Messina la mafiosa

Avremmo preferito che il Procuratore Generale Guido Lo Forte non avesse sorriso mentre dichiarava nella conferenza stampa dell’operazione “Matassa” (che anche) Messina (ha tutto il “diritto” di definirsi una città) mafiosa. Che Messina sia una città mafiosa non è più un’idea indeterminata, una retorica affermazione senza riscontro, non è il verminaio di antica memoria o la sensazione nasale del nuovo Assessore del Comune di Messina Eller. Il Procuratore ha spiegato che si tratta di famiglie mafiose, di territori ben delineati e equamente divisi tra le famiglie, di fatti illeciti, di reati e di criminali che generano profitti da reato che le organizzazioni di mafia della città si dividono. “Addirittura per alcuni scopi specifici le organizzazioni mafiose del territorio hanno costituito una cassa comune”, mentre in Carmelo Ventura-” Carosello”- le famiglie mafiose di Messina vedevano il mediatore d’ultima istanza a cui rivolgersi per appianare le tensioni. “ Non un capo formalmente inteso, Carmelo Ventura, perché a Messina non vi sono organizzazioni verticistiche con una struttura gerarchica. Possiamo parlare di un mediatore d’ultima istanza che appianava le diatribe. Tanto è vero che a Barcellona, dove l’organizzazione è maggiormente strutturata, vi sono più turbolenze rispetto a Messina.”

Il Procuratore ha spiegato che le oltre 300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del GIP di Messina Maria Teresa Arena, che ha visto l’arresto di 35 persone di cui 9 ai domiciliari e il sequestro preventivo di 4 società, hanno raccontato attraverso foto, video, intercettazioni e pedinamenti degli appartenenti all’associazione a delinquere di stampo mafioso i molteplici fatti illeciti di spaccio di droga, estorsioni e rapine. Hanno raccontato dello scambio di voto in cambio di denaro per cui è indagato l’ex Consigliere Comunale, candidato non eletto alle amministrative del 2013, Giuseppe Capurro. Un’ipotesi criminale, questa, diversa dalla corruzione elettorale per cui invece è indagato l’attuale Consigliere Comunale Paolo David. Nasce da questa differenza l’ulteriore imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa di cui deve rispondere solo il Capurro e la semplice, si fa per dire, associazione a delinquere finalizzata a commettere corruzioni elettorali di cui deve rispondere Paolo David. Il quale era il presunto promotore di un’organizzazione che in cambio di buste di pasta, promesse di lavoro e elargizione di somme di denaro raccoglieva voti per lo stesso David per Genovese e per Franco Rinaldi.

Sempre con l’idea che Messina avesse bisogno di avere un attestato di mafiosità, che i messinesi si sentissero quasi sminuiti a semplici ladri di galline rispetto ai più blasonati criminali del barcellonese o del catanese, il Procuratore ha continuato: “Abbiamo ripristinato un buon equilibrio (mafioso) tra la provincia e la città. E non è cosa da poco se consideriamo che per quanto riguarda il controllo della varie attività criminali e l’utilizzazione dei profitti del crimine, l’organizzazione messinese che ha dato luogo a questa configurazione (mafiosa) tendenzialmente unitaria non è subordinata a nessuno. Non è subordinata alla mafia barcellonese, né alla ndrangheta, né a quella catanese.”

Davanti al quadro che emerge dall’operazione Matassa e contrariamente a quanto ritiene la Procura di Messina c’è già chi tenta di sminuire i fatti contestati. Un tentativo di levare quella patina di mafiosità alla politica cittadina, un sottolineare che la corruzione elettorale fatta di buste di pasta e di regali da 50 euro non è mafia. Sono i difensori di Paolo David, Emilio Fragale e Nino Favazzo, che sottolineano come l’associazione a delinquere contestata a Paolo David non sia di stampo mafioso. Ma forse la cosa più sconcertante è la difesa dello stesso Paolo David: “stavo facendo politica”.

A prescindere dalle singole posizioni processuali è indubbio che la Procura parli “di uno stretto legame tra taluni apparati politici della città e le descritte consorterie mafiose. In effetti, è stata accertata l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata al voto di scambio”.

In questo quadro desolante che ne esce fuori, tra uno “stavo facendo politica” e “i voti dove li andiamo a cercare, sulla luna ?” come rispose Franco Rinaldi imputato nel processo corsi d’oro davanti alla richiesta di spiegazioni. Davanti, altresì, alla dichiarazione del Procuratore Lo Forte che il progetto d’indagine che ha portato a individuare la nuova mappa della mafia in città non è finito, la domanda oggi da porsi è come abbiano fatto gli altri rappresentanti politici della città, dal 2012 al 2013, a prendere i voti che li hanno fatti poi eleggere.  

Ci tiene a precisare la Procura della Repubblica di non essere riuscita a provare che l’attività di Paolo David di raccolta dei voti a favore di Genovese e Rinaldi si stata poi da questi effettivamente conosciuta e per questo non ha proceduto a nessuna imputazione nei loro confronti. Questo non toglie che politicamente un problema di clientelismo, sia pure di basso livello, nei confronti degli altri Consiglieri Comunali vicino a Genovese e che sono recentemente passati con lui in massa a F.I., si ponga.

La denuncia in questo senso è datata ed è stata lanciata già allora da Palano Quero e Alessandro Russo, i Renziani storici del PD cittadino, che già allora parlavano di tesseramenti farlocchi e di circoli di partito fantasma. Oggi si tratta di prenderne coscienza e chiedere a questi Consiglieri Comunali, vicini alla macchina elettorale di Genovese – mister 20 mila preferenze, di fare un passo indietro, si tratta di dire che il periodo dei patronati per raccogliere voti approfittando dello stato di bisogno della povera gente è finito ed è una prassi deprecabile, che avvalersi di cooperative e società vicine per garantire posti di lavoro mal pagati può configurare ipotesi di reato se poi consegue l’agognato appalto di lavoro che accontenta tutti.

L’indagine matassa della Procura di Messina dovrebbe far parte del manuale del provetto Consigliere Comunale per conoscere e sapere quali sono quelle pratiche, da anni esistite a Messina, che possono configurare il reato di corruzione elettorale. Ipotesi di reato che è prevista in una legge del 1957 per le votazioni nazionale e in una legge del 1985 per le votazioni amministrative.

@PG