Il 20 luglio, all’indomani delle commemorazioni dedicate al Giudice Paolo Borsellino, i giornali hanno aperto le loro testate con un titolo che ha fatto sobbalzare dalla sedia coloro i quali dei valori di giustizia e verità hanno fatto il faro della loro vita, Antonio Ingroia a sorpresa rilascia una dichiarazione devastante: “Mi sento un bersaglio, andrò in Guatemala”.
E’ una notizia che fa discutere, soprattutto se si ripensa alle parole che il magistrato solo un giorno prima aveva pronunciato dal palco in Via d’Amelio: “Siamo nella camera della verità” alludendo alla ormai imminente svolta che l’inchiesta sulla “Trattativa” aveva fatto nelle ultime ore. Erano state parole di speranza ma con un fortissimo velo di rassegnazione quelle pronunciate dal Procuratore Aggiunto durante la conferenza organizzata da Antimafia 2000: un intervento dal retrogusto amaro. Da un lato la consapevolezza che la società civile appoggia in pieno l’operato di questi Servitori dello Stato; dall’altro la rassegnazione a dover lavorare con l’ombra della continua delegittimazione. Una situazione politica che non consente di lavorare con serenità ha spinto il giudice ad accettare l’incarico conferitogli dalle Nazioni Unite augurandosi che, una volta aperta la fase dibattimentale di questo importantissimo processo che potrebbe riscrivere la storia della seconda repubblica, la sua lontananza possa attenuare la continua pressione su questa Procura, abbastanza nell’occhio del ciclone per via delle inchieste condotte. La notizia sortisce un inaspettato effetto negativo su buona parte dei sostenitori: c’è chi vede una fuga, chi un tradimento da parte del magistrato. E neppure tra i colleghi vi è una presa di posizione netta: Stella Pende, nel suo blog, afferma che nella mailing list dei magistrati non vi è nessuna presa di posizione negativa o positiva sulla scelta di Ingroia di andare via dall’Italia.
Nel giro di ventiquattro ore, la Dottoressa Severino, Ministro della Giustizia , ratifica la scelta e mette fuori ruolo il magistrato. Nessun tentativo di persuasione, anzi. Un plauso alla scelta di Ingroia, arriva proprio dalle due donne che nella compagine governativa di Mario Monti rappresentano gli Interni e la Giustizia: “Se un magistrato sceglie di portare il suo operato e la sua esperienza al di fuori dei confini italiani per una causa importante come la lotta al narcotraffico, noi non possiamo che accordarla.” Il governo italiano, si lascia scappare uno dei magistrati di punta della Procura palermitana: un magistrato che ha volutamente scelto di esporsi perché i riflettori non si spegnessero e calasse il sipario su quelle stragi che ancora oggi fanno i loro morti. Perché se non si uccide fisicamente un magistrato oggi il metodo migliore e più efficace è quello di delegittimarlo. La stessa sorte sta toccando a Roberto Scarpinato, procuratore generale a Caltanissetta, reo di aver letto una lettera in Via D’Amelio in cui esprimeva un forte imbarazzo nel partecipare alle cerimonie di ricordo.
Queste le parole del magistrato: “Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà”. Il 24 luglio il CSM nella persona del consigliere laico Zanon un provvedimento disciplinare nei confronti del magistrato. Ma questa volta la risposta della magistratura è arrivata. 320 magistrati hanno scelto di sottoscrivere le parole di Scarpinato, intimando il CSM di aprire un azione disciplinare anche nei loro confronti. Per la Procura di Palermo non c’è letteralmente pace e i retroscena odierni resi noti da Il Fatto Quotidiano lo dimostrano.
Gli attacchi trasversali continuano. Nei confronti del Procuratore Capo Messineo e del Sostituto Procuratore Di Matteo sarebbero pendenti, rispettivamente, dei procedimenti disciplinari, introdotti da “ampio carteggio, per le condotte divulgative tenute con la stampa a ridosso della vicenda delle intercettazioni indirette che avrebbero coinvolto il Capo dello Stato Giorgio Napolitano a colloquio con Nicola Mancino, per il quale è stato di recente chiesto il rinvio a giudizio per le presunte false dichiarazioni rese ai pm nel corso del procedimento attualmente in corso sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia che avrebbe fatto da sfondo alla stagione stragista di 20 anni fa. In particolare si rimprovererebbe al Dott. Di Matteo, di cui è proverbiale e nota la pacatezza espressiva con qualsivoglia interlocutore e la dirittura morale e comportamentale, l’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica in cui appunto accennava, su richiesta di chiarimento formulata dalla giornalista redigente il pezzo, alle ormai note intercettazioni, sulla base di quelle che, peraltro, erano le notizie fatte trapelare dal settimanale Panorama qualche giorno prima. Il Procuratore Capo, invece, dovrebbe fornire chiarimenti circa la sua posizione di presunta omessa vigilanza sulle dichiarazioni rese dal Sostituto e di conseguenza precisare se abbia fornito o meno eventuali autorizzazioni a divulgare dettagli della vicenda investigativa.
Peraltro non bisogna ignorare gli effetti dirompenti che tale vicenda potrà assumere nel momento in cui il plenum del Csm dovrà procedere, verosimilmente il prossimo settembre, alla nomina del Procuratore Generale di Palermo per cui sono in lizza il Dott. Messineo e il Dott. Scarpinato allo stato dei fatti entrambi passibili all’esito dei procedimenti disciplinare imbastiti nei loro confronti, di una sanzione del calibro del trasferimento d’ufficio. E’ facilmente comprensibile come questo inusuale e costante “interessamento” che il Csm ultimamente sta nutrendo nei confronti di tutti gli esponenti della Procura di Palermo impegnati in inchieste e nella conduzione di procedimenti molto delicati per l’accertamento della verità su quelle cha ancora restano pagine oscure della storia della nostra Repubblica deve in un qualche modo allarmare e al contempo sensibilizzare l’opinione pubblica a prendere una posizione di sdegno netto circa atteggiamenti dalla carica delegittimante inaudita e neanche troppo celata. Il messaggio è chiaro bisogna inabissare ogni tentativo della macchina giudiziaria di fare luce su queste vicende oscure e dalle trame invisibili che non sfuggono all’osservatore lucido e attento ma che di fatto necessitano di ottenere una validazione probatoria in sede processuale. Ma i presupposti per una reazione di massa ci sono tutti stavolta. E’ in atto una vera e propria rivoluzione delle coscienze, l’opinione pubblica è allertata e il fatto che simili notizie arrivino come un fulmine a ciel sereno nel pieno di una rovente estate olimpionica aggrava il peso di questi fatti.
E’ come se certi loschi tentativi di delegittimazione si volessero fare passare sotto silenzio complice certa stampa compiacente e tutta una serie di fattori di disturbo per un’informazione libera e scevra da condizionamenti di natura ideologica e lontana da facili proclami. A sentire e volere definitivamente bandire “il puzzo del compromesso morale che si contrappone al fresco profumo della libertà” siamo in tanti, e possiamo solo crescere ed aumentare, per cui questi attacchi non solo ci lasciano indenni come cittadini che ancora credono in una democrazia sana, in cui i poteri dialogano tra di loro senza entrare in cortocircuito, ma ci rafforzano nel proposito di sostenere SEMPRE quegli Uomini e quelle Donne di Legge che hanno fatto della Giustizia il loro impegno e la loro indefessa missione.