Le due sponde del malaffare

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Messina , la città negata regnano cemento e armatori


Per sorridere un po’ sedetevi all’antico bar Santoro,tuffate la brioche nella granita di caffè e ascoltate il chiacchiericcio sul “giallo di Messina”, una storia a metà tra Brancati e Camilleri. Chi è l’uomo che qualche notte fa si è appartato in macchina con una procace ragazza dell’Est in un anfratto di Maregrosso e poi, nel momento culminate del suo fugace rapporto, per sfuggire a due rapinatori si è lanciato in mare” “così i nesceri pazzi”, sentenzia uno,
 “E’ un giudice sittantino”, è sicuro un altro. “ma quando?-replica un terzo scettico sull vigoria dell’anziano togato-E’ il figlio del dottore…quello che si deve sposare con la figlia di….”.Vanno avanti per ore a fantasticare di nomi.
Ma se invece volete ridere e piangere, spostatevi in Piazza Duomo, al comizio dell’onorevole Cateno De Luca, candidato al Parlamento siculo nelle liste del Partito della rivoluzione siciliana. Slogan
 “’U megghiu avi a rugna”. Eloquio fluviale per una piazza di forconi e fascistume di Forza Nuova. Bava alla bocca contro la casta,ironia sull’avversario Miccichè, “che tra un fumo e l’altro viene a dire michiate”,rozzezze su Rosario Crocetta ,“ho avuto un incontro con lui, però attenzione eh, non sto cambiando gusti”. Ma i veri nemici di Cateno De Luca sono i magistrati, “mi hanno toccato nell’onore,vogliono farmi rimanere nell’ignòminia (l’emozione gli fa sbagliare la posizione dell’accento), ma il giudizio sulla mia persona lo daranno i siciliani il 28 ottobre”. Applausi per l’onorevole Cateno, che da sindaco di Flumendisi finì in galera, ma poi venne scarcerato, per tentata concussione e falso in atto pubblico. Secondo i pm, con i soldi stanziati dalla UE per il risanamento della sua città aveva realizzato “interventi edilizi di notevoli dimensioni riconducibili al sindaco e ai suoi familiari”. E’ Messina, città brodaglia, dove tutto si confonde, buoni e cattivi, governanti ed oppositori. E tutto si tiene. Prendete il sindaco Giuseppe Buzzanca, noto al di là dello Stretto perché all’inizio degli anni Novanta si fece accompagnare dall’auto blu a Bari per imbarcarsi su una nave da crociera, una bravata che gli costò la condanna per peculato d’uso. Un passato da “doppiolavorista”. Era sindaco e deputato regionale. Quando le leggi nazionali stabilirono l’incompatibilità tra i due incarichi, fece votare una norma ad  personam dalla Regione e giurò che mai avrebbe “abbandonato la città”.Applausi. Ad agosto, però, ha lasciato le chiavi del Comune ad un commissario per candidarsi di nuovo alla regione.”Buzzanca tratta Messina come una buttana”, ironizzano i messinesi. Ha coperto la città di manifesti e gigantografie sulle meraviglie realizzate.”perché le fotografie sono fotografie e nessuno può distruggere quello che abbiamo fatto”. Ha ragione. Il comune è sull’orlo del baratro finanziario. “Se a dicembre non cambia la situazione-dice il commissario straordinario Luigi croce- si rischia il dissesto”.All’Atm, l’azienda dei trasporti,i dipendenti vengono pagati a singhiozzo, in una città che supera i 200 mila abitanti, circolano 18 bus e 4 tram. Veleggia verso Palermo,Buzzanca,fottendosene allegramente della classifica sul gradimento dei sindaci del Sole 24 ore che lo precipitano al 96° posto. “E’ Messina,città negata , dove si dimenticano terremoti e alluvioni, si aggrediscono le colline e nelle fiumare si alzano palazzi di sette piani”, dice l’ingegnere Enzo Colavecchio di Legambiente.E’ la città delle gru e dello scempio legalizzato.Perchè a Messina comandano i costruttori che si spartiscono il potere insieme agli armatori. I Franza a destra, i loro soci Genovese a sinistra, nel PD. Viva “Franzantonio”. Francantonio Genovese ha raccolto l’eredità del padre, sei volte senatore Dc, e dello zio Nino Gullotti,uno dei potenti dello scudo crociato siculo.Onorevole a Roma, ha piazzato alla regione suo cognato Francesco rinaldi, 18 mila voti alle scorse elezioni, ricandidato e certo di bissare l’exploit. Non solo navi e traghetti, ma corsi di formazione professionale, un business che in Sicilia vale 455 milioni e soprattutto tanti voti. I Genovese controllano una miriade di enti che quest’anno hanno rastrellato 2 milioni di contributi. Tutto rigorosamente gestito dalla famiglia, come ha scritto Antonio Rossitto per panorama : la moglie dell’onorevole Francantonio, tre cognati e due nipoti. E’ Messina dove i gattopardi sanno anche annusare il vento di cambiamento. “Alle prime assemblee- ci racconta la “grillina” Maria Cristina Saija- c’era tanta folla, ma anche troppi tipi strani, quando gli abbiamo urlato in faccia che il movimento non era un ufficio di collocamento sono spariti tutti”. Le baracche, quelle del terremoto del 1908 e dei bombardamenti del 1943, invece sono tutte lì. Un monumento alla vergogna,con oltre 3 mila messinesi che campano in queste favelas. Il risanamento lo promettono tutti, l’ultima legge è di 22 anni fa. 500 miliardi di lire per nuove case, più altri 70 milioni di euro nel 2004.Ma i baraccati di Messina. Aspettano ancora. Divisi tra Franza e Antonio.

