Massimo, fra trattativa e coincidenze

Il commissario Bonferraro della DIA riferisce di strane telefonate del vice capocentro del SISDE  Lorenzo Narracci al costruttore del covo di via Ughetti. Ma a rispondere per calunnia a Caltanissetta è Massimo Ciancimino, il superteste del processo trattativa

Alla scorsa udienza del processo trattativa è uscito per l’ennesima volta il nome di Lorenzo Narracci, funzionario del Sisde poi AISI il cui soprannome dovrebbe essere “l’uomo delle coincidenze”: il suo nome entra in qualche modo in tutte le inchieste sulle stragi del ’92-’93 dagli anni ’90 a questa parte, anche se lui ne esce sempre indenne e pulito. Recentemente è stato archiviato nell’ultima inchiesta della procura di Caltanissetta che lo aveva indagato per concorso in strage e concorso esterno in associazione mafiosa. La procura nissena lo ha pienamente prosciolto da ogni accusa, mentre più in generale, come emerge dalla requisitoria in corso al processo Borsellino quater, ha stabilito che non ci furono un ruolo dei servizi segreti e partecipazioni esterne a Cosa Nostra nella strage di via D’Amelio (stessa tesi sostenuta anche per la strage di Capaci). Insomma fu solo mafia per la procura nissena… Ma Narracci è stato indagato anche dalla procura di Palermo per la sola parte relativa alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino (di cui parleremo in seguito). Anche qui la sua posizione è stata archiviata ma con la motivazione che non si erano trovati adeguati riscontri per procedere con l’esercizio dell’azione penale, mentre per gli altri elementi riguardanti le stragi la competenza era di Caltanissetta.

Uomo vicinissimo a Bruno Contrada (arrestato il 24 dicembre 1992 e poi condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa), dopo vari anni al nucleo per la ricerca dei latitanti del Sisde, nel dicembre 1991 arriva a Palermo dove assume l’incarico di vice capocentro. Il capocentro era il colonnello dei carabinieri Andrea Ruggeri. Nell’agenda di Contrada del 1992 (anno dell’arresto di Contrada) in cui l’ex numero tre del Sisde scriveva gli appuntamenti e gli impegni della giornata, la DIA scrive che “sono emersi frequentissimi rapporti tra il CONTRADA e il NARRACCI ed una assidua frequentazione, anche fuori degli orari di servizio“ e che “in particolare, con riferimento all’anno 1992, il nome di NARRACCI risulta presente in nr.91 appunti”.

Aveva contatti anche con l’allora col. Mori, come riferisce lui stesso ai pm di Caltanissetta il 27 ottobre 2010 quando gli vengono sottoposti i suoi tabulati telefonici: «La mia sola utenza era quella di servizio e all’epoca non avevo altri cellulari. Presso l’utenza della Caserma CC Carini contattavo il Capitano ZANAROLI, ma anche Mauro OBINU oppure il Colonnello MORI, che poi divenne il direttore del servizio. Rappresento che spesso il cellulare di servizio a me in uso veniva utilizzato anche da altri colleghi e, a volte, anche dallo stesso ZANAROLI.»

QUELLE TELEFONATE AL COSTRUTTORE DEL COVO DI VIA UGHETTI

Venerdì 16 dicembre è stato escusso al processo trattativa il commissario Salvatore Bonferraro, della DIA di Palermo che si è occupato delle indagini sulla trattativa in merito alle quali ha riferito. Buona parte della sua audizione, che è possibile ascoltare su Radio Radicale, ha riguardato i numerosissimi riscontri alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, teste principale dell’accusa.

Ma il commissario Bonferraro costituisce anche un po’ una memoria storica in quanto è in forze alla DIA di Palermo da quando la stessa si costituì e quindi ha partecipato a numerose indagini. Tra le altre cose si occupò delle indagini sul covo di via Ughetti. Ricordiamo brevemente che Nino Gioé (che poi si suiciderà (?) in carcere) e Salvatore La Barbera dopo le stragi del ’92 si erano dati alla clandestinità pur non essendo ricercati. Avevano affittato un appartamento al decimo piano di via Ughetti 17 dove si nascondevano. La DIA nell’ambito delle indagini prese a sua volta in fitto un appartamento al quarto piano per eseguire le intercettazioni ambientali. Durante le intercettazioni ascoltarono la famosa frase sull’attentatuni riferito alla strage di Capaci.

