Nadia Terranova e i suoi anni al contrario

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Ha immaginato i diari di scrittrici adolescenti, riscritto le Mille e una Notte e raccontato lo sterminio degli ebrei a bambini e ragazzi attraverso il ricordo dello scrittore Bruno Schultz.  Adesso, con il suo primo romanzo “adulto” Gli anni al  contrario ( Einaudi, 2015), riempie le librerie di giovani e meno giovani parlando degli anni 70, anche se allora lei era appena nata.

E’ Nadia Terranova, messinese in trasferta a Roma, apprezzata scrittrice “per ragazzi” che ha saputo raccontare con mano sicura storie ambientate in periodi complessi tenendosi a distanza dalla facile retorica e dai luoghi comuni. L’ abbiamo incontrata a Messina, a margine di una delle tante partecipate presentazioni del romanzo.

Hai parlato della shoah raccontando la favola di un figlio e di un padre, adesso gli anni 70 attraverso la storia di un amore difficile di due persone e di una figlia per un padre anche qui “perduto” .La storia collettiva si può raccontare solo attraverso le singole vite?

Letterariamente mi sembra una buona strada. È lì che la narrativa trova terreno, nella quotidianità e nelle vicende sommesse o epocali intuite dietro le vite di ciascuno.

Perché gli anni 70  proprio a Messina? E’  solo un conto aperto con le tue radici o ti interessa anche narrare il mondo visto da una periferia?

Mi piace e mi interessa, sempre, guardare il mondo da uno spioncino, raccontare le persone comuni, la storia fatta da chi c’era ma non è sui libri di Storia, mi piaceva l’idea dell’eco della piazza in una provincia separata dal resto d’Italia da una striscia sottile di mare.

Gli anni 70. Chi li ha vissuti tende a rimuoverli. L opinione corrente li demonizza ( anni di piombo) . Per te cosa sono? Solo radici familiari? O un possibile riferimento come per molti della generazione di Genova 2001?

Torno spesso a quegli anni, ma non con rimpianto, ma con una nostalgia che vorrei creatrice. Questo libro è una domanda aperta su cosa, di allora, ci manca. Un’epica, credo, e la possibilità di sentirsi parte di qualcosa.

Giovanni e Aurora si misurano con una doppia sconfitta. Individuale e collettiva. Anche i partigiani di Calvino, quelli dei Sentieri, sono dei perdenti. Sono ladruncoli, fratelli di prostituta, gente dei bassifondi, ma la storia con la esse maiuscola sembra prendersi cura di loro. Sono quasi per caso dalla parte giusta. Quella che ha ragione perché sta cambiando il mondo. Alla generazione degli anni 70 non tocca nemmeno questo destino. Giovanni è un eroe picaresco solo agli occhi ingenui di Mara. Siamo tutti destinati a non poter avere speranze?

L’eroismo di Giovanni resta solo vagheggiato, gli si ritorce contro, lo prende in giro. Ma la generazione di Mara può trarre delle conclusioni che vanno oltre lo sberleffo, può essere eroica nel prendere coscienza di essere sopravvissuta, di non aver nulla di cui lamentarsi.

Quando ti chiedono dei tuoi riferimenti citi Sciascia e Consolo. Una letteratura “interventista” rispetto alla società, capace di delimitare un campo e presidiarlo. Oggi il solo Erri de Luca dichiara esplicitamente di voler “essere lo scrittore che ha mischiato le sue pagine ai nascenti sentimenti di giustizia che formano il carattere di un giovane cittadino” ( la parola contraria) tu ti senti in sua compagnia oppure la tua scrittura cerca altro?

Mi sento molto vicina all’idea di “istigazione letteraria” di De Luca. Mi piace moltissimo che la narrativa, ancora oggi, scardini vite e coscienze. Se lo fa con una precisa idea di pedagogia politica, ovviamente è noiosa. Deve essere tremendamente bella e inutile, spiazzante, solo così potrà essere sovversiva.

Tonino Cafeo

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