“L’essere umano si comprende e si realizza come essere in relazione. L’etica è il luogo della non indifferenza come responsabilità per l’altro, il luogo dove è possibile apprezzare l’unicità del volto, il luogo dell’assoluto che è la relazione interumana”.
Facendo nostro il pensiero di autorevoli sociologici, ispirato all’inclusione delle diversità nei processi culturali moderni, è più che necessario comprendere quanto tale pensiero sia diffuso nella coscienza comune del nostro Paese e quanto, invece, si proclama nella cruda realtà della realpolitik.
La notizia non è mai arrivata sugli organi di stampa, tranne che su quelli legati in qualche modo al mondo cattolico ma proprio alla 46esima Settimana sociale dei cattolici italiani – che si è conclusa il 17 ottobre scorso, a Reggio Calabria – c’è stato un dibattito molto interessante sull’immigrazione, nel quale si sono messe a confronto in maniera costruttiva le diverse posizioni. Posto infatti che il mondo cattolico – come il resto del mondo, tra l’altro – ha sensibilità politiche piuttosto variegate, non era scontato che si arrivasse ad un orientamento comune. Invece, questo orientamento esiste ed ha un nome: cittadinanza italiana ai figli degli immigrati.
La società civile ed intellettuale italiana, si è sempre distinta per una più compiuta partecipazione ai processi della democrazia di ogni porzione di società (partiti, sindacati, no profit), ed è stata capace di esprimere nel tempo, voci autorevoli nel mondo sociale, politico ed educativo che hanno saputo riconoscere i cambiamenti sociali e intrapreso azioni tese davvero al “bene comune”( si pensi solo a quanto sanno fare le fondazioni sparse per l’Italia attorno ai temi della cittadinanza e della socialità). Tuttavia, l’Europa dell’integrazione e del sogno dei popoli uniti nelle diversità, sembra incontrare l’ostacolo principale, proprio nell’impossibilità di costruire un modello di stato più prossimo alla piena inclusione delle cosidette “nuove presenze”. Si assiste, così, con sempre maggiore enfasi propagandistica, alla ricerca di nuovi equilibri politici da parte dei capi di governo, alle prese con crisi di consenso e identità nazionali da riproporre in chiave anticrisi. E’ la Francia del gollista Sarkozy ma anche la Germania della democristiana Angela Merkel che proprio in questi giorni ha sancito il “fallimento del multiculturalismo” nel modello europeo di società. Discorso simile per il governo del nostro Paese, dove il tema dell’immigrazione e di converso dell’integrazione, viene affrontato ad esempio, in termini matematici attraverso quote di presenze per figli di immigrati, così come postulato dal modello proposto dal Ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini o peggio, facendo lobbies in sede europea a difesa delle misure dello stesso governo francese contro i rom.
Sollecitare, quindi, le coscienze italiane a diventare consapevoli di come sta cambiando l’Italia con la presenza degli immigrati, può essere un tentativo utile per affrancarci da ricette contrarie all’accoglienza “italiana” e alla solidarietà cristiana da molti condivisa, ma non abbastanza forte da spostare consensi elettorali tali da modificare programmi xenofobi e anticristiani a favore di soluzioni umanitarie, più volte proposte dalle associazioni d’impegno culturale e formativo, oltre che delle Caritas diocesane che vivono più direttamente il dramma dello straniero.
Italiani e nuovi italiani. Liberarci, quindi, dalla paura e accendere la curiosità verso il mondo che cambia potrebbe aiutarci a riconoscere il valore dell’Altro (maiuscolo, perché soggetto psicosociale reale). Qualche dato ci può convincere ad esempio, della faziosità di certa propaganda che pone a soluzioni di emergenze, la causa del contrasto tout court all’immigrazione, andando contro anche le stesse aziende che in tempo di crisi, rischiano di chiudere senza la manodopera degli immigrati volenterosi.
Chi sono? Gli immigrati sono una popolazione di cinque milioni di persone appartenente ad oltre 100 popoli diversi, composti da famiglie giovani con figli, da lavoratori e lavoratrici, per metà donne. I minori sono 864.000. Questa popolazione vive prevalentemente nel Centro–Nord e si è insediata nei territori seguendo le esigenze del nostro mercato del lavoro. Gli immigrati hanno contribuito e contribuiscono a rendere più giovane il nostro Paese. Un sesto dei nuovi nati in Italia ha almeno un genitore straniero ed i giovani di origine straniera incidono di un decimo sulle classi di età più giovani (i minori ed i giovani fino a 39 anni). Il 70% dei piccoli comuni, quelli con meno di 5000 abitanti, non attraggono nuovi cittadini e ben circa 3000, oltre la metà, sarebbero in irreversibile declino se non fossero arrivati gli immigrati a ripopolarli. Al Nord, al Centro ed al Sud.
