In
Italia il suicidio è la seconda causa di morte materna tra i 43 e i 365 giorni
dall’esito della gravidanza. Questo il quadro tracciato dal primo Rapporto
coordinato dall’Istituto superiore di sanità sulla sorveglianza ostetrica –
(ItOSS). Un risultato che, nonostante sia in linea con quello riscontrato dai
sistemi di sorveglianza degli altri Paesi Europei, era imprevisto in Italia,
dove il tasso di suicidio nella popolazione femminile è invece fra i più bassi.
Inoltre,
mentre nell’UE la mortalità materna precoce da cause ostetriche (prima causa di
mortalità) ha subito una riduzione progressiva negli ultimi 50 anni, le morti materne tardive, in gran parte
causate da malattie preesistenti o insorte durante la gravidanza (tra cui il
suicidio), non accennano a diminuire.
E
mentre si fa ancora confusione fra “depressione post partum” e “maternity
blues” (condizione transitoria chiamata anche “sindrome del terzo giorno”), di morti materne e suicidi non se
ne parla affatto.
Probabilmente perché
per anni nessuna indagine comparativa ha fornito risultati attendibili o magari
perché la media di 9 morti materne ogni 100mila nati vivi viene sempre presentata
come un ottimo risultato, se non fosse che lo stesso rapporto afferma che grazie
a un potenziamento dell’assistenza sarebbe
prevenibile il 40%-60% delle morti materne.
Lo studio in
questione, pubblicato lo scorso Marzo, scatta dunque per la prima volta una
fotografia della situazione italiana. Le 10 Regioni prese in esame (Piemonte,
Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania
Puglia, Sicilia e Sardegna) comprendono il 77% dei nati del Paese.
“Complessivamente
– si legge nel rapporto – la sorveglianza ha individuato retrospettivamente,
nei 7 anni presi in esame (tra il 2006 e il 2012) 67 casi di suicidio che rappresentano il 12,2% delle 549 morti materne
dirette e indirette avvenute. Per dare una dimensione della rilevanza del
problema dei suicidi materni nel nostro Paese, basta confrontare le 67 morti materne per suicidio –
avvenute entro un anno dall’esito della gravidanza – con i 58 decessi dovuti a
emorragia ostetrica – prima causa di morte materna nel Paese responsabili del
10,6% delle morti nelle stesse Regioni e negli stessi anni”.
“Il parto – si
legge ancora – è un potente trigger di mania e psicosi e il verificarsi di
episodi di malattia in questa delicata fase della vita può essere responsabile
di grave morbosità e mortalità materna per suicidio”. Se il rischio di
sviluppare un disturbo mentale grave durante la gravidanza è basso, aumenta invece
in maniera notevole subito dopo e specialmente nei primi tre mesi.
Sempre secondo il
rapporto, i suicidi materni risultano più frequenti nelle Regioni del Nord Est
(mentre nelle Regioni del Centro-Sud sono più frequenti le morti materne
dirette da cause ostetriche). L’età media delle donne decedute per suicidio è
pari a 33 anni, il 76% è di cittadinanza italiana e il 63% non ha figli da
precedenti gravidanze. Quattro suicidi (6%) sono stati commessi in gravidanza,
34 (51%) entro 12 mesi dal parto, 18
(27%) entro 12 mesi da un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) e 11
(16%) entro 12 mesi da un aborto spontaneo. La maggioranza delle donne (56 su 63) ha utilizzato un metodo di
suicidio violento, più spesso impiccagione (37%) o salto da luogo elevato
(21%). Una scelta che conferma la determinazione dell’intento suicidario e
una maggiore gravità psicopatologica.
I risultati dello
studio confermano, dunque, da un lato che il suicidio è una causa importante di
mortalità materna in Italia, ma sottolineano anche come in molti casi queste
morti sarebbero evitabili.
La ricostruzione
retrospettiva della storia di salute mentale delle donne decedute, infatti, ha
permesso di rilevare che “oltre la metà di quelle che si suicidano entro
un anno dall’esito della gravidanza aveva un precedente disturbo mentale”.
Questo vuol dire che nonostante i frequenti contatti con i servizi e i
professionisti sanitari in occasione della gravidanza e nel periodo perinatale,
questi disturbi, spesso gravi, non
vengono rilevati dai professionisti che assistono il percorso nascita”. Fatto ancor più grave, i disturbi non
risultano nelle cartelle ostetriche.
Il
problema fondamentale dunque è che oltre il 50% dei casi non viene riconosciuto.
Tra le
raccomandazioni per prevenire le morti materne per suicidio la “valutazione
di routine della storia presente e passata per problemi di salute mentale della
donna durante la gravidanza, dopo il parto, prima e dopo una IVG e dopo un
aborto spontaneo, oltre a una migliore comunicazione e continuità delle cure
tra servizi per la maternità e per le IVG, servizi per la salute mentale,
medicina generale e pediatria di libera scelta”.
Ascolto, comunicazione e
continuità, dunque, i grandi assenti del nostro tempo.