Qualche mese fa Marco Damilano, direttore de L’Espresso, ha pubblicato un libricino intitolato “Il palazzo e la Piazza”. L’ho letto nei 50 minuti di autobus che dividono la zona sud di Messina con Capo Peloro.
Credo che sia più attuale che mai riprendere il concetto espresso in questo titolo: il palazzo e, solo successivamente, interrogarsi su quale piazza? E’ difficile rispondere alla domanda cos’è il Palazzo, ma ancora più complesso analizzare le piazze. Sfortunatamente, nella scorsa settimana molti colleghi hanno tentato di descrivere e raccontare le manifestazioni, ma con un tocco di deciso reazionismo, causato dalle violenze nei confronti delle troupe giornalistiche.
Questa volta la narrazione dei giornali è stata brutale, come quella dei politici: chi ha manifestato a Napoli contro il Coprifuoco di De Luca era o mafioso o fascista; a Torino, invece, era pieno di black block e centri sociali (CSA) che si sono divertiti a fare i saccheggi; a Roma, le proteste sono state indette da Forza Nuova che si schierata con i CSA soltanto per fare gli scontri contro le forze dell’ordine.
La piazza non si è ancora riempita
Ma è il primo giorno
È troppo facile contarsi
E farsi riconoscere da tutti
Casomai il secondo giorno
I Ministri- La Piazza
La realtà è sfortunatamente un’altra: il popolo ha fame. Si potrebbe anche aggiungere che la gente si è stancata di vivere in uno stato di guerra determinato dai politici al potere rinchiusi nei Palazzi, ma su questo tema mi dilungherò successivamente. La realtà è che la chiusura alle 18:00 non ha solo tolto il pane dai denti a molti datori di lavoro, ma soprattutto ai lavoratori che, per una becera cultura sempre italiana, spesso si ritrovano a svolgere il proprio lavoro in nero: quindi, senza garanzie o possibilità di accedere ad una cassa integrazione.
Il dramma dei millenials:
I lavoratori che sono scesi a manifestare sono anche e soprattutto millenials. Chi di loro ha ottenuto un lavoro negli ultimi anni, un contratto a tempo indeterminato, si è ritrovato in cassa integrazione (CIG). Spesso la CIG non è arrivata. Per esempio, molti cassaintegrati aspettano di ricevere le quote arretrate da aprile, il secondo mese dal primo lockdown. Altri hanno ricevuto pagamenti dagli Enti predisposti anche di 5€. Tutto questo ha portato i millenials a regredire nuovamente: chi non è riuscito a pagare l’affitto, ha affrontato il viaggio da “untore” ed è tornato a convivere con i propri genitori; molti altri si ritrovano a tentare la sorte con lavoretti sporadici e mal retribuiti.
La condanna di questa generazione è duplice: da un lato la crisi finanziaria del 2008, dall’altro l’attuale pandemia. La fortuna non ha giocato a loro vantaggio. Neanche i politici che avrebbero dovuto assicurare un domani migliore. Negli ultimi anni, vari Ministri hanno degradato la laurea ad un vano pezzo di carta che, senza esperienza lavorativa, non serve a nulla. Basti pensare alla clamorosa dichiarazione di Giuliano Poletti, ministro del lavoro con delega alle politiche giovanili per il Governo Renzi e Gentiloni, che, nel marzo 2017, suggeriva ai giovani di cercare lavoro giocando a calcetto che presentando curriculum alle varie aziende.
Il crimine di Stato:
La generazione dei millenials sfortunatamente non è l’unica che sta subendo questo fallo da parte della vita. Altre vittime di soprusi e abusi di Stato sono gli artisti e i lavoratori dello spettacolo. Loro hanno manifestato sino ai primi di ottobre in tacito silenzio: prima lanciando l’hashtag #senzamusica, il 10 ottobre sono scesi con i bauli tecnici a Piazza Duomo di Milano. Venerdì scorso, infine, sono scesi nelle piazze ad urlare la loro voce.
Ho definito propriamente lo stato in cui versano gli operatori dell’arte e dello spettacolo come abuso perché il loro lavoro non è riconosciuto da alcun ente, vivono a tournée e senza alcuna sicurezza per il futuro. Molti musicisti hanno deciso di organizzare gli spettacoli estivi devolvendo gli incassi esclusivamente ai propri tecnici. Ma questo non poteva e non può bastare. Inoltre, lo Stato italiano è da anni che non punta sul valore dell’arte. A seguirlo in questa becera tendenza ritroviamo gli enti locali del Sud che hanno rimosso “CULTURA” come parola nel vocabolario politico popolare, e l’hanno spostata all’interno di una semantica per l’elité.
