Le Lazzarelle: quando la rieducazione diviene indipendenza.

Cosa accade quando le donne detenute scelgono di riscattarsi? Una domanda semplice per chi vive a Napoli. Il caffè Lazzarelle. Infusi, torrefazione di caffè, catering e molto altro sono il prodotto delle Lazzarelle che decidono di cambiare la propria vita.

Ma chi sono le Lazzarelle? Il termine dialettale napoletano vuole essere il sinonimo femminile dello scugnizzo, ovvero il ragazzo birbante che ha commesso dei reati. Così, le Lazzarelle sono le donne della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli alle quali viene offerta la possibilità di un riscatto mediante il lavoro regolare.

 La cooperativa Le Lazzarelle nasce nel 2010 e si occupa di torrefazione, preparazione infusi, catering e bar. Attività spesso complesse per quello che si può fare in carcere. Ma le Lazzarelle non si sono fermate soltanto all’interno delle mura del circondariale. Le hanno superate e sono arrivate in tutto il mondo. Difatti, la cooperativa, rispettando la tradizione della torrefazione napoletana, ha l’obiettivo di difendere e rivalorizzare  due soggetti deboli: le detenute e i produttori di caffè del sud del mondo. Proprio per questo motivo, tutta la materia grezza, adoperata dalla cooperativa, proviene dal mercato equo solidale.

Dopo aver fatto il giro del mondo, le Lazzarelle non si sono fermate. Hanno deciso davvero di evadere dalla casa circondariale per arrivare sino alla Galleria Principe di Napoli, dove hanno aperto un proprio bistrot, cogestito dalle stesse detenute e dalle lavoratrici libere della stessa cooperativa.

La storia di questa cooperativa è davvero unica e sorprendente. Una storia di riscatto sociale che ha cambiato la vita di molte donne che arrivano da situazioni in cui l’unico lavoro sia lo sfruttamento criminale. Una realtà che non è solo comune all’underground sociale partenopeo ma di tutte le città del Bel Paese. Un vivere quotidiano che non valorizza l’esistenza delle donne e dei soggetti deboli, che si basa sul mero sfruttamento, che non vede alcuna possibilità di riscatto.

In questo tetro scenario, le cooperative sociali, come Le Lazzarelle, hanno l’onere di offrire una visione alternativa alle donne che sono arrivate in carcere, spesso, per aver commesso reati finalizzati a mantenere la propria famiglia. Difatti, dove lo Stato con l’assistenza sociale non arriva, si annidano le organizzazioni criminali che, tutt’oggi, continuano a lucrare sulle spalle dei soggetti più fragile nella società.

Di seguito la nostra intervista a Imma Carpiniello.

Chi sono le Lazzarelle?

Le Lazzarelle sono le birbantelle, è il femminile dello scugnizzo. Nello specifico, le Lazzarelle sono le detenute del carcere femminile di Pozzuoli, che sono state Lazzarelle pure loro, che hanno commesso dei reati e poi sono finite in carcere per piccoli reati. Vengono tutte quante da percorsi complicati, dalle periferie.

Qual è il livello medio di istruzione?

Il livello è molto basso. Nel carcere femminile di Pozzuoli ci sono le elementari. Da un paio di anni, per legge, è stato istituito il polo universitario, dove frequentano soltanto due iscritte su circa centosessanta detenute. Sono donne che vengono dalla periferia. Sono donne che, se avessero avuto altre opzioni (welfare, sostegno, altre scelte di vita), non avrebbero solcato la soglia del carcere.

In che modo i servizi sociali, lo Stato hanno agito nella vita delle Lazzarelle prima di giungere in carcere?

E’ tutto molto complicato. Ci sono operatrici sociali molto brave ma che si scontrano con un sistema di welfare che va sempre sulla stessa direzione: il taglio. Così la buona volontà è sempre demandata al singolo. Questo è l’elemento su cui riflettere. Inoltre, si aggiunge il fatto che l’accesso alle misure esternative sono complesse.

Come fai a far capire ad una di queste donne che non è una delinquente ma solo una Lazzarella?

Mediante due elementi: non giudichiamo mai il reato che hanno fatto, e valutiamo il lavoro. Tutte le detenute sono regolarmente assunte. Questo passaggio va un in contrasto con quello che c’è fuori e avvia un processo di riconoscimento della persona.

Si manifestano pressioni esterne all’interno dell’istituto?

Non si manifestano. Più che altro vi possono essere pressioni familiari ma non ne vogliamo essere a conoscenza.

Cosa accade dopo che una donna, che affrontato un percorso con le lazzarelle, ritorna alla libertà fuori dal carcere?

La donna appena arriva in carcere sente il distacco dai figli e dagli affetti. Questo pesa tantissimo e diviene un deterrente per ritornarci. Se il lavoro è stato fatto bene, loro stesse decidono cosa fare.

Ti è mai capitato di affezionarti ad una Lazzarella in maniera particolare?

No. Tutte. C’è chi mi ha fatto arrabbiare di più. C’è chi meno. Tutte mi attraversano.

Esiste un elemento che non si riesce a debellare nelle ragazze?

Lo stile di vita che si ritrovano a fare sia i genitori che le figlie. Vi è una carenza educativa. Rimangono incinta a 16 anni così come faranno anche le loro figlie.

Negli ultimi giorni si parla di riforma delle misure della giustizia e carcerarie. Cosa servirebbe davvero ai luoghi di detenzione femminile?

Sicuramente tutta la parte dedicata alle misure detentive alternative. Quelle dovrebbero essere la pietra angolare di tutto. In questa maniera si abbattono pure il numero delle detenute. Quando si arriva in carcere si perdono una serie di cose che portano che poi difficolta a riadattarsi una volta uscite. Inoltre, chi è stata condannata al primo grado di giudizio non dovrebbe entrare in carcere se non per reiterazione del reato, pericolo di fuga e inquinamento delle prove. In questa maniera si alleggerirebbe la pressione delle carceri.

Come viene vista l’attività delle Lazzarelle dalle altre donne che vivono lo stesso tessuto sociale delle Lazzarelle?

Viene vista bene. Ma non riesce a cambiare la vita di queste finché non attraversano il carcere.