Il nuovo libro di Nicola Bozzo, collezionista di ombre.
Toccato, avuto fra le mani il 28 novembre 2018 al Salone degli Specchi della città Metropolitana di Messina, che già il luogo la diceva lunga sull’oggetto e ben più sui soggetti contenuti dentro quelle pagine di bella carta, protette dalla raffinata copertina: una foto di ombre e luci agghiaccianti.
Bello il libro, curato e patito a lungo.
Finalmente lo apro: non molte pagine, lettura affrontabile in poche ore, d’altra parte conosco già da lunga pezza la scrittura di Nicola ; e invece, no; la scrittura è corposa , quasi fisica , e visiologica ad un tempo, come sono tutte le cose che riguardano il pensiero umano e le sue opere: contestuali e contemporanee.
Già dalle prima pagine si impone la rilettura, per gustarne i marchingegni semantici, per familiarizzare con la foschia che imbriglia i ricordi, per mettere a fuoco le suggestioni dell’esploratore delle notti, acide e dolci, di una città che somiglia a tante altre, contemporaneamente ; che in quel pezzo di Lisbona sogna l’Oceano e che invece si scontra con lo Stretto, metafora di un cappio, come di un legame intimo e rassicurante.
Una città , la prima dell’Isola in ordine di distanza, lontanissima dal nord e dal sud, segnata in tutte le carte come luogo d’attracco e di sbarco, come madrina di un lembo di mare, ma questa città notturna, viva nei meandri di un archivio, non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai.
Esattamente come i personaggi di un libro che vivono svolazzando fra pagine di carta, amministrando territori immateriali, stagliati sul confine illibato che confonde il vero e il suo essere altro.
Veri sono i personaggi di questo libro che conta le lune, fatti di tessere raccolte nottetempo su un volto rugato, sull’orlo di una banchina, sulla chioma sconvolta dal vento , o dal bavero sollevato a proteggere i fiati , dal gesto di un impiegato di un ufficio pubblico, dall’urlo disperato e monotono di un povero cristo che ha perso se stesso, dai cristalli sanguigni che ornano le chiome della colpa di troppi ; veri, tutti veri. Attimi e flash, impastati ad arte, con un lievito narrativo multidimensionale, dentro una mente esigente, imbevuta di letteratura e tesa all’ordine delle cose.
Imperativo etico : rimettere le cose al loro posto, dare giustizia ai vissuti; unico strumento possibile la parola poetica sviscerata in visioni lampanti e conducenti tutte sul filo steso fra due sponde, il vero e l’accaduto.
Percorrere quel filo esige equilibrio estremo, capacità di lievi oscillazioni al cospetto di forti emozioni, la lettura diviene ingegno oltre che impegno, Le cinque lune di Miskyn , proiettano dei barlumi fulminanti su libri molto amati, su autori citati ad ogni luna con scientifica precisione, su architetture narranti già gustate.
(Come se di notte un viaggiatore tornasse nella Città invisibile stazionandovi per Cent’anni di solitudine per poi partire per un altro Viaggio al termine della notte… e via rimbalzando)
La scrittura di Nicola Bozzo, rappresenta ed anima le sue visioni ,che come ci dice egli stesso , celandosi nella trama “testimoniano la magia del reale, la sua incontenibile esuberanza quando decide di non essere più tale. Aveva la sensazione di essere visto e non vedere”. (pag. 15)
Ed ecco che interagendo dalla sua più intima prospettiva col primo dei protagonisti Davide che “ dopo 9 anni scrive l’unico libro nuovo …ingannato dalla straripante presenza di migliaia di libri che lo costringevano a raggomitolarsi su se stesso per cercare le soglie di altre stanze. Avrebbe voluto scrivere del risveglio, ma la grazia accade” (pag. 16), ( esattamente come l’arte), offre la genesi e la necessaria evoluzione degli accadimenti rimasti invischiati fra l’anima e le pagine, costringendo l’autore a dispiegare amorevolmente quel “ codice istintuale che illude di scegliere quello che in un laboratorio genetico modula a suo piacimento: Solo pochi si salvano, loro la parte indicibile, quella che ha lo sguardo rivolto all’inferno” (pag. 28). E quindi , “ quella sostanza lucente tracima fuori da ognuno di noi così ciò che apparentemente è solo nostro scorre nella vita di un altro”.
Questa è letteratura e questa è arte. Che chiama e richiama, che volge e si svolge, adulandosi e contorcendosi senza tempo, oltre i tempi , in una giornata plumbea, afosa e terribile in cui si sovverte l’usuale, ma tutto scorre ugualmente tragico, ugualmente necessario , immobile , in attesa che ritorni il vento coi suoi turbini esistenziali, vivificatori.
E se poi si volesse alla fine spiegare questo libro nuovo, non si avrebbe che rileggere all’incontrario le citazioni riportate , il mistero è svelato: nella casa delle parole si giunge per forza al silenzio (pag. 19)
Francesca Cannavò
H. Melville Quiqueg era nativo di Rokovoko,
un’isola lontanissima all’Ovest e al Sud.
Non è segnata in nessuna carta:i luoghi veri non lo sono mai.
M. De Unamuno
E oso dire di più: scriverò un saggio in cui sostengo
Che non sia esistito Cervantes e si, invece, Don Chisciotte.
E visto che Cervantes non esiste più e che, al contrario,
continua a vivere Don Chisciotte, dovremmo tutti
lasciare il morto per seguire il vivo,
abbandonare Cervantes e accompagnare Don Chisciotte
F. Pessoa
La letteratura, come tutta l’arte, è confessione dell’insufficienza della vita.
Tagliare l’opera letteraria sulle forme stesse di ciò che è insufficiente
Significa non essere capaci di sostituire la vita.
Ogni fantasma, ogni creatura d’arte, per essere, deve avere il suo dramma,
L. Pirandello
cioè un dramma di cui esso sia personaggio e per cui è personaggio.
Il dramma è la ragion d’essere del personaggio;
è la sua funzione vitale: necessaria per esistere.
G. Leopardi
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti.
A. Checov
Il mio discorso è disordinato,
febbrile come un delirio,
impetuoso e non sempre intellegibile,
ma vi si sente un ché di straordinariamente buono.