L’abito mafioso che calza a pennello

Quanto successo a Brindisi rappresenta un cambiamento, almeno di facciata, che rimescola fortemente le carte in tavola nel rapporto mafia-Stato. Cambia tutto: il metodo di esecuzione, la scelta degli obiettivi, le vittime. L’atto terroristico di stampo mafioso ha sempre avuto un qualcosa che contraddistingueva l’orrore: mai ragazzi, mai obiettivi così indifesi ed estranei a una qualsivoglia motivazione – non che ne esistano di realmente efficaci da giustificare un attentato.

Sembra si tratti di sacra corona unita -e il minuscolo è dovuto-, sembra si tratti di un atto simbolico, sembra si volesse colpire la scuola che si può fregiare del primo premio in un concorso per la legalità, sembra che. Sembra, non c’è niente di certo, ma sembra.

In una discussione su tutte queste apparenti coincidenze, questo simbolismo quasi esasperato (scuola intitolata a Falcone, pochi giorni dall’anniversario, nella città dove oggi era previsto l’arrivo della carovana della legalità, vicino al tribunale, vicino a via Aldo Moro) può assumere due forme: una è quella del facile, apparentemente scontato e (forse) un po’ superficiale “era tutto previsto”, “l’hanno fatto apposta”; l’altra è un po’ più subdola, figlia di un retropensiero che in Italia difficilmente non fa presa, perché vissuta in altre epoche storiche: l’orgia di prove à la Minority Report, il caso servito già risolto, i pezzi del puzzle che sembrano coincidere da soli, senza nessuna forzatura, che in realtà altro non sono che un nascondiglio per l’effettiva realtà. Fa pensare il fatto che in pochi giorni siano successe così tante cose, diverse tra loro, ma con tante somiglianze alle spalle: l’attacco anarchico contro Equitalia, il CSOA Cartella di Reggio Calabria disossato e dato alle fiamme da alcuni fascisti, la mafia che torna a colpire nel modo più cruento possibile, come fatto solo nel ’93, quando gli interessi in gioco erano forti e non c’era nessun tipo di regola a dettare i tempi.

Gli scenari sono questi, a una prima analisi: se è stata effettivamente la sacra corona unita, non possiamo immaginare cosa accadrà nel futuro prossimo, perché non c’è più de facto il “codice” che aveva spinto ad agire perseguendo degli orrendi obiettivi ben definiti. Se, invece, le motivazioni sono altre, tutto è ancora più confuso: perché provare a mascherare il tutto come attentato mafioso, cambiando completamente, però, il modus operandi (anche per quanto riguarda il materiale usato per l’esplosione)? Perché provare a far indossare  a un atto così estremamente becero un abito ancor più riplorevole? Perché, insomma, provare a far passare per mafioso ciò che mafioso forse non è?

Sono domande, nessuna delle quali (forse) effettivamente utile. Di utile ci sarà il lavoro sul campo delle forze dell’ordine, che proveranno a dare a quest’atto terroristico il giusto nome e il giusto colore. Di utile, però, c’è anche l’esercizio di pensiero che dobbiamo imporci di fare anche in un momento così terribile, perché le ipotesi di una nuova strategia della tensione cominciano a fioccare su alcuni blog e forum, e il pensiero di un nuovo periodo così buio non è certo il più confortevole tra quelli possibili, per usare un eufemismo.

Fermarsi, riflettere, non dare niente per scontato e analizzare per quanto possibile, nel proprio piccolo. È un atto di ignoranza anche non soffermarsi su quanto succede e non cercare la verità, dando ascolto solo ai sentimenti del momento – e le dichiarazioni della classe politica tutta, Grillo compreso, non aiutano sicuramente questo esercizio. Non facciamoci ingannare e per quanto possibile manteniamo la lucidità: quanto sta succedendo è figlio di quanto è stato seminato, e la colpa è di tutti noi, chi più chi meno, nessuno escluso. Cambiare ora, perché non succeda più. Lottare contro la mafia informandosi su chi si vota a ogni livello, lottare in maniera democratica per far sì che i propri diritti non vengano calpestati anche dalle istituzioni stesse, a prescindere da cosa ci sia dietro il gesto vigliacco di Brindisi. Riconquistare il pensiero critico che troppo spesso abbiamo tutti trascurato, in favore di altri interessi, mettere la collettività al primo post, la collettività sana che lotta per annullare la mentalità mafiosa – che non è esclusiva della mafia, ma che riscontriamo tutti i giorni attorno a noi.

Non si può e non si deve aggiungere altro, al momento. Resta solo il silenzio e il rispetto dovuto a una ragazza di sedici anni ammazzata da alcuni vigliacchi, un’altra in fin di vita, per cui le notizie continuano a inseguirsi in un senso o nell’altro, e una strage evitata che avrebbe potuto sconvolgere ancora di più, se possibile, l’Italia intera, a prescindere da chi l’abbia commessa.