Bonferraro ha riferito che quello di via Ughetti era un palazzo di nuovissima costruzione dell’impresa Coseda srl di Antonino Seidita che qualche anno dopo sarà arrestato e poi condannato per associazione mafiosa. La Coseda srl sarà tra i beni sottoposti a sequestro. Gli appartamenti erano quindi nuovissimi e tutti arredati o semiarredati. “Anni dopo – ha aggiunto Bonferraro – abbiamo scoperto che sullo stesso piano di Gioé e La Barbera, difronte, abitava Benigno Salvatore, uomo d’onore della famiglia di Misilmeri poi condannato per le stragi del 93”. I due appartamenti, sia quello occupato da Gioè e La Barbera che quello occupato da Benigno, furono presi in fitto il 1 febbraio 1993.

Ed ecco rispuntare il nome di Lorenzo Narracci. Il pm dott. Di Matteo chiede al commissario se fossero risultati rapporti del costruttore di via Ughetti con Sisde. La risposta è positiva. Dai tabulati dell’utenza di Narracci risultano quattro telefonate con la Coseda srl proprio nel 1993 : una il 26 gennaio, due il 29 gennaio e l’ultima il 1 febbraio. Ossia il giorno in cui viene siglato il contratto di affitto. Mera coincidenza. Anche questa.

Ma perché il vice capocentro del Sisde telefonava alla Coseda srl e perché proprio in quei giorni?

Il commissario della DIA ha poi aggiunto che loro si erano accorti di movimenti strani dei servizi. “Noi ci davamo il cambio la sera tardi o la notte, la sera del 16 marzo mentre uscivo uscendo dall’ascensore, mi trovai davanti nel palazzo Purpura Nunzio del centro Sisde di Palermo con una donna Lemmo Antonina anche lei del Sisde che poi divenne sua moglie”. Parlandone con un suo collega, emerse che durante un pedinamento si era accorto di essere osservato da quest’uomo con i baffi grandi  che li aveva anche contropedinati.

Come ha rilevato il dott. Di Matteo con la sua domanda successiva, il Purpura era sottordinato rispetto a Narracci che era vice capocentro.

L’UOMO DELLE COINCIDENZE

Ma come dicevamo Narracci è l’uomo delle coincidenze.

Sul luogo dove fu fatto detonare l’esplosivo per la strage di Capaci fu trovato un biglietto con sopra il suo numero di telefono. Che ci faceva lì? Un puro caso pare, un tecnico dei servizi che era lì per le indagini riferì che lo aveva perso dopo e non prima la strage. Non è molto consolante sapere che uomini dei nostri servizi si perdono bigliettini con numeri di utenze riservate, ma tant’è.

Arriviamo al 19 luglio 1992 e il nostro Narracci si trova in barca con Bruno Contrada, il cap. Zanaroli e l’imprenditore Giovanni Valentino, amico di Contrada e risultato poi legato ai mafiosi stragisti Ganci oltre che ad esponenti dei servizi. Alle 17 in punto parte dal cellulare di Contrada una telefonata al centro Sisde di Palermo. Sia Contrada che Narracci racconteranno che Valentino aveva ricevuto una telefonata dalla figlia che lo avvisava dell’attentato e che quindi Contrada telefona al centro Sisde per sapere di cosa si trattasse. Saputo che si trattava di via D’Amelio, dove abitava la madre di Borsellino, decidono di rientrare per recarsi sul luogo. Tutto questo in 100 secondi, dato che l’attentato è stato alle 16.58 e 20 secondi e la telefonata al centro Sisde è delle 17.00 (ne seguirà un’altra alle 17.51). Quando invece le prime confuse notizie cominciarono ad arrivare almeno mezz’ora dopo e inizialmente non si riusciva a capire cosa fosse stata quell’esplosione.

Infine si scoprì che in via Fauro, a pochi metri dal luogo dell’esplosione, c’era l’auto di Narracci che aveva casa lì vicino. Si sospettò che l’attentato potesse essere rivolto a lui anziché come anche si era ipotizzato a Maurizio Costanzo. Ma no, anche lì si trattò di un mero caso.

Di Narracci i giornali hanno parlato a lungo nel 2010, quando è stato riconosciuto sia da Massimo Ciancimino che da Gaspare Spatuzza. Il superteste della trattativa lo riconobbe in un album fotografico inviato dall’AISI ai pm in mezzo a tante altre foto come un soggetto che conosceva il sig. Franco e che aveva visto qualche volta all’uscita dal carcere dove era detenuto Vito Ciancimino e gli aveva consegnato dei documenti da parte di suo padre. Gaspare Spatuzza invece lo identificò negli stessi album come soggetto somigliante a quel personaggio esterno a Cosa Nostra che era presente nel garage quando imbottirono la 126 rossa di esplosivo per l’attentato di via D’Amelio.

