di Massimo Costa*
*(docente di Economia Aziendale presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli Studi di Palermo)
Leggo su La Repubblica del 20 giugno scorso un bell’articolo sul No Cash Day: un’iniziativa promozionale nella quale tutti gli aderenti cercano di usare, almeno per un giorno, strumenti di pagamento elettronico (carte di credito, di debito, bancomat) e di non usare il portafoglio con banconote e monetine.
L’articolo, giustamente, evidenzia tutti i limiti del buon vecchio denaro circolante. In sintesi:
– è costoso, anche se nessuno parla del costo della tenuta dei conti correnti bancari;
– è poco pratico,
– è a rischio di essere smarrito o derubato;
– è sporco (non nel senso morale, ma perché sarebbe portatore di terribili batteri, di cocaina, etc…);
– favorisce l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco (questa volta nel senso morale);
– e soprattutto è antiquato.
Non ci credete? Basta vedere che l’Italia, tipicamente antiquata, si ostina ad usare il contante, mentre nella civilissima Svezia lo usano solo per il 5 % delle transazioni, in pratica le vecchine e i malfattori (ma come? Nella civilissima Svezia non si sono ancora liberati dei malfattori?). E, poi, ovviamente, il massimo uso di contante si registra nel disgraziato Sud e nelle Isole, terre abitate da popoli notoriamente incivili, retroguardie per definizione della magnifica e progressiva civiltà europea.
E quindi,… via monete e banconote! Ai lavavetri al semaforo chiederemo se hanno un POS per donare con il bancomat qualche decina di centesimi. Devo anche spiegarlo all’ambulante che viene sotto casa e dal quale regolarmente mi approvvigiono per la frutta di famiglia, ma vedrete che capirà, soprattutto quando gli avrò girato tutte le motivazioni di cui sopra.
Oddio, l’articolo, nel suo entusiasmo filo-bancario, trova il modo di citare anche di sfuggita qualche piccola protestina, ma non si sa bene quale, delle associazioni dei consumatori per il costo dei prelievi allo sportello e dei bonifici bancari. Ma si sa, ogni rivoluzione ha le sue vittime. Prima o poi il progresso trionferà sulla barbarie.
Non voglio entrare nel merito di questa iniziativa, anche perché, nonostante l’ironia che mi sono permesso contro le esasperazioni, credo che effettivamente la moneta elettronica (quella che un tempo si chiamava “scritturale”, perché era semplicemente “annotata” sui libri mastri delle banche) debba progressivamente sostituire quella fisica, sia essa cartacea o metallica. È semplicemente un fatto di progresso tecnologico, e il progresso non si ferma.
È esattamente la stessa cosa che è successa qualche generazione fa tra la moneta di carta e quella metallica. Esattamente la stessa.
Un problema però c’è. Se questa operazione riesce, essa equivale a dare corso legale alla moneta bancaria, e non più il corso forzoso che di fatto ha oggi. Detto facile: già oggi la moneta bancaria ha sostituito in gran parte quella legale, ma teoricamente ancora non è così. Teoricamente essa è ancora un debito della banca nei confronti dei depositanti, i quali, se vogliono, possono andare in banca a chiedere il contante.
Già oggi questa previsione è solo teorica, per ragioni che non richiamo per brevità “giornalistica”, esattamente come – tanti anni fa – il corso “forzoso” della banconota era di fatto una legalizzazione della stessa a fianco di quella metallica, allora teoricamente l’unica legale.
Ma la legalizzazione della moneta bancaria anche da un punto di vista formale, giacché – se non esistesse più il circolante – essa diventerebbe inconvertibile per sempre in una moneta che … non esiste più, pone un problema giuridico molto grave. Chissà se i fautori del No Cash Day si sono posti il problema.
In pratica se la moneta bancaria diventa moneta legale (come – a mio avviso – è già di fatto), che succede se io vado in banca a ritirare la mia giacenza al conto corrente? Succede che mi danno in cambio una carta ricaricabile dove “mi dicono” che c’è tutto il mio conto, liberamente spendibile. Se non mi accontento e vado alla Banca d’Italia, quelli ritirano la carta ricaricabile della mia banca, e in cambio me ne danno una direttamente emessa da loro. In pratica non possono più darmi ciò che non esiste più: la banconota o la moneta.
Perché accade ciò? Accade per lo stesso motivo per cui accadde cosa analoga quando fu legalizzata la moneta cartacea. Se vado dall’istituto emittente (l’Eurosistema, cioè in Italia la Banca d’Italia) a scambiare una banconota, in cambio me ne danno una nuova, non certo gettoni d’oro!
E così accadrà con la moneta elettronica.
Ora non si straccino i capelli i signoraggisti per questa nuova conquista. Tutto ciò in un paese civile è assolutamente normale, non è questo il problema!
Il problema dei problemi è: chi emette questa moneta che non è più un debito ma un provento?
Mentre le monetine, vestigio di epoche passate, sono emesse dal Tesoro, e quindi i magri introiti delle stesse vanno ancor oggi allo Stato, e le banconote sono emesse dalla Banca d’Italia (e dalle consorelle europee) lasciando a questa i benefici economici dell’attività di emissione, chi emette la moneta bancaria? A chi va dunque il provento per l’emissione di uno strumento di pagamento che, essendo diventato irredimibile, è soltanto formalmente un debito, mentre in realtà non lo è più?
Risposta: per una piccola frazione, la cosiddetta riserva frazionaria questa moneta elettronica, è pur sempre emessa dalla banca centrale, e quindi per essa valgono le stesse considerazioni delle banconote (un garbuglio tra pubblico e privato che, ancora per brevità, preferisco non affrontare, ma comunque con un residuo di “pubblico”, con benefici per lo Stato però minori di quanto non avvenga con le più vecchie banconote); per il resto è emessa dalle banche private (?!).
E quindi, con la scomparsa delle banconote, e con esse del rischio di corsa agli sportelli, la “passività” dei conti correnti, nelle banche, andrebbe di fatto a patrimonio netto. In pratica non potrebbero più fallire e sarebbero investite della prerogativa pubblica di emettere moneta, in cambio di interesse naturalmente, e – per questa via – di chiedere un tributo a tutta l’Europa che, però, a differenza degli altri, andrebbe a finire in tasche private.
Capite il trucco? Capite perché le banche vogliono fare sparire il circolante?
E pensate che questo ultimo passaggio è quello di diritto. Perché di fatto è già così.
Quindi: non fermiamo il progresso, ma se la funzione bancaria è diventata quella di “battere moneta”, non ci sono storie che tengano, in democrazia le banche devono tornare tutte in mano pubblica. Devono cioè essere nazionalizzate, regionalizzate, comunalizzate, quello che volete. Ma non si può lasciare una funzione pubblica in mani private.
Le banche private potranno sopravvivere, ma senza creare moneta, come le odierne “società finanziarie”, con una riserva frazionaria pari al 100 % dei loro depositi. In tal modo presteranno solo il denaro che avranno realmente raccolto e non quello che avranno “virtualmente” coniato in modo elettronico.
O, altrimenti, rassegniamoci ad un sistema di pagamento moderno, sì, ma anche ad una perenne schiavitù di un intero continente ad una strettissima consorteria finanziaria. Che a ben vedere non è tanto lontana.