Da quasi un anno il “modello Messina” è utilizzato dall’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO) insieme alla Commissione Europea, per gestire procedure di sbarco e ricollocazione dei migranti.
Un modus operandi sviluppato, applicato e testato proprio a Messina durante lo sbarco della Seawatch 3 a marzo 2019 e definito robusto, ma sul quale la Green Foundation solleva dubbi.
Cosa prevede il modello Messina?
Il modello prevede che la base giuridica dell’intervento di sbarco e ricollocazione dei migranti sia l’articolo 17 del regolamento di Dublino che stabilisce criteri e meccanismi per l’esame di una domanda di protezione internazionale. L’agenzia sostiene quindi le cosiddette “missioni di selezione” con colloqui di registrazione, preselezione e trasferimento presso gli Stati membri e talvolta svolge il processo di selezione per conto loro.
Scopo finale: accelerare il processo di ricollocazione negli Stati Membri garantendo il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, riducendo al contempo costi e risorse umane.
L’EASO a seguito della richiesta dell’Autorità di uno Stato Membro dispiega quindi una o più squadre (come nel 2019 a Messina) e fornisce un supporto che va dalla procedura d’informazione e trasferimento fino alla presa in carico e alla documentazione di viaggio. In mezzo fasi molto delicate come la mediazione culturale, la registrazione dei richiedenti nelle basi dati Eurodac o dello stato Membro ospitante (Vestanet in Italia), lo sviluppo e l’applicazione dei criteri di ricollocazione.
“Un meccanismo robusto ma flessibile” – come lo definisce l’Agenzia – quello sviluppato a partire dall’esperienza messinese che è stato successivamente applicato in numerosi sbarchi a Malta e in Italia e che prevede per il 2020 ulteriori sviluppi.
Il modello Messina – che punta a diventare una Procedura Operativa Standard (SOP) – avrebbe tra i suoi punti di forza la riduzione del rischio di detenzione illegale e negazione dell’accesso alla procedura di asilo.
E’ realmente così?
Secondo il booklet ” SISTEMA DI (IM) MOBILITÀ” di “The Green European Foundation (GEF) – fondazione politica sostenuta dal Parlamento europeo – accordi come quello su cui si basa il modello Messina non salvaguardano le persone dalle preferenze arbitrarie degli Stati membri riceventi non seguendo criteri oggettivi.
“In molti casi – si legge nel booklet – le fasi principali della procedura di asilo sono condotte dall’autorità di un paese, o dall’EASO per suo conto, sul territorio di un altro Stato prima che le persone siano trasferite. Ciò significa che le persone interessate potrebbero non essere in grado di accedere ai diritti e ai benefici cui hanno diritto per un periodo di tempo considerevole.”
Proprio in merito alla questione è la stessa EASO a specificare che la valutazione della necessità di protezione internazionale ha luogo dopo la ricollocazione nello Stato membro e che questo non fa quindi parte del processo in cui l’Ufficio è coinvolto.
Altro aspetto contestabile sarebbe – sempre secondo la Green European Foundation – quello inerente alle “preferenze” degli Stati di ricollocazione: “La Francia sembra selezionare per la ricollocazione solo le persone che si qualificano per la protezione internazionale secondo l’OFPRA (Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi) “.
Anche in questo caso è la stessa EASO a rilevare come ci sia stato un numero significativo di minori non accompagnati, la cui delocalizzazione ha presentato sfide significative legate a tempistiche diverse a causa della necessità di nominare tutori legali, della valutazione dell’età e del migliore interesse.
“E’ evidente che esiste una netta preferenza tra gli Stati membri impegnati a NON accettare i minori non accompagnati – scrive l’EASO – il che comporta la presenza di un gran numero di minori non accompagnati non ricollocati e quindi impegni degli Stati membri non rispettati.”