragni è messa sotto accusa anche per come il suo matrimonio è diventato “social”. Io penso che lei rappresenti un caso interessantissimo dal punto di vista imprenditoriale: se una delle più grandi università al mondo ha deciso di dedicarle uno studio, vuol dire che riconosce un progetto ed una strategia, nonché la capacità concreta di ottenere dei risultati. Il fatto che l’”operazione matrimonio” le abbia consentito di incrementare i follower su Instagram da 14 milioni a 20, dimostra che questa persona è tra le più importanti influencer sulla scena. Basti pensare che si trova al terzo posto tra gli influencer più seguiti, e si sta tuttora impegnando a scalare ulteriormente questa classifica. Ad esempio, poiché sa che la sua competitor è una cinese, ha deciso di aprire quattordici punti vendita in Cina. Questo fa capire che nel suo comportamento non ci sia niente di improvvisato, ma che ha alle spalle una strategia precisa. Tornando al caso generale, va da sé che non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, non possiamo pensare che sia così facile raggiungere l’apice, che basti investire nell’apparenza per riuscire nella vita. Non è così. Uno potrebbe pensare: qual è il principio che è passato in questa storia della Ferragni? Uno vale uno; se c’è riuscita lei, ci posso riuscire anch’io; basta fare la instagrammer, basta fare la blogger, e posso diventare ricco allo stesso modo. Ma questa non è la realtà: dietro ci vuole una sostanza, una capacità di imporsi, che sia come influencer, come blogger di moda oppure come imprenditrice. Poi ci sono delle cose che da un punto di vista etico possono essere messe in discussione. L’idea di Chiara Ferragni di pubblicare tutte le ecografie del suo bambino, dalla prima all’ultima, ha fatto sì che questo bambino abbia guadagnato tantissimi soldi ancor prima di venire al mondo. Anche questa è un’operazione di marketing, e molto indovinata. Poi possiamo discutere dei risvolti etici, sul fatto che sia giusto o meno proiettare così la propria vita sui social. Ma ricordiamo che chi fa questa scelta tiene ben presente quali siano gli interessi in gioco. A me piacerebbe sapere, per esempio, e so che i suoi contatti su Instagram sono lievitati al massimo, se la wedding-planner del matrimonio di Chiara Ferragni abbia ampliato la propria clientela grazie a questo evento. Così come mi piacerebbe capire di quanto aumenteranno i visitatori di Noto; senz’altro molte persone vorranno sposarsi lì dopo quest’operazione di marketing, che tra l’altro vedeva impegnati tutta una serie di sponsor.
Ma allora basta davvero apparire per essere?
È vero che quella di oggi è la società dell’apparire, che è una società edonistica, che è una società che fa la fortuna dei chirurghi plastici, giacché tutti vogliono essere perfetti, tutti vogliono sembrare belli. Ma secondo me l’apparenza senza sostanza è destinata ad avere vita breve; a chi pensa di poter vivere senza contenuti e senza valori prima o poi verrà a mancare il fiato. Se la domanda che ci poniamo è se questa società ci piaccia, se sia quella che ci aspettavamo, se sia quella in cui volevamo vivere, allora forse qualche perplessità ci potrebbe sovvenire. Tutti pensano di potere fare qualunque cosa, e questo è facile che ci porti ad abbandonare l’idea si debba avere rispetto dell’altro, un rispetto che è dovuto sempre e comunque a tutti. A questo contribuisce un uso poco consapevole delle nuove tecnologie. Manca quella pedagogia istituzionale che ci insegna ad avere stima di qualcuno, sia che egli occupi un posto importante, sia che sia arrivato su un barcone sulle nostre coste.
Penso che su questo ci sia da riflettere, sul crollo dei valori, e sul dilagare della cattiveria, in una società perturbata da fenomeni forti quali la globalizzazione e le ricorrenti crisi economiche, che rischia di derivare verso un sistema molto più ingiusto di quello a cui eravamo abituati; ed ecco che hanno vita comportamenti online come quelli dei cyber-bulli, degli hater, che riversano quantità spaventose di post violenti sulla rete. Dovremmo pensare che bisogna ricominciare, riscrivendo una nuova educazione, non soltanto all’uso dei social, ma anche più in generale alle emozioni. Va compreso una volta per tutte che questo sentimento non va sottovalutato. L’emotivismo è l’appellarsi incessantemente alla “pancia” delle persone, al fine di provocarle il più possibile, e di portarle a reagire nel peggiore dei modi, ed è un fatto che molto spesso avviene nella Rete.