Dalla Tunisia all’Italia

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I suoi modi gentili e garbati e la sua gran voglia di lavorare gli hanno fatto meritare l’epiteto di “angelo nero di Panarea” ma nonostante tutto non si sente speciale,  bensì  fortunato perché da quando ha lasciato la Tunisia  è riuscito ad assicurare alla sua famiglia un presente migliore. Era infatti il 2007 quando Najib Dhouibi ha deciso di lasciare Kairowan, perché  le misere cento euro che guadagnava mensilmente non gli permettevano di provvedere al sostentamento della  famiglia numerosa composta da quattro fratelli e due sorelle. L’arrivo in Italia non è avvenuto tramite i barconi della speranza, come avviene per molti uomini e donne che scappano dal loro paese, ma con un regolare contratto di lavoro come badante.  La situazione però gli si è presentata più semplice  perché già nel suo paese, quando lavorava nel settore turistico, ha imparato le lingue  tramite il sistema classico dei cd e delle audiocassette.

Anche lui però non avrebbe voluto lasciare la sua terra d’origine ma le vicende familiari non gli hanno lasciato possibilità di scelta: “Io e la mia famiglia non vivevamo nella ricchezza. In famiglia l’unica che lavorava era mia madre che coltivava le campagna-ci racconta- poi lei è morta e con il mio stipendio non potevo dare un grande aiuto così mi è venuta voglia di lasciare il mio villaggio e dimenticare le brutte vicende che abbiamo vissuto dopo il grave lutto. Oggi la situazione non è migliorata. Prima della rivoluzione si lavorava molto e si guadagnava poco mentre oggi la ricchezza è distribuita nelle mani del governo”.  La situazione insomma è andata progressivamente peggiorando ma secondo il giovane tunisino è sbagliato abbandonare in massa il proprio paese perché continua: “ con quei soldi che  guadagnano per venire in Italia possono pensare di vivere meglio lì dove sono mentre sono sempre influenzati da gruppi di persone che ogni giorno raccontano dell’Italia come un paradiso dove si vive in condizioni migliori mentre non è così. Molti riescono a sbarcare in Italia ma altri ancora prendono i soldi del viaggio e scappano.  Purtroppo  c’è la mafia dei clandestini.  Nei paesi depressi ci sono persone che girano nei bar e cercano in media tremila euro per un viaggio e di solito chiedono a persone che hanno terreni da vendere e denaro da reperire facilmente”. 

Molti amici di Najib in questi anni a causa della grave crisi economica hanno deciso di abbandonare l’Italia inaugurando così un controesodo, investendo i soldi che hanno guadagnato prima che il mercato del lavoro fosse saturo. Ecco perché lui si sente un privilegiato: nella piccola isola infatti dell’arcipelago eoliano non solo ha trovato un lavoro che gli permette di sostenere la sua famiglia ma anche l’amore. Un amore che è nato dall’incontro di due culture ma che hanno trovato un punto comune come ci ha raccontato Marianna: “ E’ nella semplicità la chiave di lettura della nostra storia. La vita è fatta di ritmi, di obblighi ma poi quando apri la porta di casa trovi quegli elementi come l’affetto per andare avanti.  Najib  poi è fortemente attaccato alle sue radici per questo io ho accettato che parte del suo guadagno lo mandi a casa. Cosa ce ne facciamo di dieci, quando possiamo stare bene con otto?  Quello che noi togliamo possono servire a far star meglio un’altra persona: questo è l’importante. Qui siamo ossessionati dalla corsa al denaro, all’aver di più, dal suv alla casa in montagna,  mentre sarebbe bello come mi ha insegnato Najib aiutare il prossimo,  a maggior ragione se è della tua famiglia”. Ma l’aiuto del ragazzo non si limita ai membri della sua famiglia, ma anche a tutti i compaesani che spesso non hanno nulla da mangiare.

La regola non scritta è quella di regalare un po’ di felicità a chi ha meno e non importa se poi l’indomani bisognerà rimboccarsi le maniche per trovare qualcosa da mettere a tavola.  Il punto di forza di questa storia di questo straniero  non clandestino è la semplicità. Qualità che dovrebbe essere insita in tutte le persone e che è forte nella cultura del suo villaggio dove “ la gente pur non avendo nulla sorride” e dove si “costruiscono momenti di aggregazione attorno a una tavola anche poco bandita, giusto per il piacere di stare insieme”.

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