Avviene ogni venerdì pomeriggio, verso le 16:30.
È un incontro strano, imprevedibile, impensabile quando ancora non se n’è fatta esperienza. Eppure con costanza e puntualità si ripete ogni settimana: dei ragazzi e giovani adulti affetti dalla sindrome di down si incontrano nei locali della sede Vaudeville con i membri della stessa compagnia per giocare insieme a fare teatro. Un gioco per la semplicità e l’entusiasmo con cui i ragazzi si sperimentano nei diversi esercizi, un vero e proprio lavoro per la serietà e la tenacia con cui si assumono il percorso che viene loro proposto.
Si tratta di un incontro iniziato già dal 2011 e fortemente voluto da Franco Venuti (presidente dell’associazione Anch’io-Sindrome di down) e da Alessandro Alù (presidente dell’associazione Vaudeville-Compagnia Teatrale) che avevano avviato questa collaborazione conclusasi col musical I sogni son desideri, un insieme di brani tratti dal repertorio Disney e raccordati da una medesima cornice narrativa.
Quest’anno quella formula originaria si è modificata, sviluppandosi in un effettivo laboratorio teatrale, le cui fila sono tenute dal giovane attore di Vaudeville Cristian Carcione, di volta in volta affiancato dall’alternarsi degli altri membri della compagnia. Un percorso certamente formativo per questo nuovo gruppo che si avvia alla recitazione, ma in maniera altrettanto profonda per chi li guida. I risultati si stanno mostrando, infatti, sorprendenti, sotto diversi punti di vista.
Un’esperienza del genere, innanzitutto, ci mostra la piccolezza della mente e dei suoi pregiudizi nel rapportarsi a realtà culturali ed umane che non si conoscono bene. Il primo nostro limite con cui bisogna fare i conti è la scarsa attitudine e, purtroppo, abitudine alla libertà e alla disinibizione, qualità che invece, per fortuna, i ragazzi down, con cui ho avuto il piacere di incontrarmi, sono riusciti a mantenere integre. Una libertà fisica e di pensiero che sciocca per la semplicità e naturalezza con cui ti viene spiattellata in faccia, una dimensione che ormai hai perduto e di cui, forse, è più facile in un primo momento spaventarsi, per non fare uno sforzo di onestà intellettuale e capire, invece, che ormai per noi è sedata, ma altrettanto bramata.
Superata questa prima tappa, il sentiero ci ha fatto incontrare con i pregiudizi che ci si rende conto di avere anche inconsapevolmente. Pregiudizi “buonisti”, i più pericolosi. La più grande discriminazione è, infatti, la credenza che perché down siano necessariamente “-ini”: bellini, carini, dolcini, tenerini, etc. Niente affatto. Sono dolci quando è necessario, affettuosi quando te lo meriti, bellini quando non sono nervosi. E poi sono divertenti, sono ironici, taglienti, spiazzanti, sanno perfettamente difendersi da sé, senza bisogno del tuo “-ini”.
Al momento siamo alla terza stazione, quella prettamente teatrale. «Sono davvero contento – dice Cristian Carcione commentando l’esperienza – perché mi insegnano tanto, offrendomi prospettive imprevedibili e mi lasciano sbalordito, a volte, per la complessità con cui svolgono gli esercizi». Ed è proprio qui lo scambio, il contatto. Il momento dello stupore che permette alla ricerca di qualsiasi arte e di qualsiasi artista di rinnovarsi, generando ancora arte e stupore.
E per chi non ci credesse l’appuntamento è a teatro, per lo spettacolo (un musical) che chiuderà questo gioco «serio al pari di un lavoro», riproponendo, in vesti diverse, l’esperimento di quel giugno 2011 portato in scena dai ragazzi di Anch’io e dagli attori di di Vaudeville. Allora, quando a chiusura del sipario gli uni ridevano per la gioia di aver conquistato il palco, gli altri piangevano senza capirne il perché. E questo è sembrato bellissimo.