Un cartone con qualche articolo di giornale e una lettera appassionata di denuncia e ringraziamento, una preghiera al cielo, in un italiano un po’ imperfetto che dona una forza assoluta a quelle pagine incollate. Alzi lo sguardo e, dietro la siepe, due sedie, un tavolinetto di plastica e una tenda, e dentro la tenda Salvatore e Silvana. Sempre loro due, sempre e solo loro due.
Più di un mese è passato dallo sgombero di piazza Pretoria, ma i segni dei 10 punti di sutura sul naso di Salvatore sono ancora lì, a differenza della roulotte, sparita appresso ad un carro attrezzi dell’AMAT. Sotto sequestro gli hanno detto. Più di un mese è passato, e oggi i coniugi Spinali non fanno più audience, non turbano più il decoro pubblico del Centro Storico nel periodo in cui la città si riempie di turisti. Da via Maqueda al Villaggio Ruffini, periferia Ovest di Palermo. Qui sono accampati da oltre un mese, di fronte la chiesa del quartiere, dentro la loro tenda, a due passi da quattro cassonetti sempre trasbordanti di rifiuti, che una volta a settimana gli addetti vengono a svuotare.
Saluto e supero la siepe. Salvo si ricorda, e mi presenta sua moglie. Subito deve scappare però, l’autobus della linea 619 lo porterà anche oggi alla sua ormai disperata ricerca di un lavoro, dello strumento necessario a comprare un pacco di pasta che non saprebbero nemmeno dove cucinare. Allora Silvana mi invita a sedermi, lo faccio con piacere. La sedia è così scomoda che già una decina di minuti dopo non mi sento più il sedere, ma basta una mia domanda e Silvana inizia a raccontare la sua storia, a spiegarmi la loro situazione, a coinvolgermi nei suoi pensieri. Nella chiesa di fianco a noi si celebra un matrimonio, uomini in gessato e donne in abiti eleganti e tacchi alti ci scorrono accanto, e ci guardano con aria pietosa. «Fanno tutti così» dice Silvana, «ci fissano come fossimo alieni, oppure si voltano dall’altra parte». Racconta divertita che proprio l’altro ieri una donna per rincuorarla le ha detto che alla fine è come fare un campeggio per le vacanze! Purtroppo però il campeggio scegli tu quando farlo, e magari controlli prima le previsioni meteo. Silvana e Salvo in questi giorni hanno dormito con l’acqua alle caviglie, in una tenda che ha la straordinaria capacità di amplificare ogni condizione atmosferica, calda o fredda che sia. Ma non posso divagare, perché Silvana continua a raccontarmi le loro vicende.
Dal 2002 sono tornati da Bologna per respirare di nuovo l’aria di casa, l’aria del Sud. Lui siracusano, lei delle campagne calabresi, entrambi “italiani”, come recita il cartone scritto da Silvana dopo lo sgombero di Palazzo delle Aquile. In città trovano entrambi lavori saltuari, e prendono in affitto un minuscolo appartamento in via Perpignano; ma i soldi guadagnati non bastano a pagare i 430 euro di affitto in nero, perciò vengono sbattuti fuori senza alcun preavviso. Si mettono nuovamente in moto, e riescono a trovare un monolocale in via Resuttana, S.Lorenzo. Le condizioni del locale, che si rivela infine un garage mascherato, sono disumane: muffa e crepe sui muri, servizi igienici carenti e mancanza totale di corrente elettrica (che – mi dice Silvana – veniva prelevata abusivamente dalla casa vicina del proprietario del vano, e che loro restituivano pagando allo stesso una somma esageratamente gonfiata); proprio la mancanza di una corrente elettrica di necessaria intensità e frequenza costringe in questo momento Silvana a disfarsi del frigorifero e della lavabiancheria comprati fra mille sacrifici appena poco tempo prima lo sfratto. La perdita minore nell’attuale situazione. Infatti le condizioni igienico-sanitarie della “casa” sono invivibili, così, sette mesi dopo, Salvo e Silvana si fanno forza e si convincono a denunciare la cosa all’Ufficio Igiene di Palermo; in questo modo si viene a scoprire che l’immobile