Le ragazze madri e i loro diritti

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[…] O vergini, o demòni, mostri, martiri,
grandi spiriti spregiatori della realtà,
assetate d’infinito, devote o baccanti,
piene ora di gridi ora di pianti,

o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro inferno,
sorelle, tanto più vi amo quanto più vi compiango
per i vostri cupi dolori, per le vostre seti mai saziate,
per le urne d’amore di cui traboccano i vostri cuori.

Queste le parole che Baudelaire utilizza nella poesia “Le donne dannate” per descrivere il loro animo. La donna, musa di poesie e romanzi, nasconde dentro sé la forza e il coraggio che probabilmente l’uomo non ha mai avuto. Battaglie per la difesa dei propri diritti, battaglie per la difesa dei propri bambini, battaglie per la difesa delle proprie qualità e capacità: da sempre le donne hanno dovuto conquistare il proprio posto all’interno della famiglia e della società. Le difficoltà da loro affrontate, infatti, comprendevano, e tutt’ora comprendono, lo stesso nucleo familiare; padri, fratelli, mariti sono causa di violenze, maltrattamenti e abbandoni.

Ma una donna difficilmente si ferma davanti alle difficoltà: nel 1600 le ragazze abbandonate dal marito e costrette a crescere da sole i propri figli erano viste sotto una cattiva luce, il 90% di loro veniva giudicato negativamente dalla società nella quale viveva, senza che nessuno si preoccupasse di dare loro un aiuto o un sostegno. Diverse sono state le lotte affrontate per cercare di ottenere dei diritti che dessero la possibilità, anche a quelle donne abbandonate dai mariti o compagni e costrette a crescere i propri figli, di vivere dignitosamente.

In Italia le prime leggi mirate a tutelare i diritti delle donne in difficoltà sono state emanate durante il periodo fascista. Mussolini, infatti, comprese che per ottenere il consenso del popolo doveva conquistare anche il cuore delle donne. Il primo passo compiuto è stata l’istituzione dell’ONMI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia: organo deputato all’assistenza di madri e bambini, che offriva loro aiuti di tipo economico, alimentare, ma anche a livello medico e scolastico. Si occupava di controllare tutte le istituzioni che aiutavano e sostenevano le donne in difficoltà; aveva, inoltre, la possibilità di creare istituzioni con obiettivi affini e casse di maternità.
Il gentil sesso aveva così, per la prima volta in Italia, compiuto dei piccoli passi per il raggiungimento di una giusta tutela da parte dello Stato: le madri lavoratrici potevano chiedere un periodo di sospensione dal lavoro prima e dopo il parto, conservando sempre il posto di lavoro, venivano assicurate per la maternità dall’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale che versava loro una cifra di 300 lire. I cambiamenti apportati da Mussolini in favore delle donne non furono solo importanti come raggiungimento di nuovi diritti, ma soprattutto sono da considerarsi come il primo passo per un cammino verso la tutela delle madri lavoratrici e dei loro bambini.

Dal ventennio fascista ad oggi la situazione delle ragazze madri è migliorata, sono state emanate numerose leggi per garantire loro condizioni di vita migliori, ma ancora si è lontani dalla tutela completa dei loro diritti.

Gravidanze non desiderate, abbandono da parte del compagno, precarie condizioni economiche della madre, questi e molti altri i motivi per i quali le donne si sentono ancora oggi trascurate dallo Stato italiano.
Fino al 1994 non esisteva nessuna legge che permetteva alle madri di mantenere l’anonimato in caso di mancato riconoscimento del bambino, per questo molte di loro preferivano abbandonare i propri figli per strada, commettendo quello che, probabilmente, è il reato più atroce esistente: l’uccisione, anche se indiretta, del proprio figlio.
La Corte Costituzionale il 5 Maggio del 1994 ha stabilito che “qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto di nascita.”
L’anonimato deve essere inoltre garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, se la madre non riconosce il proprio figlio, nell’atto di nascita deve essere scritto “Figlio di donna che non consente di essere nominata”. Esiste per i genitori del bambino un’ulteriore possibilità: prendere del tempo per riflettere sul riconoscimenti o la rinuncia del bambino.
L’art. 11 della legge 4 maggio 1983 n. 184 sull’adozione dichiara che : «Nel caso in cui non risulti l’esistenza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il minore o la cui paternità o mater­nità sia stata dichiarata giudizialmente, il tribu­nale per i minorenni, senza eseguire ulteriori ac­certamenti, provvede immediatamente alla di­chiarazione dello stato di adottabilità a meno che non vi sia richiesta di sospensione della procedura da parte di chi, affermando di essere uno dei genitori naturali, chiede termine per provvedere al riconoscimento. La sospensione può essere disposta dal tribunale per un perio­do massimo di due mesi».

Nell’ottobre del 2008 è stato presentato dalla Fondazione Francesca Rava e da KPMG Italia il progetto “ninna ho”, che mira, anche questo come le leggi sopracitate, a bloccare il fenomeno dell’abbandono dei neonati. Patrocinato dalla Società italiana di Neonatologia, il progetto prevede l’installazione di culle termiche in cui le madri, che non possono o non vogliono partorire in ospedale, sono libere di lasciare il proprio bambino in una situazione di completa sicurezza senza alcun rischio per il loro anonimato.

La situazione italiana, purtroppo, resta ugualmente grave: l’informazione non è stata ancora in grado di raggiungere tutto il paese e gli aiuti offerti dallo Stato non sono sufficienti. Ciò che le madri richiedono è, anche e soprattutto, un aiuto a livello economico per quelle donne che non vogliono abbandonare i proprio figli, ma che economicamente, socialmente e psicologicamente non posso fare altrimenti.
Nel resto dell’Europa le donne vengono aiutate notevolmente dal governo: in Francia, viene concesso loro un contributo fisso di circa 162 euro al mese, se invece la situazione della madre è difficoltosa lo Stato concede 700 euro; in Olanda le donne ricevono contributi mensili che vanno dagli 800 ai 1000 euro, e vengono aiutate anche per le spese scolastiche e mediche; in Inghilterra lo Stato concede una casa e il pagamento delle spese scolastiche, del vestiario e tutti i beni di prima necessità. In Italia ogni donna ha diritto ad un assegno di 1440 euro da richiedere non oltre i sei mesi dalla nascita del bambino; alle ragazze madri viene offerto un ulteriore aiuto che varia da comune a comune, il cui tetto massimo è di 300 euro. Come può una madre sola e con un figlio da crescere riuscire ad andare avanti con un contributo così basso? Molte di loro si vedono, così, costrette a prendere la dura decisione di abbandonare il proprio figlio o darlo in adozione; questo comporta nella maggior parte dei casi a gravi traumi, difficili da superare, specialmente se lasciate completamente sole.

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