Ciao Ilaria, questa era la lapide in tua memoria sul lungomare del Ringo, il luogo dove la morte ti è venuta incontro quella notte tra il nove e il dieci agosto.
Ci hanno detto che ignoti l’hanno profanata frantumandola, mandando in pezzi il simbolo materiale del tuo ricordo.
Non li abbiamo visti all’azione, forse è stata una bravata, forse un gesto voluto. Ma non è stata opera di ignoti, no. Chi compie un’azione del genere ha per forza un’identità.
Questi uomini o donne, ragazzi o ragazze un volto ce l’hanno. Un volto impudico e sacrilego, volgare e ignavo che appartiene a chi pratica il cinico affronto alla morte.
Cara Ilaria, forse non sapremo mai chi è stato, ma noi tutti saremo chiamati a interrogarci di nuovo, ad uscire dalle paludi edulcorate dei giorni di festa e riprendere a cercare il senso di una morte la tua, e il senso della morte della coscienza, la loro.
Non c’è più un modo per ferirti. Per chi crede tu sei altrove, per chi non crede tu non sei semplicemente più.
Ma noi restiamo. Alcuni con gli stessi interrogativi che avevamo dopo la tua morte, anzi forse con qualcuno in più. Altri senza un interrogativo, perché quell’urlo di cui cantavi non lo vogliono sentire neanche ora che tu non ci sei.
Ma sai, ancora alcuni per fortuna sogniamo. E forse questo gesto insensato ci porterà finalmente all’azione.
E gli stessi alla fine possiamo anche pensare che da quello squarcio alla tua lapide, tu vedi meglio il mare.