Marco Dentici porta il

Il rosso dei tappeti sulle passerelle, il fruscio dei vestiti d’alta moda, gli scatti delle reflex dei fotoreporter, l’accecante luce dei riflettori e le urla di chi sogna di vedere, almeno per un attimo, registi, attori e attrici di ogni parte del mondo e di fama internazionale accorsi a un evento di portata mondiale chiamato “Mostra del Cinema di Venezia” e giunto alla 68esima edizione. Quando le porte si chiudono, però, parla il cinema, la settima arte, e lì, tra standing ovation e fischi assordanti, tonfi clamorosi e ascese incredibili, i protagonisti diventano i film e ciò che essi esprimono. Un’opera cinematografica può dire tanto, può esprimere un modo di essere, un pensiero o un fatto, può portare in mondi fantastici e inimmaginabili ma può anche denunciare i mali che affliggono un popolo o l’intera società. Ed è proprio alla denuncia che mira un’opera presentata lo scorso 5 settembre alla Mostra del Cinema e riguardante da vicino la nostra Messina. Il film in questione, dal titolo “Caldo grigio caldo nero” è stato girato da un messinese doc, Marco Dentici, con la partecipazioni di tre importanti personaggi originari della città dello Stretto, Maria Grazia Cucinotta, Ninni Bruschetta e Nino Frassica, e ha il merito di riportare alla ribalta un tema tanto centrale nelle politiche cittadine e nelle vite di molti messinesi quanto dimenticato a livello nazionale: la tragedia di Giampilieri e Scaletta.

Questo è un paese cosparso di cumuli di macerie perché non si fa mai in tempo a sistemare che già accade qualche altra cosa. Ma perché succede qualcos’altro? Perché non si è mai provveduto prima. Quello è il fango peggiore, secondo me, non si vede, è impalpabile, ma se ci si mette a riflettere un pochino ci si rende conto che la causa di tutti i mali è questa. Il film in qualche misura ha questa chiave metaforica. È stata una delle molle principali per fare un film del genere. I disastri ci sono ovunque ma c’è sempre una causa che sta a monte”. È per questo che Marco Dentici nel suo film-documentario non parte direttamente dall’alluvione dell’1 ottobre 2009 ma retrocede al 2007, alle prime “colate” di fango che hanno invaso alcuni paesi della zona sud messinese, quelle inondazioni minori che avrebbero dovuto far scattare un campanello d’allarme nelle istituzioni e che invece non hanno fatto altro che restare inosservate, lasciando gli abitanti delle zone colpite ancora una volta da soli con le proprie paure. “Noi che cosa facciamo affinché non avvengano certe cose? Il punto è qui. Non possiamo pensare di mettere un gigantesco ombrello a salvaguardia della nostra incolumità. Lì è stata una cosa eccezionale, gli esperti hanno contato oltre sedicimila fulmini, ottanta metri cubi di fango che è sceso. Davanti a queste cose possiamo soltanto creare un argine, per quanto possibile, con la difesa del territorio. È quello che manca”. Le parole del regista, originario proprio delle zone di Scaletta, sono chiare e precise: l’uomo non può fare nulla di fronte a catastrofi del genere in quanto la portata gigantesca dell’evento naturale di quelle notti non avrebbe permesso nulla di più di ciò che è stato fatto. L’errore dell’uomo non sta nella notte in sé ma a priori: senza la salvaguardia del territorio e con questa onnipresente aggressione dovuta alla speculazione edilizia la terra non può far altro che cedere, come ha già ceduto in passato. “Devono liberare i torrenti, perché questi sono nati non per volere dell’uomo ma perché c’ha pensato la natura con un naturale deflusso di acqua che arriva dalle colline e che serve a portare fino al mare tutto ciò che scende. È molto semplice, non ci vuole un mago. Invece i torrenti sembrano zona franca, terra di nessuno, dove ognuno può fare quello che vuole, mettere la baracchetta o la vigna. Se c’è una responsabilità quando si parla di abusivismo è questa. Però è un’ipocrisia insopportabile, anche se c’è una parte di verità, perché la vera colpa è nella gestione delle cose. È da imbecilli dire che quella frana è colpa dell’abusivismo anziché dire che là sopra era tutto uno scempio”. Come viene ribadito anche nel film, per molta gente qui siamo tutti “mafiosi e abusivi” ed è questo il messaggio che è passato a livello nazionale dopo la tragedia e contro cui si schiera apertamente l’opera di Dentici: “La più grande opera sarebbe il risanamento del territorio, altro che ponte dello stretto. L’Italia è una lingua di terra molto fragile, l’opera preventiva del territorio sarebbe la più grande opera faraonica ma siccome non è di immediata rilevanza a livello politico, perché non si vede. Se costruisci un ponte o costruisci una diga si vede e chi l’ha fatto? Quel governo lì. Però poi la gente muore e si parla di abusivismo. È un circolo vizioso”.

Un grande aiuto per il messinese nella realizzazione di questo lavoro è arrivato dai suoi tre figli. Francesco, ha curato i testi e tutta la parte scritta e riguardante i documenti; Giovanni, il primo ad arrivare in Sicilia, già “sul campo” dopo due giorni per riprendere il territorio insieme ad un altro operatore e ai vigili del fuoco; Gianluca, che si occupa di effetti speciale, ha aiutato in certe immagini con effetti digitali ma “non per distorcerle, per maggiorarle”.  “Soprattutto Giovanni mi ha seguito moltissimo,” spiega Dentici, “tutta la fase delle riprese e sul piano organizzativo è stata curata da lui, anche i contatti con Venezia”. Altrettanto importante il sostegno e il lavoro svolto dai tre attori messinesi presenti nella pellicola: “credo che così com’è successo a L’Aquila c’è una componente emotiva che va messa in conto, ma anche comportamentale, di condivisione, da parte di artisti che per natura e disponibilità ritengono di dover sposare una causa del genere. Nino è stato il primo ad accettare a scatola chiusa, poi Maria Grazia che ha accettato immediatamente. Quando il progetto è cambiato per diventare un documentario non hanno cambiato idea, anche se si tratta di una breve apparizione. Penso che sia efficace anche per questo: è una testimonianza la loro, non è un ruolo da interpretare. C’è la consapevolezza di essere testimone fin quando il caso richiede”.

Il lavoro di Marco Dentici, Maria Grazia Cucinotta, Ninni Bruschetta, Nino Frassica e tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo film ha una grande importanza tanto a livello locale e nazionale quanto a livello mondiale grazie alla splendida vetrina della Mostra, ma questo non basta. L’obiettivo dell’opera è quello di portare nuovamente alla ribalta una situazione lasciata allo sbando, passata dalla ribalta giornalistica nazionale al silenzio totale. Questo velo di indifferenza che circonda Giampilieri, Scaletta, Altolia e tutti i villaggi colpiti nonché tutti gli abitanti che ancora oggi soffrono per quella tragedia deve essere squarciato. Non è giusto dimenticare un evento simile, non è giusto lasciare soli coloro che sono stati colpiti da quest’alluvione e, soprattutto, non è giusto non ricordare che in quel maledetto primo ottobre 2009 sono morte 37 persone. È per questo che nasce “Caldo grigio caldo nero” ed è per questo che bisogna dar spazio alla voce di chi per troppo tempo è stato zittito.