L’uomo che cammina sui vetri

Questa è la storia di un uomo e di una donna. Lui stava dietro il vetro, al buio; osservava un gruppo di uomini che ogni venerdì sera, allo stesso orario, si riuniva. Erano molto diversi da lui. Se ne andava in giro con la sua macchina fotografica, il taccuino e la penna. E scriveva, scriveva. Fiumi di parole, di notizie, di fatti, di brillanti intuizioni. Fiumi di pesantissime denunce pubbliche. Un giornalista-giornalista, appassionato e senza tesserino. Un abusivo. Il migliore. Faceva il professore: insegnava educazione tecnica alle scuole medie, e i suoi alunni lo temevano e lo amavano allo stesso tempo. Lei era una giovane studentessa di Giurisprudenza, lo aiutava nel suo lavoro di inchiesta, per lui seguiva i processi, e lo osservava un po’ stranita mentre lui guardava fuori e le diceva che non sarebbe arrivato al 20 gennaio. Erano padre e figlia. Una la fotocopia dell’altro. Due corpi e un’anima. Parlavano tanto, si confrontavano. Nonostante avessero spesso idee contrastanti riuscivano a formare una coppia formidabile. Entrambi molto caparbi e testardi, ma altrettanto coerenti.

 

Da quando lui le aveva detto che volevano eliminarlo, lei viveva nel terrore di non vederlo rincasare. Lo aspettava ogni sera con l’ansia nel cuore. E una gelida sera di gennaio accadde: lui non tornò. Era stato freddato a pochi metri da casa, mentre si trovava in auto dopo essere andato a prendere la moglie alla stazione. Il ricordo di quel venerdì in cui lui non aveva fatto in tempo ad appostarsi dietro il vetro per osservare quegli uomini tanto diversi da lui è ancora nitido. Brucia, e fa male.

 

Quanta gente. Chi erano tutti quegli uomini, in casa, che stavano rovistando tra le sue cose? Cosa cercavano, mentre lui veniva portato via dalla sua auto e mentre il suo sangue ribolliva sull’asfalto freddo e umido? Perché portavano via il suo computer e i suoi appunti? Chi era quell’uomo con i baffi che lei non voleva vedere né sentire parlare? E cosa volevano quei signori che lei reputava traditori? Dicevano che l’avrebbero aiutata, che avrebbero pensato loro alla sua famiglia. Ma lei non voleva pietà, e soprattutto non voleva l’aiuto di chi aveva mandato a morire suo padre, il giornalista-giornalista. Il migliore.

 

Cosa succedeva in città? Cos’era quel mormorio? Perché nessun lutto cittadino? Perché la gente isolava questa famiglia, adesso, mentre si sentiva ancora l’odore del sangue sull’asfalto? Lei lo sentiva ancora.

 

Pochi giorni ed è andata via, con la sua famiglia. L’hanno mandata via. E non tornerà più, se non per un giorno, ogni tanto.

 

Oggi, a diciannove anni da quella sera in cui un gruppo di vigliacchi con il colletto bianco le ha portato via un pezzo di vita, lei è una donna e ha tre dolcissime figlie. Passa quattro giorni a settimana all’estero, è presidente di due associazioni, responsabile nazionale di un dipartimento antimafia ed europarlamentare. Si occupa di libertà civili, di diritti umani, di giustizia, di immigrazione, di affari interni, degli interessi di cinquecento milioni di cittadini. Lei, a Strasburgo, ha fatto approvare una risoluzione sulle mafie che farà la storia delle istituzioni europee e dell’antimafia: qualcuno l’ha definita una pietra miliare. Lei, oggi, è la proiezione di lui. Ne porta avanti i valori, le battaglie. Lo fa anche in suo nome. Da quel giorno non ha mai smesso di essere presente alle numerosissime, lunghissime e strazianti udienze per l’omicidio di suo padre, con al suo fianco un fedele e valido compagno di lotta: il suo avvocato, l’amico, il fratello. Insieme stanno lottando per lui e per tutti noi. Stanno cercando di far venire fuori i nomi dei veri mandanti di quell’orrendo delitto.

 

L’uomo con i baffi, che lei non voleva più vedere, oggi deve rispondere di falsa testimonianza, con l’aggravante di aver agevolato Cosa Nostra. Forse l’uomo con i baffi sa chi erano quelli che rovistavano: non cercavano di scoprire la verità, bensì tentavano disperatamente di nasconderla. E i traditori? Ecco, loro hanno fatto quasi tutti carriera. Nei palazzi.

 

Lui, il giornalista-giornalista, è Beppe Alfano. Lei è sua figlia, Sonia.

L’8 gennaio 2012 ricorre il diciannovesimo anniversario dell’omicidio Alfano. Quel giorno Sonia aveva ventuno anni, oggi ne ha quaranta. Tutto è cambiato, ma niente è cambiato. Lui è ancora il padre, lei la figlia. Lei è ancora caparbia e testarda, ed altrettanto coerente. E sono ancora l’una fotocopia dell’altro. Con idee contrastanti, senza ombra di dubbio. Ma pur sempre una formidabile coppia.

 

Noi, invece, siamo e dobbiamo essere quelli che pretendono risposte ai troppi perché di questa storia che ci riguarda tutti.

 

Valeria Bonanno