25 mila sono stati coloro che hanno preso parte alla “XXII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, organizzata a Locri dall’Associazione “Libera” di Don Luigi Ciotti.
Tra i partecipanti ci sono stata anche io, giornalista calabrese che spera in un cambiamento della propria terra.
Sono scesa per le strade locresi e assieme ad altri giovani ho sfilato a fianco dei familiari delle vittime delle mafie.
Mi sono guardata attorno durante la giornata,provando a capire se questo desiderio di rinnovamento fosse veramente reale tra i presenti.
Tanti sono stati gli adolescenti che ho incontrato e con cui mi sono intrattenuta.
A tutti ho fatto una semplice domanda: “ cos’è la ‘ndrangheta?”.
In molti mi hanno lanciato sguardi stupiti, come se stessi pronunciando un termine impronunciabile. Impronunciabile anche quel giorno, in cui eravamo in 25 mila. Il non sapere rispondere o non volerlo fare: un silenzio più assordante di mille parole, che mi ha trafitto il cuore, al pari delle lacrime dei familiari delle vittime. Lacrime versate in mia presenza, mentre mi sussurravano le loro storie; famiglie distrutte ingiustamente e sfinite.
“Ci sarà mai giustizia per il sangue versato?”ho pensato.
Ho ripetuto più volte “cos’è la ‘ndrangheta?”nel corso della manifestazione e a chi mi ha risposto con un semplice sorriso sciocco ho chiesto, con tono seccato, perché fosse presente.
Sono rimasta delusa in un primo momento. Ma qualcuno, sciolta la tensione e la diffidenza iniziali, ha deciso di intervenire.
« La ‘ndrangheta è un’associazione mafiosa cha va annientata, anche se realizzare questo è difficile», mi afferma Martina, 15 anni.
Domando perché sia difficile combatterla e la ragazza continua: «la ‘ndrangheta è tra noi, per le strade, tra le persone con cui siamo a contatto. E’ nata con noi, fa parte di noi ed è complicato schiacciarla».
Sottolineo che la ‘ndrangheta non siamo noi, non ci appartiene. Non possiamo assecondare le teorie lombrosiane.
Ad ascoltarmi ci sono tre studentesse del Liceo Classico “Ivo Oliveti” di Locri. Mi fanno un cenno con il capo, concordano con quanto sto sostenendo e vogliono dire ciò che pensano, fare sentire la loro voce. La più spigliata delle tre, di nome Sofia, accetta di farsi intervistare.
Perché sei qui oggi, Sofia?
Sono qui perché sono stanca di questa condizione.
Qual è questa condizione?
E’ una condizione di paura che nasce dall’arroganza, dai soprusi. Magari molti di noi ragazzi, essendo giovani, non percepiamo a pieno questa situazione, a differenza degli adulti che devono fronteggiarla.
In cosa consistono i soprusi di cui parli?
Dovere sempre dire di “si” alle richieste che ti vengono fatte da certa gente.
Quali sono queste richieste?
Pagare soldi ai delinquenti se hai un negozio, votare chi ti dicono.
Stai parlando del pizzo..
Si, ma non so altro.
Non te lo chiedo nemmeno, tranquilla. Però dimmi, a scuola si respira la ‘ndrangheta?
Non so nelle altre scuole, ma al Liceo classico si. C’è qualcuno che cerca di inquietarci all’interno della scuola, che non ci fa stare bene.
Parli di tuoi coetanei?
Si, ragazzi ben vestiti e con tanti soldi in tasca, parenti di mafiosi e con i familiari in carcere.
Come si comportano con voi questi ragazzi?
Malissimo. Si sentono superiori, potenti e quindi pensano di essere autorizzati ad assumere determinati comportamenti, volti ad incuterci paura.
E i professori cosa dicono?
A volte fingono di non vedere o non capire. Anche loro sono vittime come noi.
Cosa si dovrebbe fare secondo te per cambiare le cose?
Penso che il primo passo consista nel cambiare la mentalità. Tutto parte da qui.
Ti piace vivere nella Locride?
Nonostante tutto si, è la mia terra ed io l’adoro. Ma è difficile viverci. Ci vuole coraggio perché non è una realtà semplice.
Sofia mi parla di cambiare la mentalità ed avere coraggio. La stessa riflessione mi viene posta,a fine giornata, dal Vescovo di Locri, Francesco Oliva. Riesco ad avvicinarlo e a parlare con lui per una manciata di minuti. Il Monsignor Oliva mi ribadisce- a più riprese- come non sia semplice combattere la ‘ndrangheta, essendo una realtà complessa che esprime un modo di pensare e fa parte di una cultura ben radicata.
« Si deve scalfire una mentalità che è stata favorita soprattutto da un contesto storico-geografico particolare, dove alle assenze dello Stato hanno sopperito i boss di turno, dando lavoro e facendo quello che doveva esser fatto dalle Istituzioni», sostiene lo stesso. Faccio notare che queste affermazioni potevano valere all’epoca del Brigantaggio, ma non oggi : la ‘ndrangheta non produce lavoro, ma lo distrugge.
Il Vescovo di Locri mi ascolta e con convinzione dichiara: «penso che sia possibile una conversione di mentalità perché ormai la gente è stanca di subire umiliazioni e ottenere attraverso “favori” quello che le spetterebbe di diritto». Chiedo quale sia il ruolo della Chiesa in quella che dovrebbe essere una primavera di rinascita per la Locride. « La Chiesa deve formare le coscienze attraverso l’annunciazione del Vangelo, favorendo il rinnovamento e la trasformazione dei rapporti sociali», mi risponde. A seguito di questa frase, penso al Parroco di San Luca, Don Pino Strangio, rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e violazione della legge Anselmi, sulle logge massoniche. Lo ricordo al Vescovo di Locri. Quest’ultimo allora mi dice: « Don Pino Strangio ha operato per molto tempo a San Luca ed è stato per oltre 20 anni rettore del Santuario di Polsi. Ho deciso di sostituirlo a Polsi, nominando un nuovo rettore. Non conosco il suo passato, ma ho ritenuto necessario questo cambiamento per rinnovare certi luoghi».
Io e Monsignor Oliva ci guardiamo per pochi secondi negli occhi. Arriverà il cambiamento auspicato? Lui ne è convinto. Io, semplicemente, lo spero.
(Gallery: Foto di Luigi Romano)