risulta di costruzione abusiva, e che le ricevute fornite dal locatore sono fasulle, carta straccia. E così, mentre le sanzioni al proprietario faticano a partire, la famiglia Spinali è già di nuovo costretta a correre per sfuggire alla strada, senza un lavoro, senza un soldo, privati di quattro mura a causa della loro pretesa di un trattamento più umano. Demotivati verso la società intorno usano gli ultimi risparmi per comprare una vecchia roulotte di quarta mano, e fanno di quella la loro casa, il loro scrigno di umana intimità. Si sistemano così nella rotonda che collega via Montepellegrino a via M. L. King, subito dietro la strada che serve all’”acchianata” nel giorno della Santuzza. A questo punto iniziano ad avviare le pratiche per la richiesta di un alloggio al Comune di Palermo, ma dopo un anno ancora niente, fra gli ultimi in liste infinite che crescono costantemente. Adesso la decisione è drastica e irremovibile, la protesta di fronte a Palazzo delle Aquile. Una roulotte, uno stendibiancheria, una vestaglia da notte rossa i simboli di due mesi di manifesto dissenso alle politiche abitative dell’amministrazione, con la solidarietà del popolo dei senzacasa palermitani, e di parte della politica cittadina. Fino allo sgombero di aprile. Il carro attrezzi, le botte, e via. Niente roulotte, portata via insieme agli effetti personali, e messa sotto sequestro. Neanche un posto da Biagio Conte per loro. L’iniziativa di una parte della politica della città gli garantisce a questo punto una settimana di pace, alloggiati in un albergo a spese di alcuni consiglieri comunali, ma dopo punto e d’accapo. Ed ora sono qua, ultima tappa del loro continuo pellegrinaggio, soli come sempre. O quasi sempre. Dallo sgombero ai giorni di sistemazione di fronte la chiesa di Maria SS. Consolatrice degli Afflitti, infatti, la solidarietà è stata tanta. Giornalisti, politici, gente del posto che portavano doni, cibo, indumenti, oggetti di più disparato uso. Ma è durato poco.
Salvo e Silvana sono rimasti – o sono sempre stati – soli, ormai elementi del paesaggio del quartiere, con il loro cartone, la tenda, le sedie. La gente che qualche settimana fa’ sgomitava per aiutarli si è abituata a loro, e non si volta nemmeno più per un saluto o un sorriso. Di fronte la richiesta di utilizzare le docce dell’oratorio della vicina parrocchia si sono trovati di fronte (alla faccia del nome della parrocchia) all’immotivato rifiuto del parroco, Padre Michele Polizzi, il quale «va poi a dire in giro che ci sta aiutando». E se Silvana mi racconta tranquillamente, e ride anche, «io non entro in chiesa mentre c’è messa, io mi vergogno ad entrare vestita così, perché la gente mi eviterebbe, nessuno mi darebbe la mano», parlare del parroco la fa un po’ più seria. «Vogliono togliermi la fede, a loro interessano solamente i matrimoni e le offerte».
Intanto il matrimonio è finito e i giovani sposi escono dalla chiesa. E intanto, mentre suonano le campane, torna Salvo, con l’aria di uno a cui la ricerca è andata male anche oggi ed un sacchetto fra le mani di ignota provenienza. Silvana conclude. «A volte, anche a sessant’anni, ti senti come una bambina. A volte hai anche le stesse paure di una bambina».«Non cerchiamo un aiuto consistente a tutti i costi, ma almeno un sorriso da tutti mi piacerebbe riceverlo».
Oggi la cosa che Silvana e Salvo vorrebbero di più al mondo è la loro roulotte, ma ci sono 2.400 euro di cauzione in mezzo. E vorrebbero anche i loro indumenti e i loro documenti, sequestrati illegittimamente dalla Polizia Municipale insieme alla stessa roulotte. E poi c’è il sogno. Il sogno di ricevere quello che il sindaco Cammarata, dopo gli scontri di fronte a Palazzo delle Aquile, aveva definito come un “presunto” diritto. Una casa. E la possibilità di «risollevarci da terra». Passo dopo passo. Un sorriso, una roulotte, una casa.