I gestori e le partite iva:
Ad alimentare le piazze ci sono soprattutto i lavoratori indipendenti, i gestori delle attività definite non essenziali come le palestre, le scuole di ballo, i ristoratori, i commercialisti, i tassisti, gli avvocati e gli studi professionali. Questi lavoratori sono quelli più o meno organizzati: esistono associazioni di categorie che li rappresentano ed in tutte le città di Italia si sono coordinati per scendere in piazza e manifestare non la massa ma un’unità.
La morte della socialità e la resilienza del mutualismo:
Infine, troviamo chi vive di socialità. Sono i circoli e le associazioni culturali che negli ultimi anni sono diventati luoghi di aggregazione all’interno delle periferie delle città. In molti casi, un semplice locale con saracinesca è diventato una comunità. Una comunità che si pone come parabordo sociale tra chi ha un lavoro e chi stenta ad arrivare a fine mese. Il mutualismo che alimenta l’anima di queste attività fa sì che ancora ci sia speranza. Le associazioni, oggigiorno, si trovano nuovamente davanti ad una situazione di crisi maggiormente esasperata rispetto quella di marzo: i padroni dei locali che affittano per la propria sede pretendono l’affitto, le utenze non vengono sospese, non vedono ancora la luce alla fine del tunnel.
Questa è una foto poco dettagliata delle piazze italiane. Non è facile saperle ascoltare e studiarle. Bisogna avere rispetto e cercare di capirle.
Il Palazzo:
Le mobilitazioni degli ultimi giorni sono costanti: indicano che il malessere è diffuso in tutto il Paese, mostrano che esiste una crisi più profonda di quella prospettata, cercano di avere delle risposte da parte del Palazzo. Ma il Palazzo tace. Anzi i Palazzi tacciono. I rappresentanti delle istituzioni dovrebbero risolvere il dramma sociale, non alimentarlo. Gli inquilini dei Palazzi dovrebbero coordinarsi per trovare soluzioni concrete, non lanciarsi in una competizione elettorale per mantenere la famigerata poltrona.
Tutto questo le piazze l’hanno compreso. Nessun politico è stato assolto dal capo di accusa di fregarsene del bene del popolo. Anzi del Bene Comune. Matteo Salvini e la lega sono stati cacciati dalle piazze romane. Il Partito Democratico e i Cinque Stelle sono i principali responsabili perché stanno al Governo. Gli scontri istituzionali tra Regioni, Provincie Autonome, Comuni e Governo Nazionale si sono accentuati. Le ordinanze degli enti locali e le minacce di impugnarle sono le principali armi del conflitto.
Il dubbio amletico:
Il peggio (o il meglio secondo i punti di vista) deve ancora arrivare. Essere o non essere: il dubbio amletico. Essere paladino delle libertà o essere sceriffo nella propria città o regione? La maggior parte degli eletti ancora non lo sa. Il De Luca campano ha scelto la stella sul petto dinanzi l’incremento repentino dei casi nella sua regione. Giuseppe Sala, sindaco del Capoluogo Lombardo, sta attendendo e si limita a rispettare i DPCM. Una linea di rispetto per il Governo Nazionale che temporeggia. In Sicilia, Nello Musumeci e Cateno De Luca continuano la loro battaglia. Nessuno si placa di andare contro il Governo. Entrambi si scontrano su chi ha più potere.
Nel frattempo, Milano, città con il numero maggiore di casi in Italia, è diventata fortificata come lo era sotto gli Sforza. Da quando martedì si sono verificati i primi scontri con la polizia, i guardiani della notte (riprendendo il titolo di un celebre film sulle Gang Newyorkesi) vigilano in tenuta antisommossa. Manganelli e scudi sono l’equipaggiamento normale per una semplice passeggiata nelle vie di Milano. Appena giunge alla questura una minima segnalazione di possibile assembramento per dar vita ad una probabile contestazione non autorizzata, subito i guardiani della notte si presentano sul campo. Le stesse squadre vengono utilizzate più volte in una giornata.
“Grande è la confusione sotto il cielo e la situazione non è per nulla favorevole”.
Soltanto la concordia nazionale può salvarci. Solamente il coordinamento degli Enti locali e del Governo Nazionale potrebbe risolvere la situazione. Soltanto la concordia tra le forze comune per fare fronte unitamente contro il Coronavirus può salvarci. L’appello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’unità resta inascoltato. Le divisioni si ingigantiscono. Eppure, la prima quarantena ci doveva far diventare tutti più buoni, tutti più affettuosi, tutti più italiani. L’unica cosa che ci ha portato è maggiore rabbia, maggiore astio nei confronti della Politica. Una politica che non rappresenta più gli interessi del popolo per il fine del bene comune, ma che si pone come costante propaganda elettorale senza giungere ad alcun risultato.