Entrambi ignoravano l’identità del soggetto che avevano indicato in foto. Il suo nome era emerso come si è detto nelle varie indagini ma non era di dominio del grande pubblico e di certo una sua foto non era mai uscita né sui giornali né nel corso delle indagini. Tutt’ora non è mai uscita sui giornali.

La notizia delle indagini su Narracci fu resa nota il 30 giugno 2010 dall’allora presidente della Commissione Antimafia sen. Beppe Pisanu: «riappaiono le ombre dei servizi segreti, prima fra tutte quella del dottor Narracci già collaboratore del dottor Contrada, tuttora all’ Aisi, a quanto pare indagato a Caltanissetta» scriveva il senatore nelle sue comunicazioni alla Commissione sui grandi delitti e le stragi di mafia degli anni 1992-1993, dando anche notizia delle fonti di prova ossia le accuse di Gaspare Spatuzza e Massimo Ciancimino. A molti apparve strana quella discovery su una delicata indagine ancora coperta da segreto istruttorio che riguardava un funzionario ancora in servizio all’AISI (nuovo nome del Sisde). Successe il putiferio, si riunì il Copasir presieduto da D’Alema che convocò il direttore del DIS De Gennaro l’8 luglio e direttore dell’Aisi, Giorgio Piccirillo, il 13 ottobre. Sospetti su Narracci non erano nuovi come si è detto, ma ora si parlava di testimoni oculari che lo accusavano, qualcosa in più di un bigliettino con un numero di telefono e di una telefonata dalla barca con Contrada. Quando poi emerse che le dichiarazioni di Massimo Ciancimino avevano toccato anche il potente Gianni De Gennaro, nel 2010 a capo del DIS dei servizi segreti, la fibrillazione raggiunse livelli mai visti. Se ne interessò perfino il faccendiere ex piduista Luigi Bisignani come emerse dalle intercettazioni con il prefetto di Roma Pecoraro. Ma questa è un’altra storia, di cui in passato ci siamo occupati.

IL MISTERO DEI RICONOSCIMENTI

Mercoledì 27 ottobre 2010 prima Massimo Ciancimino e poi Gaspare Spatuzza dovettero compiere la ricognizione personale (detta comunemente confronto all’americana) presso la procura di Caltanissetta. Ovviamente il soggetto che si trovarono davanti in mezzo ad altri quattro era cambiato rispetto a quello mostrato nelle foto che lo ritraevano negli anni ’90.

I giornali prima scrissero che entrambi avevano confermato il riconoscimento di Narracci. Ma poi arrivò la rettifica, Spatuzza non lo aveva riconosciuto. Il 6 dicembre a Massimo Ciancimino arrivò un avviso di garanzia per calunnia ai danni sia di De Gennaro che di Narracci da parte della procura nissena. “Con Ciancimino abbiamo perso due anni” dichiarava il procuratore Lari ai giornali, mentre da Palermo si veniva a sapere che nulla era cambiato nei confronti di Ciancimino. Per la prima volta si parlò di scontri tra le due procure.

Si chiedeva sulla Stampa Guido Ruotolo in un interessante articolo: «Ma Narracci non era stato chiamato in causa anche da Gaspare Spatuzza, che addirittura l’aveva collocato nel garage dove si stava imbottendo di tritolo l’auto che doveva eliminare Paolo Borsellino e la sua scorta? Salvo poi sfumare l’accusa in un successivo confronto all’americana? Ma anche Massimo Ciancimino sulle identità dei vari «signor Franco» è stato incerto. Perché due pesi e due misure?»

Come andarono realmente le cose? Spatuzza in realtà confermò il suo riconoscimento, ma avendolo confermato in termini dubitativi ciò non consentiva di procedere con un’accusa, di indagare per trovare conferme sì. Ecco le parole esatte di ‘u Tignusu secondo il verbale riassuntivo:

SPATUZZA: «Riconosco il soggetto che occupa la posizione n. 2 come quello che ho individuato negli album fotografici che mi sono stati mostrati; devo precisare che, come ho già dichiarato, non ho certezza alcuna che si tratti del soggetto che ho notato nel garage di via Villasevaglios, dovendo ribadire ancora una volta che ho avuto modo di vedere questa persona solo per pochi attimi. La statura e le fattezze fisiche del soggetto collocato alla posizione n. 2 sono simili a quelle del soggetto che ho visto all’interno del garage».

