L’incontro. Il viaggio inizia una mattina. Il cielo è plumbeo e tira un vento di scirocco. L’appuntamento è alla nave traghetto. La destinazione è la Calabria, che tra le sue mille sfaccettature nasconde i veleni della ’ndrangheta. Arriva con la sua auto blindata e con la sua scorta e non appena gli vado incontro spiega subito la mia presenza: “Giovanni, oggi la dottoressa viaggerà con noi. Desidera fare un reportage sulla Calabria”. Invece, l’intento è quello di descrivere la vita di un uomo delle istituzioni, di chi ha scelto di mettersi al servizio dello Stato, dedicandosi a una battaglia contro la mafia, scandendo grandi processi che hanno messo a nudo una criminalità che è rimasta a lungo sommersa e silenziosa. “Ho sempre sognato di fare il magistrato, credo che non avrei potuto fare altro”, mi confida prima di salire sul traghetto. La comunicazione, al largo dello stretto, si riduce a poche battute, anche perché la nave brulica di scolaresche, che rendono l’ambiente frastornante. Giovanni, il ragazzo della scorta, intanto non perde mai di vista l’uomo che protegge. Misura ogni suo passo. Ha gli occhi guardinghi, ma soprattutto “studia” le intenzioni altrui.
In macchina. Ad attenderci sulla terra ferma ci sono altre due persone. C’è un cambio di guardia. Francesco è l’autista dell’auto. E’ di origini calabresi. Vive e lavora in Calabria. Un omone con tratti allegri, che non nascondono il suo spirito esuberante. Claudio invece è siciliano. Il lavoro per lui ogni giorno comporta una trasferta. “Allora, cosa farà oggi?” mi chiede incuriosito. “Racconterò la Calabria”, rispondo io. “E poi che cosa farà?”, mi chiede ancora. “Non lo so, non è bene avere la vita programmata”. La sua risposta rimanda a un mondo, quello di chi lavora nel servizio scorta, caratterizzato dal sacrificio e da mille rinunce: “Ad avercela una vita non programmata”.
In tribunale. Non c’è un posto, né all’ingresso, né nelle aule, né nelle stanze, dove compaia un raggio di sole. La stanza del magistrato è piena di carte, documenti sistemati alla rinfusa. Mi dà anche una spiegazione: “Tutto è così perché forse questo ufficio non l’ho sentito mio veramente”. Alle pareti c’è qualche calendario, sulle poltrone non c’è spazio per sedersi, perché anche lì vi sono adagiati fascicoli di procedimenti penali. Tutto, insomma, richiama il lavoro e il senso del dovere. Ha l’aria un po’ amareggiata quando mi racconta che gli hanno affidato un servizio di scorta: “La mia vita è cambiata nel giro di un’ora quando mi hanno affidato la scorta. Ricordo che il procuratore capo mi convocò nel suo ufficio per dirmi che la mia vita era in pericolo. Dopo un’ora da quell’incontro, ho capito che anche prendere un caffè al bar con gli amici di sempre non sarebbe stata più la stessa cosa”.
Il caffè d’orzo. In effetti, per lui in questi anni le abitudini sono cambiate. Anche le più semplici. “Quando ero fortemente sotto stress, e sentivo incombere pesantemente il peso dei processi, arrivavo a fumare sessanta sigarette e a bere dodici caffè al giorno. Poi ho deciso di smettere sia di fumare che di assumere tanta caffeina.
Gli “onori”. Indossare una toga significa però essere esposti mediaticamente, soprattutto quando si affrontano i grandi processi che catalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica. Essere riconosciuti, intervistati e ricevere il supporto della gente comune aiuta a “fuggire”da una realtà molto soffocante anche se per poco tempo: “Mi ricordo che un giorno sono andato a cambiare la cinghia dell’orologio, che si era usurata. L’orologiaio mi ha riconosciuto e mi ha detto delle parole semplici, ma nello stesso tempo bellissime: ‘Ce ne fossero di magistrati come lei’”.
Dintorni. A sospendere la discussione ci pensa un altro magistrato, sopraggiunto in stanza. Intuisce che stiamo parlando del complesso mondo dell’antimafia e soprattutto della delicata situazione della ’ndrangheta, che sta espandendo i suoi tentacoli anche al nord. Mentre aspetta che le sue carte siano visionate dal procuratore, con un tono rammaricato mi dice che ancora in Calabria non esiste una forte coscienza antimafia, come è sorta in Sicilia. “Per questo dobbiamo impegnarci ancora tutti”. Queste parole mi hanno incuriosito, perché a pronunciarle è un magistrato giovane, che ha ancora tutta la carriera davanti. Gli chiedo se è disponibile per un’intervista. Accetta. Lo raggiungo nella sua stanza.
Il sogno di un bambino partenopeo. “Al sud abbiamo delle matrici comuni, per le condizioni che abbiamo vissuto e quelle in cui viviamo. La criminalità ormai trascende i nostri confini e ha raggiunto l’Italia intera. Ieri parlavo con un mio collega e gli dicevo di quanto siamo fortunati ad avere la possibilità di stare al sud. Una terra ricca di emozioni, colori, paesaggi mozzafiato. Certo poi ci sono le ombre”. “Le ombre, appunto”, penso io “quelle che la magistratura deve combattere” e prima che le mie parole si trasformino in una domanda, il nostro interlocutore si abbandona a descrivere cosa significhi questo mestiere: “In Calabria sono stati raggiunti risultati importanti. Per noi è fondamentale lavorare in maniera silenziosa e serena. Sono convinto però che sia necessaria una maggiore presenza sociale. Ognuno di noi, abbandonata la veste di magistrato o quella di giornalista, deve impartire dei valori sani. Devo dire che qui ho trovato un ambiente ostico, ma non ho trovato quella situazione drammatica che mi avevano prospettato. Certo, i processi ti restituiscono la realtà di persone che si sono abbandonate alla criminalità. Noi arriviamo quando il danno è stato fatto. Dal mio punto di vista è una sconfitta. Il mondo però non lo salvano i magistrati, ma tutti, dando un contributo nel nostro privato. Io ho poi una visione assai rigorosa di questo mestiere e non mi farò mai offrire un caffè dall’avvocato del delinquente. E’ un caso, seppur banale, per farle capire che bisogna dare l’esempio”.
Impressioni. Il viaggio si conclude nel primo pomeriggio. Attraversato di nuovo lo stretto e approdata a casa, saluto il nostro magistrato e la sua scorta. Mentre si allontana e la sua auto si confonde con le altre, faccio qualche passo a piedi e ripenso alle immagini di questa giornata. Una però è ricorre più delle altre. E’ quella di uomini, prima che magistrati, che ogni giorno sono accompagnati dal senso del dovere, dalla voglia di giustizia e da una grande solitudine.
Claudia Benassai