Nel 1519 il calendario gregoriano non era ancora stato inventato dalla bolla papale di Gregorio XIII Inter gravissimas, era il calendario giuliano elaborato da Sosigene di Alessandria e promulgato dal pontefice massimo Giulio Cesare nel 46 a.C. a scandire il tempo nel mondo Occidentale. Ma Iunius aveva già 30 giorni nel 1519, ed il 28esimo di questi stava trascorrendo quando, a Francoforte sul Meno, Carlo di Gand veniva nominato dai principi elettori XXVII imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica con il nome di Carlo V, prima dell’ufficiale incoronazione papale ad Aquisgrana, nell’Ottobre dello stesso anno. Per una serie di fortunate morti e parentele, il 19enne Carlo era padrone di tutta l’Europa continentale – oltre che delle colonie americane – , schiacciando in una morsa terribile i territori francesi di Francesco I di Valois. Le pesanti corone di Spagna, Austria, Impero, Napoli, Sicilia, Sardegna, il possesso diretto delle Fiandre e dei Paesi Bassi, quello indiretto – ma comunque incontrollato – della Boemia, facevano inchinare un intero popolo ai suoi piedi, lui padrone d’Europa. Le guerre, i confini così mutevoli in un continente in assestamento non ponevano in dubbio l’autorità di un uomo che, da solo, per 37 anni, decise il destino di ogni singolo filo d’erba del “vecchio continente”. Lui decideva e comandava. Lui, ultimo vero re ed imperatore di un Europa unita sotto il suo mantello e la sua corona.
E ancora oggi l’Europa è unita, come prima, più di prima. Nel fondamento di una sovranità condivisa con gli Stati, l’Unione Europea simula una capacità decisionale che non le appartiene, su un popolo che vive ormai nel limbo di un’identità svanita, di una crisi economica che doveva già esser finita da un pezzo a quanto dicevano, di una democrazia non pienamente esercitata che poco per volta gli viene tolta a colpi di leggi e riforme, di una classe politica incompetente, incapace di ragionare prevedere esporsi emanciparsi dai giochi dei grandi interessi finanziari e bellici, di una nuova rischiosa avanzata dell’estremismo e della xenofobia, e di un vertiginoso arretramento dei diritti sociali, civili e politici. Quello che l’Europa ci consegna nel 2011 è la profezia della sua fine, del suo declino, di una morte così amara per quei pochi ancora in vita che l’avevano sognata libera e sicura dopo il crollo dei totalitarismi d’Occidente prima, d’Oriente poi, per coloro che lottarono per l’affrancamento dell’Europa, scorgendo in esso la spinta per l’indipendenza di tutti i popoli della Terra. La crisi greca è oggi il campanello d’allarme che identifica la fragilità di una costruzione europea che non chiede e, di conseguenza, non ascolta il suo popolo, il popolo “dei sacrifici”, il popolo che dal 1979 elegge direttamente un Parlamento Europeo poco rappresentativo e poco funzionale, succube della primazia di Consiglio e Commissione, la cui legittimità democratica – specialmente per la seconda, composta da 27 membri nominati dai 27 capi di Stato Ue e sottoposti ad un flebile controllo del Parlamento, alla quale è concessa l’iniziativa legislativa – appare alquanto dubbia, e di un massiccio e complesso apparato di comitati trans-inter-infra-sovranazionali – primo fra tutti il COREPER, vero motore dell’opaca produzione legislativa europea – , le cui antidemocraticità e antirappresentatività sono ampiamente dimostrate e oramai fuor di dubbio. L’Europa senza confini – all’interno, non di certo all’esterno – , l’Europa del Mercato unico, della libera circolazione di persone merci servizi denaro, l’Europa della polizia internazionale, delle politiche internazionali, delle imprese internazionali, delle speculazioni internazionali. L’Europa del “nulla democrazia” è la stessa Europa del “tutto mercato”, che si regge in piedi sui vantaggi economici e sugli interessi dei governi nazionali – non di rado inclini a scavalcare la volontà comunitaria, a costo di multe salate che si ritorcono regolarmente sulle tasche degli ormai celeberrimi contribuenti – e delle banche nazionali. Crisi democratica e crisi economica, le vere due facce dell’Euro.
Il risultato è la Grecia, il nodo in gola dei governi e delle banche, dell’Ue e del Fmi, che insieme hanno approvato un aiuto da 110 miliardi di euro per “scongiurare” il default, per salvare l’Europa dall’epidemia economica che già fa tossire anche Spagna, Italia, Portogallo, Irlanda e Blegio, e che potrebbe non risparmiare nessuno, condannando a morte l’esistenza stessa della Moneta e del Mercato unici. 110 miliardi di Euro in cambio di un piano d’Austerity che comporterà un aumento del 21% dell’IVA, un taglio del 20% dei salari pubblici ed un debito che nel 2014 raggiungerà il 140% del PIL. E di chi è la colpa?