La strategia del tango

L’ho finito!

Ti è piaciuto? –  mi chiede Paolo di rimando.

Non  glielo dico, ma sembra avere la stessa ansia degli uomini insicuri che, appena finito il primo amplesso, vogliono essere rassicurati. Sorrido della sua urgente curiosità. Nemmeno questo gli rivelo.

Mi prendo un tempo prima di rispondere. E’ complesso farlo e non di può liquidare  semplicemente con un si o con un no.

Un giallo? – Uhm, è una definizione troppo riduttiva – penso mentre arrivo all’ultima riga de La strategia del tango, primo romanzo di Paolo Restuccia edito da Gaffi. Cerco una sintesi. Mi accorgo solo adesso che è finita la musica, una playlist saltata fuori, fluente e ritmata, dal libro che ho appena terminato; una colonna sonora che mi ha accompagnato quasi ossessivamente,  mentre gli occhi erano occupati a inseguire lo sfogliarsi autonomo dei fogli.

E’ un vento troppo a lungo trattenuto questo romanzo, un vento che ti avvolge nella sua spire e che ti fa prigioniero fin da subito. “Per forza – pensi – lo scrittore è un soldato che ha tessuto la trama di un ballo appassionato”. E così inizi a danzarci insieme, al soldato o, meglio, all’alpino; avverti il suo respiro che, una pagina dopo l’altra, diventa il tuo. Gli cammini accanto, scendi con lui nelle viscere,  nell’oscurità di pareti sporche in una periferia urbana non marginale; lo segui,  sempre più in fondo, nel fulcro di esistenze solo apparentemente distanti e che pure determinano il quotidiano. Annusi l’impronta che Giulia, ultimo scampolo di giovinezza (e di purezza), ha lasciato sulla giacca del tenente colonnello Ettore Galimberti.

Il racconto si dispiega  preciso e asciutto, la tensione narrativa non scema mai mentre intanto scivoli nei meandri di disfacimenti multipli e sovrapponibili: le certezze, gli ideali,  le speranze, i muri imbrattati di spray nero inferno. La giovinezza si è portata via tutto quanto, lasciando solo un buco di serratura da cui sbirciare, solo sbirciare, la bellezza già sfuggita. Tutto attorno è una mappa di pozze grigio fango, di marciapiedi che segnano il varco fra la il frastuono metropolitano e ambienti di lusso ovattato, agorà segrete del potere, dove non giungono gli echi della strada. In gola, il sapore di un retrogusto acido. Indigesto. Ti accorgi di quanto in fretta sappia abbandonarti l’età dell’innocenza. E’ sparita, dissolta fra ombre e penombre intuite. Non puoi trattenerla, non sai farlo. E’ troppo più grande di te, anche se ha la metà dei tuoi anni. La lasci scivolare via dalle braccia, trattenendo fra le narici ancora un poco l’essenza del suo profumo; indugi per qualche istante sopra seni sodi e piccoli, portati in giro con sfrontatezza e libertà. Li presagisci diventare grinzosi, cadenti, vecchi. Vissuti. Corrotti dal tempo e dall’esperienza. Perciò disincantati,  previsti, senza mistero. Assisti alla loro caduta come hai assistito agli altri crolli, con lo stesso fatalismo. Guardi alla messa in scena dell’ultimo spettacolo. Platee gremite da yesman accorsi a testimoniare il loro sostegno all’indicibile oscenità che ha raggiunto i gangli del potere. Non rimane in piedi nulla: nè certezze, né ideali. E’ solo un’altra prigionia, ma meno opprimente. E’ un disco che finisce, una danza che compie il suo ultimo passo, la sua ultima figura.

La battaglia finale ti lascia in terra stremato: è quella definitiva, quella della resa dei conti, pensi. Ma non ci sono eroi fra i corpi sfracellati in terra, sulle pozze di sangue sparato fuori dalle vene. Non ci sono giusti da onorare, nessuna medaglia da incorniciare alla giacca. E’ un tango ballato fra colpevoli. E’ il sovvertimento dell’Ordine, un soldato che non obbedisce più, proprio lui,  un alpino: uno strenuo difensore dei confini. Un difensore del nulla, da quando i confini sono diventati mobili e tutto appare  confuso. “E’ la vittoria” – avrà pensato un attimo prima dell’attacco finale il tenente colonnello Ettore Galimberti. Si è dovuto ricredere immediatamente mentre, in piedi, scruta dall’alto un invisibile filo spinato, messo apposta dal nemico per confondere ogni barriera tra il vero e il verosimile.

Si, mi è proprio piaciuto, caro Paolo: l’ho letto tutto d’un fiato!