Venerdì scorso ho partecipato alla presentazione del libro “Due anni a Brancaccio con Padre Puglisi“, uno dei relatori, la dirigente scolastica di Termini Imerese, Nella Viglianti, raccontò una sua esperienza nella quale rimase sconvolta e che la segnò per tutta la vita. Lei era giudice popolare nel processo per l’omicidio di Padre Puglisi, e in una udienza il killer del prete confessò l’omicidio e raccontò le modalità. Lei rimase sconvolta e il presidente della Corte di Assise dell’epoca vedendola in quello stato le fece coraggio dicendole noi siamo diversi.
Ma almeno qualcuno si accorse del suo stato d’animo.
Bene, io questa angoscia l’ho provata, né mai la
dimenticherò il 14 gennaio 1993 – ore 16,45 fino alle 20,15, quasi 4 ore di
angoscia e sofferenza che non riesco a descrivere.
In quella data in gran segreto sono stato chiamato a verbalizzare l’interrogatorio di un “signore”, tale baldassare di maggio, ma prima di entrare nella stanza, il carabiniere che l’aveva in custodia mi disse “chistu è chiddu ca ti misi a bumma” (questo è quello che ti ha messo la bomba). In quel preciso momento mi sono sentito morire per la seconda volta, da lì a poco avrei avuto di fronte uno dei presunti assassini che avevano massacrato il Consigliere Chinnici, Bartolotta, Trapassi e Li Sacchi.
Il bastardo che aveva cambiato per sempre la mia vita.
Il cuore me lo sentivo battere in testa, ma in quel momento ero un soldato e dovevo fare finta di niente. Entrai e vidi un essere, non una persona, un essere che ho odiato con tutto me stesso, non nascondo che pensavo anche di sbattergli in testa il portatile, ero tentato anche di dirgli fammi vedere che cosa sai fare.
Tremavo come una foglia per il disagio e il disgusto che provavo quando raccontava come uccideva le persone e come si puliva gli indumenti dopo che le cervella di questi ultimi gli schizzavano addosso. Nemmeno so come sono riuscito a portare a termine il mio compito.
Finalmente dopo 4 ore la tortura finì. Nessuno si accorse del mio disagio e della mia sofferenza. Nessuno mi fece coraggio, invece per lui c’erano parole quasi dolci quando si irrigidiva. Al giudice popolare qualcuno le ha fatto coraggio a me nessuno. Comunque questo essere, nonostante giovanni brusca lo abbia chiamato in correità, è stato assolto. E all’indomani fu arrestato totò riina.
Noi siamo diversi, io sono Stato.