Lo sport e i suoi valori sociali

“E’ la dura legge del goal, gli altri segneranno però, che spettacolo quando giochiamo noi,  […]cosa importa chi vincerà, tanto in fondo lo squadrone siamo noi”. Cantava così Max Pezzali con i suoi 883 nel 1997 .  Brano che usa il calcio come metafora  per spiegare la vita, ma che, nel frattempo, prova anche ad insegnare con quale spirito il calcio, e con lui lo sport in genere, andrebbe vissuto e giocato. Anche se probabilmente all’ora, per svariate ragioni , si parlava molto meno di oggi di dopping, di violenza negli stati, di gioco poco pulito e di “tessera del tifoso”.  Al contrario però, qualcuno, oggi, sembra aver di continuo ascoltato quella canzone fino a farne “legge” propria. Si tratta di 13 ragazze di Messina. E anche se lo standard sociale vuole che donne e pallone male si accoppino tra loro, a guardarle giocare risulta chiaro, piuttosto, che con il pallone da calcio sia stato amore a prima vista. Campionesse ormai da anni di calcio a 5 femminile, a darne conferma è la notizia che la squadra di queste 13 ragazze sia l’unica a Messina e in tutta la Sicilia orientale a partecipare al Campionato Nazionale di serie A.

Ma la straordinarietà non sta nel fatto che delle ragazze giochino a calcio – succede da anni – nè tanto meno nel fatto che queste ragazze si siano qualificate ai campionati nazionali di serie A di calcio a 5 femminile. La straordinarietà risiede, piuttosto, nel fatto che si tratti dell’ ASP di Ganzirri, ovvero dell’associazoone della parrocchia di Ganzirri. Sta nel fatto che queste 13 ragazze, dieci anni fa, abbiano iniziato a tirare i primi calci al pallone nel cortile della loro Chiesa parrocchiale, e da lì non si siano mosse. Anzi, che lì siano volute restare, facendo propri dei valori e degi insegnamenti che quando si è piccoli possono risultare più imposti che scelti. E non solo hanno scelto di restare in quel cortile, ma hanno scelto di fare, di quel gioco d’infazia, magari intrapreso solo per passatempo, un veicolo di importanti messaggi sociali. Passata dall’essere una semplice realtà parrocchiale a squadra leader del futsal femminile messinese, l’Asp Ganzirri si è fatta mezzo di comunicazione alternativo di valori solidi, quanto più ormai corruttibili, come l’amicizia e la lealtà. Valori universali che sono, daltronde, alla base di qualsivoglia disciplina sportiva, da rispettare in primis all’interno della stessa squadra, e in secundis nei confronti degli avversarsi, affichè si tratti sempre di un “confronto”  tra squadre e non di uno “scontro”.

Per la diffusione di questi messaggi, l’ASP Ganzirri ha sviluppato uno specifico progetto volto alla comunicazione e alla condivisione con altri giovani di ciò che le ragazze della squadra hanno appreso tra lo spiazzo della chiesa e il Polo Sportivo Primo Nebiolo, dove si allenano.

<< Il progetto si pone l’obiettivo di creare nei giovani una coscenza diffusa che lo sport, insieme ad una sana alimentazione, migliora la vita e di promuevere le diverse realtà sportive presenti sul territorio >>  di modo che ognuno possa, in una di esse, riconoscersi.  << Lo sport è, di fatti, uno dei principali strumenti per creare nei giovani la consapevolezza di come affrontare la vita quotidiana >>.  Per questa ragione l’Asp di Ganzirri terrà incontri coi ragazzi nelle scuole, rilasciando loro inoltre un opuscolo informativo sulle tematiche del fair play e della lotta al doping, << affinchè ad essi arrivi il messaggio di praticare sport pulito e sano >>.  E in questo coinvolgimento dei giovani nell’attività sportiva, l’Asp ha un ruolo più che attivo, con al sua scuola calcio e l’organizzazione di tornei e gare “casalinghe” in cui è prevista la partecipazione degli alunni degli istituti scolastici del comprensorio.  La scuola è, di fatti, il primo luogo che in qualche modo “arbitra” il primo incontro tra i bambini/ragazzi e lo sport. Ed ecco perchè le ore di educazione fisica, e le ragazze dell’Asp ne sanno qualcosa, sono parte fondamentale dell’istruzione e dovrebbero perciò essere svolte regolarmente, al contrario di quanto avviene nel maggior numero dei casi. Quando le ore di educazione fisica finiscono ” a tarallucci e vino”, come si suol dire. Scivolano miseramente, soprattutto negli istituti superiori, tra “curtigghiu” ( il prestito dal siciliano mi sarà perdonato in quanto dovuto, dato che si tratta di un sostantivo esplicativo privo di sinonimo italiano che renda davvero l’idea di ciò che si vede nei cortili e nelle palestre di certe scuole) e sigarette.

