Con l’arrivo della pandemia i rider sono moltiplicati, soprattutto a Messina, dove questa attività è l’unica prospettiva oltre lo sfruttamento lavorativo. Andiamo a scoprire il loro lavoro e le loro reali condizioni.
Sono gli unici che girano di sera nelle strade della città a bordo di bici, di scooter e di macchine. Lavorano con contratti autonomi che vengono assegnati da un algoritmo. Nessuno in città difende realmente i loro diritti. Sono i rider, la categoria lavorativa che in questo momento storico ha visto un aumento vertiginoso dei suoi componenti.
Nell’ultima settimana, il dibattito pubblico nazionale, tra una crisi di Governo e il VAR del voto di Ciampolillo, è stato animato da un articolo de “La Stampa” che, basandosi su informazioni non precedentemente verificate, ha destato scalpore. La Boralevi, autrice del pezzo, ha dichiarato che i rider, se lavorano a tempo pieno, possono arrivare a guadagnare sino a 4000 euro al mese come nel caso del Sig. Zappalà che da commercialista è diventato rider. Subito dopo varie testate hanno smentito la notizia.
Sulla lettura “provocatoria” di questo articolo, la nostra Testata ha deciso di portare alle luci il reale mondo dei rider della Città dello Stretto.
Chi sono i rider?
I rider sono tutti coloro che, prima dell’arrivo dell’anglicismo, erano chiamati fattorini. A differenza di quanto avveniva precedentemente, la maggior parte dei rider non lavorano più per un esclusivo negozio o impresa, ma per grandi aziende di delivery che gestiscono contratti con le singole imprese locali. Nello scenario messinese, sono inoltre presenti due network di delivery che si occupano della maggior parte dei locali di ristorazione nella città.
La maggior parte dei nostri intervistati sono studenti universitari che, per arrotondare e per pagarsi le tasse universitarie, hanno deciso di darsi da fare durante il periodo di lockdown. Alcuni di loro hanno già avuto esperienze lavorative nella nostra città, spesso anche deludenti. Tra lavoro in nero, salari deludenti e sfruttamento, difatti, le possibilità lavorative a Messina sono davvero basse. Secondo l’ISTAT (Indagine del 2018) il tasso di disoccupazione giovanile a Messina è del 21.7%, contro una media nazionale del 30.8%.
Dinanzi questi dati drammatici, l’attività di rider diviene un vero e proprio lavoro primario sia per chi ha perso il proprio posto a causa dell’attuale crisi sia per chi non ha intenzione di sottostare alla logica del lavoro in nero o mal salariato presente ancora nella nostra città.
Dal call center alla strada.
Poi ci sono testimonianze come quella di Giuseppe che, dal febbraio 2019, ha intrapreso questa professione come lavoro secondario. All’inizio Giuseppe lavorava per un call center con uno stipendio base di 4€ l’ora; per guadagnare qualcosa in più ha fatto richiesta ad una grossa azienda di delivery internazionale.
“All’inizio eravamo pochissimi, i guadagni erano molto alti perché il numero di rider a fare le consegne era basso” racconta Giuseppe “i primi mesi riuscivo pure a fare 1500€, essendo pagato circa 7,50€ all’ora di base. Proprio questi guadagni mi hanno portato a lasciare il mio posto di lavoro e dedicarmi a questa professione. […] Superati i 5000€ annui sono stato costretto ad aprire la partita I.V.A. che, ovviamente, ha fatto diminuire i guadagni al netto poiché ha una tassazione differente.”
Giuseppe è l’unico dei nostri intervistati che ha intrapreso questa attività prima dell’inizio della pandemia. I diversi lockdown e la conseguente crisi economica hanno cambiato totalmente questo settore lavorativo. Oltre a chi ha trovato in questa professione un’alternativa nell’attuale vuoto lavorativo, molti giovani hanno deciso di diventare rider, invece, per fare qualcosa di produttivo.
L’overservice: più ordini, meno guadagni.
Il conseguente aumento di fattorini, avvenuto maggiormente dopo l’estate, ha sancito anche un’ulteriore depressione dei guadagni per i rider. Difatti, sia l’aumento delle richieste di consegna a domicilio sia quello sproporzionale del numero di rider hanno sancito l’improbabilità di poter fare più di 3 consegne a sera, contro la media di 10 del precedente lockdown. Ciò ha provocato un ulteriore diminuzione media della busta paga.
E’ fondamentale ricordare l’ulteriore cambiamento del contratto delle maggiori aziende di delivery nazionale. Se prima solitamente si veniva pagati circa 7,50€ lordi per ogni turno di lavoro di un’ora, oggigiorno il salario orario base è sceso a 6€ lordi, circa 4.8€ netti.
Inoltre, una sentenza del Tribunale di Bologna, che dichiara l’algoritmo (basato su un indice di affidabilità del rider), su cui si basa il contratto a chiamata dei rider, “discriminatorio per i lavoratori”, ha anche diminuito le proposte di consegna che, teoricamente, dovrebbero essere gestite in maniera randomizzata.
Secondo molti lavoratori del settore, invece, l’indice di affidabilità non è più palese nelle app di servizio, ma rimane in vigore come indice implicito di funzionamento dell’algoritmo.
I rischi.
I recenti fatti di cronaca ci dimostrano che l’attività di rider non è tra le più semplici al mondo. Nella notte tra l’1 e il 2 gennaio, a Napoli, un rider è stato aggredito ed ha subito il furto del suo scooter, elemento essenziale per continuare la sua attività. Fortunatamente, gli aggressori sono stati identificati e lo scooter è stato riconsegnato.
Questi episodi, però, non avvengono solo nel capoluogo campano. Durante gli ultimi mesi, molti intervistati ci hanno raccontato di colleghi rider che in alcune zone della città sono state vittime di rapine durante e dopo le consegne. Francesco, un giovane rider, ci racconta che “è fondamentale per noi la possibilità di rifiutare di consegnare in certi quartieri della città, perché spesso c’è preoccupazione”.
Guglielmo, invece, racconta dei pregiudizi della gente “durante il primo lockdown eravamo trattati come degli eroi, come se fossimo operatori sociosanitari.” La gente si abitua a tutto, anche all’attuale. Qualche giorno fa lo stesso Guglielmo è stato bloccato per strada da una signora che lo ha insultato perché stava andando a lavorare durante la quarantena.
La mancanza del sindacato.
Se nelle maggiori città d’Italia lavoratori del delivery sono scesi a protestare per le strade contro le proprie condizioni lavorative, a Messina ciò non è ancora avvenuto.
La mancanza di una prospettiva lavorativa, eccetto le attività in nero o lo sfruttamento, fa sì che diventare rider sia l’unica possibilità lavorativa nella nostra città con un contratto e con maggiori diritti rispetto altre occupazioni. Per questo motivo, gli stessi rider peloritani non sentono un reale bisogno di organizzarsi in sindacato.
Sebbene ciò, l’attuale contratto di lavoro collettivo siglato tra UGL e AssoDelivery è ampiamente criticato poiché non pone un reale avanzamento sulle reali condizioni. La richiesta di molti rider è quella di non essere più considerati più come lavoratori autonomi ma come veri e propri fattorini o corrieri dipendenti di una grande azienda.
Quanto guadagnano i rider? Un finale scontato.
Come probabilmente avete già intuito, i rider non guadagnano uno stipendio da manager, come prospettato da La Stampa. Mediamente i guadagni netti mensili si aggirano tra i 600€, per un orario lavorativo simile ad un part-time, e i 1200€ nei periodi in cui non si verifica l’overservice.