Nella zona nord di Messina un intero rione porta da secoli il nome di un santo ormai totalmente dimenticato, questo luogo è la vallata di San Licandro. Il popolo messinese ha conservato questo antico toponimo con una leggera storpiatura infatti il personaggio in questione si chiamava Nicandro. Questo poco conosciuto santo insieme a dei suoi seguaci, Gregorio, Pietro, Demetrio ed Elisabetta, scelse nel lontano 788 d. C. come propria dimora Messina. Secondo la tradizione proveniva dall’Italia centrale e divenuto anacoreta insieme ai suoi compagni seguì le orme dei Santi orientali Pacomio e Basilio e dopo lungo girovagare si stabilì in Sicilia, precisamente in riva allo Stretto. Questi uomini di fede con a capo Nicandro elevarono come sede della loro semplice vita contemplativa e romitoria alcune grotte poste in questa valle a nord della Città. In quel tempo luoghi molto solitari tanto da passare quasi inosservati agli arabi che in quegli anni incominciarono ad occupare l’intera Sicilia. Trascorsero i propri anni in preghiera e continua penitenza e pian piano alla loro morte furono sepolti in alcune tombe scavate dalle loro stesse mani. Secondo la tradizione, riportata da Carlo Gregorio nel suo volume “I Santi Siciliani” edito da Intilla Editore nel 1999, qualche anno dopo la loro morte un semplice pastore scoprì i loro corpi ed avvisò il vescovo del tempo il quale a sua volta avvisò il padre di Nicandro. Successivamente in quello steso sito fu edificata una Chiesa custodita da altri anacoreti che in seguito intitolarono proprio a San Nicandro il proprio cenobio. In epoca normanna nel 1130 re Ruggero lo dichiarava monastero autodespota ma già l’anno successivo passava alle dipendenze dell’Archimandrita del SS. Salvatore. Nel 1133 diveniva Grangia e nel 1176 la comunità fu guidata dall’egumeno Caritone. Nel 1328 vi abitavano solo tre monaci e nel 1479 il complesso religioso veniva ristrutturato ed ampliato. Nel XVI secolo il piccolo monastero passò al novello Ordine dei Basiliniani e nel 1535 l’abate del tempo Ilarione Camarda commissionò ad un pittore del tempo un dipinto raffigurante i cinque santi. Nonostante la costante frequentazione di questi luoghi la memoria di questi santi eremiti andò via via scemando fino a quando nel
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di Marco Grassi