Lia la ribelle cercava la liberta’

 

Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.

 

Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.

 

E’ una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.

 

E’ una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente.

 

Pablo Neruda

 

“La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù, non c’è più né sole né luna, c’è la verità”. Queste sono le parole che Sciascia mette in bocca a un capomafia nel suo romanzo Il giorno della civetta, che ricorda molto la storia di Lia Pipitone, raccontata da suo figlio Alessio Cordaro e dal giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo nel libro edito da Melampo: Se muoio sopravvivimi.

 

È la storia di una donna, figlia di un mafioso, che ha studiato. Ama l’arte, ascolta Guccini, e legge poesie. È la storia di una donna che, come racconta il figlio nel libro, “sarebbe magari diventata una brava giornalista […] e avrebbe difeso i diritti dei più deboli, delle donne soprattutto”. Ma i sogni di questa donna bellissima sono stroncati una sera, il 23 settembre del 1983. Rosalia viene uccisa nel corso di quella che appare una rapina. All’interno di una sanitaria, nella borgata di Arenella. Negli anni, però, si è fatta avanti una nuova verità: Lia uccisa dal padre, per una questione d’onore. La ragazza avrebbe tradito il marito e messo in discussione quei “valori” propugnati da Cosa Nostra.

Nella narrazione si mescolano due piani: quello del racconto di Alessio – che ricostruisce la vita della madre attraverso i ricordi, le testimonianze, le immagini scolorite e i silenzi torbidi di questi anni – e quello del cronista d’inchiesta – che assembla, nomi, personaggi, fatti, depistaggi e incongruenze. Nella narrazione che scorre lineare, il lettore è assorbito dalle ricostruzioni minuziose della vita di Lia, ma anche dai continui rimandi ad altri personaggi che hanno scandito la lotta alla mafia. La storia però lascia l’amaro in bocca, perché affonda le radici nel mondo reale: quello del malaffare mafioso, che uccide, infanga la memoria e lascia in sospeso molti interrogativi. Quella che appare in Se muoio sopravvivimi è una storia che assomiglia a tante storie. Quelle che rifuggono dai riflettori. Quelle che nessuno racconta. Quelle che faticano a trovare giustizia, che rimangono imbrigliate all’interno di una macchina giudiziaria che procede troppo lenta e che si sono combattute strada per strada.

 

E lì vanno ricercate, come sottolinea Salvo Palazzolo: “Bisogna allora tornare fra quelle strade per ritrovare le storie di chi si è opposto alle trame dei mafiosi e dei loro complici. Bisogna tornare a cercare, perché non tutte le tracce sono state cancellate. E quelle poche rimaste vanno ricollocate al loro posto, nelle strade, nei vicoli, nei palazzi, dove un tempo si decidevano i destini della città. Non è solo un esercizio di stile, è la ricerca della verità, che non si può fermare, anzi deve ricominciare con un metodo nuovo”.

Se muoio sopravvivimi, insomma, è una sveglia morale per gli apatici e i dormienti e per tutti quelli che ricercano la verità, non solo nel pozzo – tanto per tornare alle battute iniziali e alle pagine del libro –, ma in quel vicolo Pipitone, dove i picciotti si riunivano e discutevano piani criminali e terroristici, animati dalla corrente stragista dei corleonesi e dall’esempio di chi aveva deciso di seguirne la strada.

 

Intervista a Salvo Palazzolo:

Secondo te quali sono i mezzi per individuare e sconfiggere i mafiosi?

La magistratura ha svolto e continua a svolgere un compito importantissimo. Ma non basta la repressione. Credo che la lotta alla mafia debba nutrirsi soprattutto di attenzione ai temi dello sviluppo, perché sono ancora tanti i giovani delle nostre città che trovano più conveniente stare al servizio di criminali piccoli e grandi per avere uno stipendio assicurato.

 

Come mai l’Italia è piena di vittime che faticano a trovare giustizia?

Tanti delitti di mafia sono stati mascherati con messinscene e depistaggi, perché non si scoprisse mai la verità. Poi, purtroppo, permane una certa disattenzione generale dei media sui temi delle mafie e dei grandi casi irrisolti del nostro paese. Per fortuna, i familiari delle vittime non si rassegnano, e continuano a chiedere giustizia. La loro voce è una grande risorsa per la nostra democrazia.

 

Cosa Nostra, ma più in generale la criminalità organizzata, ha molti complici. Puoi spiegarci perché “le piccole trattative quotidiane” influiscono negativamente?

I grandi boss mafiosi sono in carcere, ma i loro complici restano in libertà, con un immenso bagaglio di segreti, sui patrimoni mai sequestrati e sulle relazioni mai scoperte con i palazzi della politica e dell’economia. Questi segreti sono la vera risorsa dei capimafia rinchiusi al 41 bis: con questi segreti, l’organizzazione mafiosa impianta sempre nuove trattative.