Probabilmente è una delle notizie più rilevanti degli ultimi tempi, per quanto riguarda il web: l’autosospensione di Wikipedia ha fatto scalpore, mandando praticamente in tilt la massa di studenti che giornalmente si appigliano all’enciclopedia libera per risparmiare qualche minuto sui libri, o semplicemente per approfondire qualche nozione di cui sono appassionati.
Va comunque detto che ridurre la funzione di Wikipedia a un semplice “doposcuola” è enormemente riduttivo, ma è altrettanto vero che il principale urlo d’aiuto (con conseguente richiesta di aggirare il problema) sui principali social network è pervenuto da universitari e liceali, persone che dello studio fanno il loro pane quotidiano. Persone che conosceranno (approfonditamente o anche solo per sentito dire) il famigerato comma 29 del DDL intercettazioni, il quale prevede -come si legge sul comunicato presente da ieri su http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Comunicato_4_ottobre_2011- “l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine”. Come si può continuare a leggere nel comunicato, nessuna terza parte sarebbe chiamata a valutare l’effettiva validità della richiesta di rettifica, rischiando di rendere così l’enciclopedia un miscuglio di fatti veri (verificati e ancora verificabili) e molto meno veri (cancellando la realtà in un modo parecchio orwelliano) dato, appunto, l’obbligo di pubblicazione della rettifica.
Tutto questo però, almeno per il momento, non avverrà: nel pomeriggio di oggi, 5 Ottobre, il comma 29 è stato depennato dal decreto, sancendo quindi quella che è più di una vittoria di Wikipedia: avrebbe tutti i crismi per essere festeggiata come un (parziale) trionfo contro un provvedimento senza capo né coda, giustificabile solo con la paura matta che una classe dirigente anziana ha nei confronti di un mondo per lei nuovo come Internet, contenitore illimitato di risorse, impossibile da manovrare (chiedere all’On. Ministro Gelmini per chiarimenti: il tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso e il quartiere di #Sucate sono pieni di suoi sostenitori) e quindi da gestire.
Eppure, molti non hanno capito il problema posto da Wikipedia: se così fosse stato, infatti, l’appoggio sarebbe stato incondizionato e a tutto campo. Molti, invece, nascondendosi dietro una maschera di condivisione del problema (dimenticandosi che un “like” su Facebook non è neanche minimamente equivalente a un supporto vero e proprio), hanno guardato il dito mentre l’enciclopedia del web indicava utopicamente la luna: mentre affermavano di partecipare all’evento “SALVIAMO WIKIPEDIA” (https://facebook.com/event.php?eid=217866031611264) o addirittura si scomodavano firmando la petizione di Avaaz.org (http://avaaz.org/it/no_bavaglio_2/?cl=1306214507&v=10577), rilanciavano articoli che già da stamane svelavano come aggirare il blocco di Wikipedia.
Non sta certo a noi giudicare se il fantomatico popolo di Facebook (troppo spesso indicato come un’unica entità, in realtà notevolmente variegato come una qualsiasi comunità) debba agire secondo una via di pensiero o un’altra, ma la mancanza di coerenza di base è di quelle che lascia basiti: sostenendo una causa, il minimo sforzo è quello di non rendere inutile una protesta che può avere effetto solo causando un reale disagio, checché ne possano (seppur in buona fede) pensare gli studenti o anche solo chi ha voglia di conoscere l’età di un personaggio pubblico.
La chiusura momentanea di Wikipedia (con una protesta che a rigor di logica dovrebbe scemare di qui a poco) ha segnato un punto importante nella storia internettiana del Paese con la mentalità più anziana d’Europa, nel quale se cerchi un wi-fi pubblico hai poche speranze di trovare alcunché: oggi Wikipedia ha dimostrato che la forza delle proteste civili esiste, ed è prorompente. L’unico problema degli italiani è che se ne accorgono quasi sempre quando i diritti gli vengono effettivamente tirati via a forza, e a volte neanche in quel caso.
Eppure gli appuntamenti per provare a far sentire la propria voce non sono mai mancati, né mancheranno (a breve, il 15 Ottobre, è prevista una manifestazione di livello mondiale, ad esempio): innocentemente molti ne potrebbero sposare le motivazioni, o potrebbero esprimere il loro dissenso vero una situazione socio-politica che non apprezzano. Ma mai in più di 420 caratteri per Facebook o 140 su Twitter: su una Wikipedia finalmente liberata non c’è scritto come aggirare questo limite.