Forse, tra le tante cose, manca anche questo a quegli adolescenti, e non solo, protagonisti delle tante storie di cui ci ingozzano i tg, tra violenze e bullismo. Manca quell’educazione, che lo sport prevede, alla socializzazione, al rispetto dell’altro, a lottare per ottenere le giuste ricompense. Un valore, quest’ultimo, esasperato, nell’agonismo, da fattori economici, dalla ricerca del successo a tutti i costi o addirittura a costo zero.

Ed è proprio contro l’alterazione dei valori sani e universali veicolati dallo sport che le ragazze dell’Asp Ganzirri voglio combattere con il loro progetto. Una singola battaglia. Ma come questa, se ne combattono molte altre, a volte nel silenzio, con cannoni che sputano rose piuttoste che bombe. Battaglia dopo battaglia, per vincere una guerra che si fa sempre più sanguinosa. Soprattutto se, facendo rewind nella nostra memoria, scorriamo le immagini di violenze negli stadi e fuori a cui abbiamo già assistito molteplici volte.

Un progetto che, cercando di sovrapporre a queste immagini, quelle di uno sport leale e sano, cerca di attirare l’attenzione dei giovani sui pericoli del doping, dell’eccesso di allenamento e della sedentarietà e sull’importanza del fair play.

A questo proposito, il Comitato Internazionale Olimpico, ha addirittura scomposto in semplici elementi lo spirito del vero sportivo (atleta e spettatore). L’atleta è un vero sportivo quando:

– pratica lo sport per passione;

– lo pratica disinteressatamente;

– segue i consigli di coloro che hanno esperienza;

– accetta senza obiezioni le decisioni della giuria e dell’arbitro;

– vince senza presunzione e perde senza amarezza;

– preferisce perdere piuttosto che vincere con mezzi sleali;

– anche fuori dallo stadio ed in qualunque azione della sua vita si comporta con

spirito sportivo e con lealtà.

Allo stesso modo, lo spettatore è un vero sportivo quando:

– applaude il vincitore, ma incoraggia il perdente;

– pone da parte ogni pregiudizio sociale o nazionale;

– rispetta la decisione della giuria e dell’arbitro anche se non la condivide;

– sa trarre utili lezioni dalla vittoria e dalla sconfitta;

– si comporta in maniera dignitosa durante una gara, anche se sta giocando la sua

squadra;

– agisce sempre ed in ogni occasione, tanto dentro quanto fuori dello stadio, con

dignità e sentimento sportivo.

E sempre dal C.I.O. giunge la cosiddetta Carta del Fair Play. Secondo il Comitato è solo onorando questi utlimi punti, e non solo i precendeti, che ci si può davvero considerare uno sportivo. Così la carta recita le dieci regole d’oro:

1. fare di ogni incontro sportivo, indipendentemente dalla posta e dalla virilità

della competizione, un momento privilegiato, una specie di festa

2. conformarsi alle regole e allo spirito dello sport praticato

3. rispettare gli avversari come se stessi

4. accettare le decisioni degli arbitri o dei giudici sportivi, sapendo che hanno diritto     all’errore, ma fanno tutto il possibile per non commetterlo

5. evitare le cattiverie e le aggressioni negli atti, nelle parole o negli

scritti

6. non usare artifici o inganni per ottenere il successo

7. rimanere degno nella vittoria, così come nella sconfitta

8. aiutare chiunque con la propria presenza, esperienza e comprensione

9. portare aiuto a ogni sportivo ferito o la cui vita sia in pericolo

10. essere un vero ambasciatore dello sport, aiutando e far rispettare intorno a se i

principi suddetti.

E sono talmente universali i valori appena elencati e diffusi dallo sport, che automaticamente scavalcano, come in una corsa ad ostacoli, i suoi steccati e trovano appoggio, a piede fermo, nella vita. In quella personale, quotidiana, e, perchè no, in quella mondiale, in quella dei potenti che fra loro giocano a chi è più ricco e possidente. Può forse suonare nervosamente romantico, ma le idee di una competizione pacifica, del rispetto delle regole, della lealtà, della considerazione dell’avversario possono davvero trovare validità non solo nello sport, ma nell’insieme delle relazioni fra paesi. Come se si trattasse sempre della finale di un mondiale (in cui quelle regole vengono rispettate ovviamente). Daltronde lo aveva ipotizzato lo stesso De Coubertin, padre delle olimpiadi moderne, quando dichiarò: << La tregua olimpica, che proteggeva gli antichi giochi, era rispettata e imposta in tutto il mondo ellenico. Noi abbiamo esteso i giochi al mondo intero. Forse possiamo estendere anche la tregua. Forse lo sport, col suo messaggio di lealtà e di cavalleria, avrà successo dove altre istituzioni hanno fallito >>.