 

Reggio Calabria, impiccata al cappio della ‘ndrangheta


La città col cappio al collo.Stretto da una classe dirigente di ex fascisti diventatai berlusconiani in doppio petto che ha portato il Comune sull’orlo del fallimento, infarcito la regione di onorevoli che si inginocchiano davanti ai boss in cambio di voti, o che al Cafè De Paris brindavano con mafiosi calabro-lombardi, oppure –ed è l’infamità più grande- che ingannavano giovani disoccupati promettendo inesistenti posti di lavoro.
Reggio Calabria aspetta e trema.Oramai non ci saranno più rinvii, il prossimo consigliod ei ministri deciderà se sciogliere il consiglio comunale per mafia e inviare una tsk force di commissari.Perchè la ‘ndrangheta comanda a Reggio, ha eletto consiglieri comunali, ha parenti che sono pure assessori, è dentro le municipalizzate. Il governo deciderà martedì, è la voce che rimbalza nei corridoi di palazzo San Giorgio, la sede del Comune.E allora gli uomini di Berlusconi nella Fortezza Bastiani azzurra in riva allo Stretto,si ricordano di essere anche gli improbabili eredi di Ciccio Franco,il leader della rivolta del 1970. Si appellano alla
 “regginità” e chiamano alle armi. Un manifesto firmato da 500 “personalità”, una manifestazione di studenti al grido di “ non commisariamo il nostro futuro”. Due flop.Perchè alcuni firmatari dell’appello si sono dissociati e gli studenti in piazza erano una trentina. Non è più tempo di rivolte.
Ma di caccia ai nemici si,
 nel regno di Giuseppe Scopelliti, l’ex giocatore di basket diventato prima sindaco della città e poi governatore della Calabria. “Vogliono alla gogna i nemici della città, i pochi non allineati al sistema.La verità è che stanno perdendo la testa, sentono che la stagione dell’impunità è finita e puntano sull’inganno della regginità.Come dire ? Se finiamo nel baratro noi, ci finite tutti”. La scrittrice Paola Bottero affonda senza pietà le mani negli angoli più oscuri del potere e nelle piaghe più purulente della sua città. “Reggio è grigia –dice- perché oramai ovunque, anche dove le ‘ndrine non sono arrivate,si respira questa cultura mafiosa,si cerca l’appartenenza a questa o quella fazione”. Tremano i palazzi della politica e i loro voraci abitanti, portaborse, consulenti, gente che vive nell’ombra del potere. Guardano con allarme alle decisioni di Roma, e ancora di più alle notizie che filtrano dal Cedir.Un ginepraio di cemento e vetri dove lavorano i pm dell’antimafia.Si parla di inchieste che colpiranno i “centri di potere della città ancora nell’ombra”, la massoneria e quei “tavolini” che guardano con interesse sia a destra che a sinistra. Chi si gioca tutto è Giuseppe Scopelliti, l’inventore del “Modello Reggio”, festa,farina e forca (con le passeggiate in centro di Valeria Marini e dei Lele boys) e l’illusione della città metropolitana. Il risultato è un debito del Comune impossibile da quantificare e un disavanzo che oscilla tra i 160 e i 180 milioni.Lui, il sindaco Demi Arena, e i politici che gli fanno da contorno, suonano la carica di un’improbabile riscossa. E negano un dibattito sulla legalità chiesto da un migliaio di aderenti dell’associazione “Reggio Non Tace”. Brava gente che si è dovuta rivolgere al Tar per vedersi riconosciuto il diritto a un’assemblea sulla legalità, che il sindaco non vuole fare.A tutti i costi, anche appellandosi al Consiglio di Stato.Mezzucci. L’eclissi violenta di un potere è iniziata.

 Altri uomini,con insegne politiche diverse, sono pronti a sedersi allo stesso tavolino con i centri di potere occulto per fare il gioco di sempre. Mangiarsi Reggio.

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