Terzo appuntamento per Scenanuda, la rassegna teatrale diretta da Michelangelo Maria Zanghì, che da quattro anni continua a collezionare consensi. Allestita dall’Associazione Culturale “Filokalòn”, in collaborazione con la compagnia teatrale “Santina Porcino”, Scenanuda propone un terzo appuntamento in cui il teatro si tinge di passione, sensualità e quell’odiosa omertà che rende il tutto incredibilmente reale e concreto: Marì, in scena domenica 15 gennaio, alle ore 21, nel teatro FMA di via Regina Margherita 22, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina).
Una messa in scena coraggiosa, che vede la regista e scenografa Federica Amatuccio cimentarsi in una rappresentazione in cui la femminilità è al contempo pregio e difetto, privilegio e condanna. Marì, la protagonista, vive come arma e come debolezza il suo essere donna, causa della propria tragedia e di una vita affrontata quasi con rassegnazione. Complice del suo disagio, una madre incarnazione della vergogna. Quella vergogna che porta a rinnegare il proprio sangue, a nascondere l’indifendibile. A fingere un benessere mal nascosto, che porta a rifiutare la realtà per difendere verità insostenibili.
Lo spettacolo si apre con un funerale, alla cui testa si trovano le due figure femminili protagoniste degli eventi: Marì e sua madre. Il defunto è un uomo affermato e amato dalla comunità: lo zio di Marì. La giovane donna è sensuale e provocante, mentre assiste impassibile all’elogio funebre che la madre pronuncia per l’adorato fratello. Una freddezza chiarita da una vicenda che si sviluppa sul palco, tra ricordi che vorrebbero rimanere celati.
E’ così che parte, a ritroso, il racconto della storia di Marì: i suoi ricordi infantili, i giochi innocenti, il rapporto con la madre, con la ristretta comunità della benestante cittadina di provincia in cui è cresciuta, con le sue feste e i suoi riti sociali. Una relativa serenità fino a che Marì, ancora bambina, non subisce uno stupro da parte dello zio, lo stesso zio che ora giace in una bara, di fronte a lei, ancora viva. Lei, sopravvissuta a un’infanzia troppo pesante La violenza, unita all’omertà della madre, preoccupata solo del buon nome della famiglia e al giudizio di una comunità pronta solo a condannarla, guidano la crescita interiore di Marì fino al punto di non ritorno.
Marì, diventata ormai donna, decide di uccidere lo zio, credendo così di liberarsi. La madre continua a insabbiare anche questo assassinio, mentre la comunità non smette di condannarla, come quando era innocente. La comunità diviene così una coprotagonista indispensabile allo snodo della vicenda. Da lei dipendono le macchinazioni, le menzogne, il negare un’evidenza goffamente offuscata. Marì, dal canto suo, incarna le personalità di centinaia di donne che, come lei, hanno vissuto un’esistenza da eremita, seppur in mezzo alla gente. Non le rimane che compiere un ultimo gesto estremo, proprio durante il funerale dello zio.
La storia di Marì, è la storia di tutti.
Marì – Scenanuda
Federica Amatuccio, regia e scenografia
Andrea Gianessi adattamento teatrale e musiche originali
Daniele Bisceglia – fotografia
Martina Mondello – costumi
Pascal Fausto Amatuccio – luci e grafica
GS Trischitta