Insomma Spatuzza dopo quasi vent’anni non se la sentiva di indicare con certezza un soggetto che aveva visto per pochi secondi basandosi su “un flash” nella sua mente come lo chiama lui stesso. Disse che non si trattava di paura perché lui aveva dato la sua vita per lo Stato (anche se un maligno potrebbe dire excusatio non petita…) ma di scrupolo. “Io non ho la certezza e spero che voi fate il vostro lavoro per appurarlo”.

Per Massimo Ciancimino invece le cose andarono diversamente. Durante la ricognizione dietro al vetro il superteste si confuse completamente, dall’audio si percepisce chiaramente che fu preso dal panico. Si confondeva con i numeri, poi indicò due soggetti, il 4 e subito dopo il 2. Gli fu detto che doveva sceglierne uno solo e indicò il 4. Narracci era il 2. Il 2 e il 4 erano abbastanza diversi tra loro, ma Narracci era di certo invecchiato rispetto a quello delle foto, un soggetto che in totale il Ciancimino aveva visto 3-4 volte nella vita tanti anni prima. Probabilmente ebbe paura, andò in tilt. Anche il n. 4 gli ricordava un viso noto, andò nel pallone. Era stremato dopo tante ore in procura. Dopotutto lo stress era molto forte in quel periodo, tanto per cambiare. Due giorni prima era stato sentito per la prima volta a Palermo nella sua nuova veste di indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo ruolo di latore dei pizzini, accusa – si leggeva nell’avviso di garanzia – che si basava esclusivamente sulle sue dichiarazioni autoaccusatorie e sull’autenticità riscontrata dei pizzini da lui consegnati. Cosa, che se confermava il fatto che fosse ritenuto attendibile da Palermo, di certo oltre tutto il resto che ne conseguiva non aveva potuto mancare di provocare reazioni in famiglia: lui non era un pentito, non aveva nessun beneficio da quello che stava facendo e ora si ritrovava indagato per “sua scelta”. Il sabato precedente, 23 ottobre, inoltre aveva subito un altro simpatico episodio: una sua auto che un suo conoscente stava trasportando da Bologna a Palermo fu sottoposta a perquisizione appena uscita dal porto di Palermo (insieme a chi la portava) su ordine della procura nissena. Vennero”smontati” entrambi, auto e conducente. La notizia era uscita sui giornali giusto il giorno prima di quell’importante riconoscimento cui ne doveva seguire il giorno dopo a Palermo un altro riguardante un altro soggetto dei servizi segreti. Massimo Ciancimino non rilascia dichiarazioni ma è evidente che dopo le perquisizioni eclatanti di luglio non poteva non cogliere un segnale.

“ABBIAMO BUTTATO A MARE CIANCIMINO”

Il 2 luglio per ordine della procura di Caltanissetta, la DIA nissena sottopose a perquisizione a tappeto con un blitz in tutt’Italia le abitazioni di Massimo Ciancimino, familiari suoi e della moglie e amici. La notizia ebbe un grande risalto mediatico. Massimo Ciancimino abbozzò: «Resto sereno e disponibile a continuare a fornire il mio contributo alle indagini dei magistrati». Ma era evidente che, da siciliano, aveva in qualche modo colto il segnale. E lui rispondeva con un altro segnale: “non mi fermo”. D’altra parte il significato era evidente anche a chi come noi seguiva le notizie dall’esterno.

Che di segnale si fosse trattato, oltre la spiegazione ufficiale della ricerca di foto del sig. Franco, lo confermerà anche lo stesso procuratore Lari. Audito il 26 marzo 2012 alla Commissione Antimafia, dichiarò: «Successivamente noi lo abbiamo buttato a mare, gli abbiamo fatto le perquisizioni nel luglio del 2010 e gli abbiamo fatto capire che con noi aveva chiuso. E qui rispondo anche alla domanda sui contrasti che sono nati con la procura di Palermo. Di fronte a questo coacervo di menzogne abbiamo ritenuto che non fosse più il caso di andargli appresso. E come segnale facciamo tutte le perquisizioni a lui e ai suoi familiari nel luglio del 2010. Ciò è avvenuto nel luglio del 2010. E sostanzialmente comunichiamo anche alla procura di Palermo che lo abbiamo buttato a mare, per quanto ci riguarda non soltanto dice il falso ma è anche un calunniatore.»

Massimo Ciancimino però continua lealmente a collaborare con entrambe le procure. A settembre di sua iniziativa consegnò altri documenti alla DIA di Caltanissetta. Il 28 settembre fu interrogato in quanto l’ispettore Buceti della DIA in seguito a quell’incontro aveva stilato una relazione di servizio nella quale asseriva che il testimone aveva affermato che il sig. Franco fosse De Gennaro. Ciancimino chiarì che intendeva dire che il sig. Franco era legato a De Gennaro. L’interrogatorio durò a lungo e si sviscerarono tutti i temi connessi a De Gennaro che il dichiarante già aveva trattato in precedenti interrogatori dal febbraio 2010.

