L’isola ingannata

« Quando, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, le forze alleate iniziano lo sbarco in Sicilia, a tirare un sospiro di sollievo sono in tanti: i cittadini che vedono avvicinarsi l’ora della fine degli spaventosi bombardamenti, gli antifascisti che sentono il profumo della libertà, i mafiosi i quali, avendo appoggiato lo sbarco, sanno di poter disporre adesso di uno spazio di manovra che il fascismo aveva loro negato. » (Andrea Camilleri)

Il 150° anniversario della creazione dello Stato italiano (17 marzo 1861-17 marzo 2011) ci porta ad una serie di riflessioni e interpretazioni del fatto storico dell’Unità d’Italia, accantonando le strumentalizzazioni politiche correnti -secondo un biasimevole “uso di convenienza della storia”-, che alla luce dei moti e movimenti storici della millenaria cultura Siciliana hanno portato all’Autonomia speciale. Quella particolare forma di  governo della Regione Sicilia che fu concessa il 15 maggio 1946 alla Sicilia da re Umberto II di Savoia, disciplinata da uno Statuto speciale (art. 116 della Costituzione Italiana), che la ha dotata di una ampia autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria. Senza entrare in tecnicismi si può affermare che grazie allo Statuto le leggi dello Stato Italiano non sono, per alcune tassative materie, applicate in Sicilia. Si parla in questo caso di competenza esclusiva, su una serie di materie, tra cui beni culturali, agricoltura, pesca, enti locali, territorio, turismo, polizia forestale.

Lo Statuto fu emanato con regio decreto da Re Umberto II il 15 maggio 1946 (quindi precedente alla Costituzione della Repubblica italiana, che lo ha recepito per intero con la legge costituzionale n. 2 del 1948), e diede vita alla Regione Siciliana prima ancora della nascita della Repubblica Italiana. Per tali motivi lo Statuto non è considerato alla stregua di una semplice legge ma alla stregua di una legge costituzionale. Ciò comporta che ogni sua modifica  è sottoposta alla cosiddetta procedura aggravata, cioè a una doppia approvazione, a maggioranza qualificata, da parte delle Camere.

Bisogno subito precisare che contrariamente a quanto si pensa lo Statuto è stato un premio di consolazione rispetto alle spinte d’autonomia ed indipendenza che la Sicilia nella storia ha sempre avuto. Un minus che non ha tenuto conto dei sogni e delle aspirazioni della più grande Isola del Mediterraneo. Sogni e aspirazioni millenarie: dai tiranni che combattevano prima contro  i Cartaginesi e poi contro i Romani, dalle rivoluzioni popolari contro gli arabi e gli Spagnoli, dai Vespri Siciliani (considerato il progenitore dell’indipendentismo moderno, dato che fu un movimento di separazione dallo straniero, all’epoca il francese angioino, che  confluì nella creazione di un regno indipendente che sarebbe durato meno di un secolo e mezzo.) alla rivolta contro i viceré. (dopo il periodo d’indipendenza come regno, la Sicilia divenne  un vicereame spagnolo, dove ad un profonda crisi economica corrispondeva un profondo un malessere del popolo che viveva in miseria. Da questo nascono le rivolte del 1647 di Messina e quelle dell’anno successivo che si ampliarono in tutta l’isola e che cercheranno di cacciare via i viceré per istituire una repubblica indipendente. In particolare Messina si sollevò contro la dominazione spagnola per  diventare una repubblica oligarchica e mercantile sulla falsariga di Genova e Venezia. La rivolta fu repressa nel sangue e la città ribelle venne dichiarata “morta civilmente”.)

Un Isola tanto ingannata dalla Storia e dagli uomini che lo stesso Giuseppe Garibaldi ebbe a scrivere nel 1868 ad Adelaide Cairoli: “non rifarei la via del sud, temendo di essere preso a sassate”. La via del Sud, come la chiama Garibaldi, fu percorsa dalla spedizione dei Mille partendo da Marsala. La mattina dell’11 maggio 1860 i vaporetti della spedizione sbarcavano nel porto di Marsala, non incontrando alcuna resistenza borbonica.

Il 14 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi si proclama a Salemi dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II di Savoia e il 15, affiancato da 500 “picciotti”( ricercati dal governo borbonico quali delinquenti), sconfigge le truppe borboniche dopo la battaglia di Calatafimi. Palermo si libera da sola e le truppe borboniche vengono sbaragliate definitivamente nella battaglia di Milazzo. Dopo la resa di Messina, la Sicilia è stata conquistata per intero ed è pronta per l’annessione al Piemonte.

Nello stesso anno, 1860,  nel Regno delle Due Sicilie si svolse il plebiscito per decidere l’annessione al Piemonte. In Sicilia, si raggiunse una virtuale unanimità perché in tanti si erano illusi di ottenere una totale autonomia di governo basandosi sul fatto che nel primo periodo Garibaldi aveva proclamato la sua “dittatura” sulla Regione occupata.

Furono le classi più povere dei braccianti e dei contadini che patirono il primo inganno. La mancata riforma agraria, promessa da Garibaldi, manteneva in essere i latifondi e i feudi della Chiesa, ancora una volta la mancata e equa distribuzione delle terre ai contadini era fonte di discriminazioni.

