Nella giornata della donna io non lavoro perche’ sono donna.

La storia di un lavoro di poche ore settimanali negato, una discriminazione di genere ancora da provare e il presunto pudore violato di un anziano assistito da una parte. La “dotta” risposta del datore di lavoro, l’interessamento congiunto tra il Presidente del Consiglio Comunale Emilia Barile e la consigliera Nina lo Presti dall’altra parte, sono gli ingredienti di una vicenda triste e squallida.

Giovedì, stanca di attendere risposte che non arrivano, Daniela Monti, si reca a Palazzo Zanca, la sede del Comune di Messina, e si attacca con una catena per motorini al divanetto rosso posto accanto agli uffici del Sindaco di Messina Renato Accorinti. La trova in uno stato disperato e prostrato la Presidente del Consiglio Comunale Emilia Barile e per convincerla a liberarsi e per tranquillizzarla la invita il giorno dopo, Venerdì, presso i suoi uffici per tentare di risolvere il problema.

Venerdi mattina ritorna a Palazzo Zanca, convinta e sicura che in un modo o nell’altro la vicenda si concluderà. Con questa convinzione inizia a cercare Emilia Barile e trova la Consigliera Nina Lo Presti che è già a conoscenza della vicenda. Sia dall’una che dall’altra riceve solidarietà ma non basta e le lacrime tra in un discorso e l’altro continuano a spuntare copiose. Neanche dal Sindaco di Messina Renato Accorinti è riuscita a farsi ascoltare e mentre lo insegue per le scale per parlargli si è sentita spostare di lato da una solerte funzionaria.

Esasperata, l’involontaria vittima della discriminazione non ancora provata, come tanti prima di lei si era recata a Palazzo Zanca per avere quelle risposte che la politica gli avrebbe dovuto dare da tempo. Una risposta che in massima parte dipende proprio dal Comune di Messina e che riguarda l’aggiudicazione del servizio di assistenza domiciliare alle famiglie PH recentemente aggiudicato alla Coop Orsa Maggiore di Aci Catena.

E’ la stessa Cooperativa che nel rispondere alle critiche che gli sono piovute addosso racconta i fatti e spiega che nel passaggio dei lavoratori dalla precedente cooperativa a cui era affidato il servizio ad essa, si è trovata a fornire il servizio con 64 unità, di cui 46 donne e 18 uomini, e considerato che gli assistiti sono per la maggior parte uomini allettati, “che qualche famiglia ha fatto presente di continuare a gradire la figura di operatori di sesso maschile per una questione di forza fisica dell’operatore dedicato, anche in relazione al sesso del congiunto disabile”, si è trovata a preferire due uomini seppur posti in graduatoria dopo la lavoratrice donna. L’una al 65° posto e uno degli uomini al 67° posto della graduatoria.   

Per il resto, continua la cooperativa, “la questione del riserbo e del pudore, con la quale avevamo comunicato alla lavoratrice di non poterla più assumere, rientra nel rispetto dell’etica professionale che adotta questa cooperativa e nella garanzia di un’assistenza personalizzata e degna dei livelli di qualità per la quale la pubblica amministrazione investe importanti voci di spesa”.

Dopo questa qualificata risposta degli inizi d’anno, una cappa di silenzio è scesa sull’intera vicenda. Un sudario di buone giustificazioni e meritori scopi di riserbo e pudore per l’assistito maschio che hanno tacitato le organizzazioni sindacali coinvolte, la Consigliera provinciale di parità Mariella Crisafulli, l’Assessore ai servizi sociali Nino Mantineo e il Dirigente al ramo. Tutti a vario titolo coinvolti nella vicenda e tutti ignari che esiste da anni ormai il Codice delle Pari Opportunità e che le discriminazioni di genere per accedere al posto di lavoro sono vietate sin dal 2006.

Tutti ignari che se fosse accettabile la giustificazione della cooperativa dovremmo licenziare la maggior parte delle infermiere che quotidianamente levano padelle e puliscono indifferentemente le parti bassi di uomini e donne negli ospedali. E se anche ci fosse stata qualche famiglia che avesse richiesto preferibilmente un uomo per accudire il proprio parente questo non avrebbe potuto giustificare in ogni caso la violazione del diritto della Sig.ra Monti ad essere assunta. Primo perché il titolare del diritto è l’assistito e non la sua famiglia e poi perché difficilmente chi ha bisogno d’assistenza si pone il problema di chi è che l’assiste. La sua esigenza primaria e fondamentale è quella di essere aiutato nel momento del bisogno e non certo di chi è che l’aiuta.

Ma sull’intera vicenda un ben più grave e rumoroso silenzio è stato proprio quello dell’Assessore alle Pari Opportunità Patrizia Panarello, chi meglio di lei avrebbe potuto pretendere l’applicazione dei principi di non discriminazione, soprattutto in considerazione che il suo assessorato è proprio deputato alla risoluzione di questi casi e ancor più se l’appalto dei servizi in parola è stato bandito proprio dal Comune di Messina ove svolge la sua attività d’Assessore.

Ma forse le motivazioni che hanno portato a questa palese violazione della legge sulle pari opportunità sono altre e dovute a non chiare pressioni a cui la cooperativa si vocifera sia stata sottoposta per far scorre la graduatoria e, sempre a detta della fonte che preferisce mantenere l’anonimato, al ribasso d’asta che invece di far parte dell’economie di bilancio e rientrare nelle casse del Comune di Messina potrebbe essere assegnato alla stessa cooperativa aggiudicataria del servizio per, così dire, aumentare i servizi e il monte ore a favore degli assistiti.

In ogni caso, sembra che l’intervento della Presidente del Consiglio Comunale Emila Barile, coadiuvata dalla Consigliera Nina Lo Presti, qualche sasso siano riusciti a smuoverlo. Almeno di questo è convinta la Sig.ra Monti che sentita telefonicamente ha confermato che per Martedì prossimo vi sono buone speranze di vedere risolto il caso.

Pietro Giunta