La tasca sbagliata di Stella

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Il giornalista, per definizione, è colui il quale raccoglie, elabora e commenta le notizie. Quello che differenzia un grande giornalista da uno qualunque, che magari ha il tesserino da pubblicista senza essere in grado di svolgere le proprie funzioni, è il modo in cui le notizie vengono raccolte, elaborate, commentate. E non è esclusivamente questione di bravura o talento: anche chi sa scrivere decentemente può diventare un ottimo giornalista, attenzione; la fase cruciale sta nell’elaborare le notizie raccolte. Immaginate il giornalista come un medico, uno col camice bianco che viene da voi per darvi una notizia: nella tasca sinistra ha un articolo grezzo, non scritto bene, con notizie non approfondite e privo di una qualsivoglia fonte; la destra, invece, contiene un ottimo articolo: uno di quelli per cui ti innamori della professione, e pensi che, quasi quasi, quando sarai grande potrai fare il giornalista -o, se è troppo tardi per pensarlo, “avresti potuto”…

Ecco, Gian Antonio Stella, uno degli uomini di punta del giornalismo italiano, è sempre stato uno da tasca destra. Uno che è salito alla ribalta per le sue inchieste, sia in solitaria che in coppia con Sergio Rizzo, con il quale ha scritto a quattro mani diversi libri, divenuti poi un successo sia sul piano delle vendite, che su quello culturale. Un esempio a caso è “La casta – Così i politici italiani sono diventati intoccabili” (Rizzoli, 2007): tanti concetti ben approfonditi, esempi ben riportati, anche ripresi da precedenti pubblicazioni ma che hanno ottenuto giusti riconoscimenti, e tutt’ora rappresenta un punto di riferimento nelle discussioni politiche.

C’è un problema di fondo, però: se il giornalista da tasca sinistra spesso resta tutta la vita “uno da tasca sinistra”, il giornalista dell’altra parte a volte può fare il salto, anche solo temporaneamente, e perdere le ottime qualità per cui è salito alla ribalta. In parte, questa è la storia che Gian Antonio Stella ha messo involontariamente in scena a Messina, durante un incontro con i lettori. Il tema a causare lo scivolone è stato quello delle opere delocalizzate, i beni culturali che si trovano in cittadine magari ardue da trovare, ma che nella maggior parte dei casi hanno un patrimonio inestimabile e quasi sconosciuto, più quello (probabilmente ancora più grave) degli ex detenuti al nuovo Museo di arte moderna di Palermo. Partiamo proprio da quest’ultima, assurda, considerazione.

Stella, parlando della situazione siciliana dei musei, spende due parole su questo fatto, dicendo che mettere ex detenuti come custodi è come “mettere come custodi della cocaina in mano degli ex drogati” o come “dare una sedicenne a Berlusconi”, terminando il breve inciso con una risata. Una risata assurda, agghiacciante e spiazzante; in altri termini, inaccettabile. Già dal primo paragone si denota come Stella tratti l’argomento con un’aria di superiorità che non è accettabile per chi sta in un’ipotetica tasca destra, paragonando ex detenuti a ex drogati quasi en passant, e dando voce ai pensieri secondo i quali un detenuto che ha scontato la propria pena deve restare marchiato a vita per quello che, per quanto ne sappiamo, può essere anche stato un peccato di gioventù. Sappiamo tutti, e Stella più di altri, come funziona la macchina giudiziaria in Italia, dove molti criminali non si avvicinano neanche lontanamente al carcere, dove non si trovano né i politici che hanno messo in ginocchio l’Italia, né chi è effettivamente responsabile della tragica situazione socio-economica che stiamo vivendo, ma ci sono i Pasquale, i Vincenzo, i Diego e i Renato dei quali parlano i 99 Posse nel singolo di lancio del loro ultimo album, Cattivi Guagliuni. Ci sta spesso la gente povera, che non ha avuto occasioni nella vita, e che ha il diritto di reinserirsi nella società, una volta uscita dal carcere; per quanto Stella lo possa negare, è un diritto costituzionale; se già nel carcere stesso le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27 della Costituzione), figurarsi una volta fuori. Ed è inaccettabile vedere tutti gli ex carcerati a prescindere come persone pronte a commettere nuovamente un errore alla prima occasione disponibile, ed è altrettanto aberrante riderci sopra, quasi come a chiamarsi fuori, come se fosse un problema di altri, come se non dipendesse tutto da una società che Stella in questo caso ben rappresenta, una società tendenzialmente egoista, che spesso parla bene ma, a volte, si dimentica di fare anche quello.

Ma non è finita: continuando a parlare di arte, lo storico cronista del Corriere della sera affonda un colpo giusto riguardo la fusione dei due Ministeri del turismo e dei beni culturali, per renderli più efficaci, ma -ancora una volta- la spara grossa negli esempi. Perché la Venere di Morgantina non dovrebbe trovarsi lì dov’è, ad Aidone? Perché il viaggio in macchina è lungo? Non ci sono altre spiegazioni, dato che non è certo un “tesoro” isolato come tende a far credere Stella. Nella zona di Aidone (“molto carina”, secondo Stella) dovrebbero accettare che la Venere venga presa e portata via per creare un museo più grande, pieno di altri patrimoni artistico-culturali, tutti meglio raggiungibili perché, forse, la cultura è un lusso troppo grande per scomodarsi e andare a scoprire dei luoghi magnifici che per pigrizia non conosciamo, o magari non abbiamo neanche mai sentito nominare. Idem per il Satiro danzante, per il quale ci vogliono “quattro-cinque ore di macchina da Messina”. Non ha senso criticare la distanza, quando per un ragazzo di Aidone, di Enna o di qualche paese più vicino i diecimila tornanti che (dice Stella) sono necessari per arrivare sul posto, ci sarebbero al contrario. L’accentramento delle belle opere non può essere realmente preso in considerazione, la cultura non può e non deve esistere solo nei grandi centri, perché fa parte dell’estrazione culturale di ciascun popolo, serve all’economia del territorio, ed è bello che non tutte le opere d’arte siano nei grandi centri che sono, per definizione, i più caotici; pensate se tutto il patrimonio artistico italiano fosse a Roma: la città sarebbe sicuramente ancora più bella di adesso, ma per girarla e apprezzarla completamente ci si dovrebbe prendere una settimana di ferie, anche stando lì vicino. La mania splendidamente italiana di avere a portata di mano tutto e subito non può e non deve essere accettata: quello che ha fatto grande il nostro Paese in questi secoli è proprio la ricchezza sparsa su tutto il territorio. E Stella, da bravo giornalista da tasca destra, probabilmente lo sa già.

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