Si arriva così al 27 ottobre, dopo questo nuovo piccolo segnale del 23 ottobre. La procura nissena pur avendo, a quanto si apprese dopo, già deciso di “buttare a mare” il testimone, lo convoca per la ricognizione. Ma, nonostante lo stato d’animo che possiamo intuire, subito dopo la ricognizione, quando fu sottoposto al confronto dal vivo con Narracci, seduti uno vicino all’altro davanti alla stessa scrivania – ripresosi – confermò senza esitazioni che quello era l’uomo che aveva riconosciuto in foto.

Ci saremmo al limite potuti aspettare un’accusa di favoreggiamento per aver indicato il soggetto sbagliato. Non volendo pensare a un momento di reale confusione totale, era il classico del testimone che quando si trova davanti il soggetto da riconoscere, dietro a un vetro ma dal vivo, ha paura e ritratta o sbaglia il riconoscimento. Ma poi in questo caso è rientrato in sé e ha confermato tutto. Invece no: calunnia ai danni di Narracci. E perché? Ammesso che volutamente il testimone abbia indicato un altro soggetto, non lo ha fatto certo perché non conosceva le fattezze del Narracci, avendolo più volte riconosciuto in foto. Il soggetto delle foto era a lui noto e quindi sapeva qual era il viso che avrebbe dovuto riconoscere. Di certo invece quando lo indicò in foto la prima volta non poteva sapere che effettivamente era un soggetto vicino a Contrada e il cui nome era emerso così tante volte perché come già si è detto il suo volto non era mai stato reso pubblico. Una gran fortuna, non c’è che dire! Tra tanti volti indicare giusto uno a caso, il numero 29! E trovarsi ad aver indicato giusto Lorenzo Narracci.

LE VISITE DEGLI 007 NELLE CARCERI

Rispetto al fatto su cui non si sono trovati riscontri delle visite in carcere a Vito Ciancimino che avrebbe effettuato Narracci, è lo stesso Bruno Contrada nel verbale dell’11 novembre 2010 davanti alla procura di Caltanissetta che dichiara:

«Per la mia esperienza posso dire che era possibile che alcuni funzionari del SISDE potessero accedere nelle strutture carcerarie senza essere registrati. Ciò era accaduto in particolare nel periodo in cui il SISDE si occupava di antiterrorismo.» 

D’altra parte anche recentemente si è scoperto dell’esistenza di protolli segreti (protocollo Farfalla) mentre di visite nelle carceri di uomini dei servizi si è parlato in più occasioni ad esempio riguardo al mancato pentimento del boss della NCO Raffaele Cutolo. Lo stesso neo pentito Vito Galatolo ha riferito di visite continue dei servizi a vari mafiosi in carcere tra cui Nino Cinà, l’uomo del papello che aveva fatto da tramite tra Riina e Vito Ciancimino.  Ritenere che questo fatto non avvenga e che le visite nelle carceri degli 007 siano tutte segnate nei registri, è davvero una cosa fuori dal mondo.

Quindi che non si siano trovate le prove a carico di Narracci non significa che si siano trovate le prove della falsità del racconto di Massimo Ciancimino, cosa che, insieme alla consapevolezza di tale falsità, perfezionerebbe il reato di calunnia.

Io una mia idea su quello che è successo ce l’ho, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, diceva il divo Giulio che se intendeva. Ma la tengo per me. A voi riporto unicamente i fatti.

Al di là della vicenda delle indagini di Caltanissetta sulle stragi e sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino (sarebbe meglio dire su Massimo Ciancimino), una cosa è certa: in tutte le vicende drammatiche del nostro Paese c’è sempre l’ombra dei servizi, sospetti, indizi, ma non si riesce mai a fare luce. Questo al di là dei singoli soggetti. A Palermo, nell’aula bunker dell’Ucciardone il dott. Di Matteo, insieme al suo pool, sta cercando di diradare queste ombre. Se si riuscirà mai a fare un po’ di luce, sarà grazie a questo pugno di magistrati, a investigatori come il comm. Bonferraro e a testimoni come Massimo Ciancimino che, nonostante tutto, non si sono tirati indietro confermando le dichiarazioni in dibattimento.

Adriana Stazio https://ilviziodellaparola.wordpress.com/