Pregiudizi da sfatare. Il lavoro immigrato anche in tempi di crisi economica non ruba posti agli italiani, perché occupa i segmenti del mercato del lavoro che agli italiani non interessano mentre l’invecchiamento della popolazione con il conseguente bisogno di servizi alla persona, anche per mancanza di servizi pubblici e socio-assistenziali adeguati, lo ha reso e lo renderà sempre più necessario.
Se in Italia le porte fossero chiuse all’immigrazione, la popolazione giovane in età attiva tra i 20 e 40 anni scenderebbe tra il 2010 e 2030 da 15.4 a 11.3 milioni; una diminuzione di oltre 4 milioni; 200.000 unità in meno per ogni anno di calendario, fenomeno che in termini strettamente geopolitici, metterebbe in discussione anche il grado di rappresentatività del nostro Paese nello scacchiere del vecchio continente (a partire dal numero di seggi al Parlamento Europeo). Un allarme, da non sottovalutare, nel dispiego di soluzioni spesso dettate dal ritorno immediato di consenso. Infatti, solo azioni governative più flessibili e politiche sociali attigue al vissuto dei cittadini, delle imprese e delle realtà sociali importanti del nostro Paese (Terzo settore – Volontariato e Parrocchie), facilitano l’inserimento e l’adesione ai valori occidentali di una parte consistente di immigrati di seconda generazione che non avendo legami con il paese di origine, puntano le proprie energie e risorse nella nuova Patria.
Tuttavia, la presenza degli immigrati anima conflitti, obbliga a confronti e crescita culturale collettiva, obbliga a ripensare lo stato sociale ed i diritti di cittadinanza che oggi, nella Europa unita, non possono più riguardare il singolo Paese. Mai come ora, infatti, la cittadinanza può e deve divenire il motore del processo di integrazione politica, il cuore di una nuova Europa che sia davvero spazio di libertà, sicurezza e giustizia. A tale proposito, va ricordato che in Parlamento sono state presentate numerose proposta di modifica alla legislazione attuale in tema di riconoscimento della cittadinanza agli immigrati stranieri regolari. Quali le posizioni in campo? Il centro-sinistra, sposa l’idea che concedere la cittadinanza allo straniero favorisce l’integrazione. Una concezione diametralmente opposta a quella del centro-destra che ritiene, invece, che la concessione della cittadinanza debba avvenire alla fine di un percorso di integrazione: cioè lo straniero arriva regolarmente in Italia, lavora, si integra e sceglie di rimanere nel nostro Paese.
Nel concreto, di grande rilevanza politica alcune posizioni espresse in sede parlamentare. Qualcosa è in atto ed ha un colore trasversale agli schieramenti politici. Un esempio su tutti, l’iniziativa a firma del deputato del Partito Democratico e volto storico di “A Sua Immagine” Andrea Sarubbi – sottoscritta dal deputato finiano Fabio Granata – circa il dimezzamento dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza agli immigrati, ovvero di introdurre nell’ordinamento lo ius domicili, che significa concedere la cittadinanza a chi è arrivato in Italia all’età di 3, 4 o 5 anni, e che, avendo compiuto un regolare percorso di studi, viene considerato un individuo pienamente integrato.
In questa direzione vanno anche le prese di posizioni di autorevoli esponenti della maggioranza di centrodestra, tra cui Alessandra Mussolini e il Ministro delle Politiche comunitarie, Andrea Ronchi, che da mesi insistono sul tema. Idee non di mera convenienza politica, ma di “avanguardia” come le ha definite la presidente della commissione Giustizia alla Camera, Giulia Bongiorno, annunciando il sostegno politico del Presidente Fini, a “realizzare l’ integrazione di chi è in Italia, paga le tasse, rispetta le leggi e sente l’Italia come sua seconda patria”, ridimensionando la linea intransigente della Lega Nord e di parte consistente del Pdl, che andavano in contrasto alla direttiva comunitaria 38/2004, sulla regolamentazione della libera circolazione che deve essere garantita a tutti i cittadini europei, senza discriminazioni fondate sul reddito o sulla presunta appartenenza a un gruppo etnico. Infine, in sede europea, molti eurodeputati hanno dato sèguito ad iniziative simili. Per la prima volta diviene possibile definire a livello dell’Unione i contorni di una politica di ingresso e soggiorno con il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo. Occorre cogliere, quindi, questa occasione storica e costruire una nuova politica dell’immigrazione che realizzi, a partire dall’Italia, il sogno europeo dell’unità nella diversità e nel contempo, incentivare il ruolo pedagogico del legislatore perché ogni cittadino ravveda nell’esercizio della rappresentanza democratica, un modello di lettura superpartes della società, che non ceda alle sirene dell’individualismo e del capitale sociale della paura.
“L’incontro con “l’alterità” è una esperienza che ci mette alla prova: da essa nasce la tentazione di eliminare le differenze usando la forza, mentre da essa può anche generarsi la sfida della comunicazione, come sforzo che si rinnova costantemente”(Zygmunt Bauman, “Dentro la globalizzazione”. Laterza 1998).
Francesco Polizzotti