Ma non basta. Le leggi Piemontesi e i regolamenti del Regno di Sardegna furono pedissequamente imposti al nuovo territorio siciliano, ignorandosi del tutto il fatto che la Sicilia godesse già di leggi speciali e di una certa forma di autonomia sotto i Borboni, e respingendosi del tutto le spinte autonomistiche manifestate nei confronti dei poteri centrali succedutisi negli anni. Tutto questo, unito alle nuove pesanti imposte e tassazioni (quelle sul sale e sul macinato), all’introduzione del servizio militare che levava forza lavoro giovanile ai campi, si trasformò in una vera forma di ostilità per tutti i “piemontesi”.

Il secondo inganno, meglio conosciuto come “la Questione Meridionale”, ci influenza ancora oggi. Ed infatti,  il Regno delle due Sicilie non aveva un elevato debito pubblico al momento della sua caduta, al contrario, il Regno di Sardegna ne aveva uno molto elevato anche a causa delle guerre sostenute contro gli austriaci. In seguito all’Unità d’Italia venne unificato anche il debito, facendo gravare anche sui contribuenti meridionali gli investimenti effettuati in Piemonte. I fondi del Banco delle Due Sicilie, che era la Banca nazionale del regno borbonico, pari al 65,7% del patrimonio di tutti i singoli Stati Italiani,  vennero incamerati dal nuovo Stato italiano, concorrendo a costituire il capitale liquido nazionale nella misura di 668 milioni di Lireoro.

Su questa scia e con queste emozioni, nasce il primo sentimento indipendentista dell’epoca moderna. Il 16/09/1866 il popolo Siciliano diede origine alla rivolta del “sette e mezzo” pari ai giorni che essa durò.  La ribellione nata da Palermo, infiammo la quasi totalità delle città siciliane e comprendeva molte fazioni politiche nate durante il Risorgimento Tale rivolta fu sedata violentemente dall’Esercito Italiano e ogni intento di ribellione in nome di una nazione siciliana fu continuamente represso fino alla quasi totale scomparsa del movimento.

Solo dopo lo sbarco degli anglo-americani, 1943, la corrente separatista, soffocata durante l’epoca Fascista, riacquista vigore e alla fine della Seconda Guerra Mondiale conta di oltre cinquecentomila iscritti e un braccio militare. Il movimento separatista, che tenne agitata la vita dell’isola per diversi anni, si andò spegnendo, anche per l’istituzione, della Regione Siciliana, che concedeva l’autonomia speciale.

Dopo la fallita indipendenza e il compromesso autonomista raggiunto con la nuova Repubblica Italiana, l’indipendentismo siciliano andò sempre più scemando e i consensi elettorali nei confronti dei partiti separatisti furono sempre più bassi. In questo senso l’autonomismo concesso nel 1946 fu un mezzo per svuotare il separatismo, guidato dal Movimento Indipendentista Siciliano. Lo statuto speciale siciliano fu originato da un accordo di origine “pattizia” (assimilabile, secondo alcuni, ad un trattato fra due entità paritetiche) fra lo Stato Italiano ed la Sicilia, rappresentata dalla Consulta per la Sicilia, in cui erano rappresentate le categorie, i partiti e i ceti produttivi dell’Isola, organo che materialmente formulò lo Statuto.

L’ultimo inganno nasce dalla mancata applicazione dello Statuto e dei suoi regolamenti d’attuazione. Infatti l’art. 38 dello Statuto della Regione Siciliana prevede che in materia fiscale “la totalità delle imposte riscosse in Sicilia dovrebbe rimanere sul territorio regionale e ogni anno lo Stato Italiano sarebbe tenuto a fornire un ammontare da stabilirsi, con piano quinquennale, di denaro pubblico proveniente dalle altre Regioni per finanziare la Sicilia”. Quest’articolo non è stato mai reso esecutivo e ancor’oggi l’Italia conferisce ogni anno solo una anticipazione forfettaria, pertanto la Regione Siciliana vanta da decenni crediti mai saldati dallo Stato.

Un altro esempio ci viene dato dall’art. 37 dello Statuto della Regione Siciliana, anch’esso inapplicato, il quale prevede: “per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi.” L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima. (non solo l’articolo non è stato sinora attuato ma inoltre le tasse dei siciliani confluiscono nella Tesoreria Unica Nazionale e solo una parte di esse viene poi ristornata alla Regione Siciliana.) Un esempio delle proporzioni di questo gigantesco depauperamento sistematico ci viene dalle risorse petrolifiche, laddove la Sicilia producendo con i suoi pozzi e le sue raffinerie il 90% di tutto il petrolio Nazionale non riceve in cambio nulla, in quanto le Industrie petrolifiche hanno sede legale a Milano e pur estraendo in Sicilia (dove hanno stabilimenti e impianti ex art 37 dello Statuto) pagano le tasse in Lombardia.

Domandarsi oggi cosa hanno fatto di cinquantenni di Statuto Regionale e di Autonomia i nostri Deputati  Regionali, i nostri Sindaci, Assessori e Consiglieri, è inutile. Rimane solo un senso di rabbia ceca, di ribellione e agitazione dell’animo. E’ per questo motivo che quando mi parlano di movimento per l’autonomia, di federalismo, di rivoluzione, della Lega, di secessione e indipendenza, da contrapporre all’Unità d’Italia e all’Unione Europea mi ritorna in mente il mio illustre, nobile e millenario passato fatto di rivoluzione del “pane” e dei “vespri” . Ed è con questo spirito che dico ai nostri odierni politici: Non rompete i “cabbasisi”, applicate lo Statuto della Regione Siciliana e lasciatemi in pace.