Era una ragazzina di tredici anni quando vide morire suo padre davanti ai suoi occhi, tornando a casa dopo aver visto giocare allo stadio “Celeste” la sua squadra dei cuore, il Messina. Donatella Aloisi era insieme a suo padre Ignazio in una serena giornata domenicale quando questi fu raggiunto da tre colpi di pistola, un omicidio di mafia a tutti gli effetti che ancora oggi, dopo 19 anni, non è stato classificato come tale.
Era il 27 gennaio 1991 quando accadde tutto questo e la signora Donatella chiede ancora giustizia per il proprio caro. Quest’uomo, cittadino messinese e di professione guardia giurata, stava prestando regolarmente servizio, 12 anni prima, come scorta ad un furgone portavalori che subì una rapina presso i caselli dell’autostrada Messina/Palermo. Aloisi fu anche disarmato e la rapina fu portata a compimento. Riconosciuto uno dei banditi che era un importante boss mafioso del territorio provinciale, l’agente di sicurezza lo spedì in carcere grazie alla sua testimonianza.
“Mio padre – racconta la figlia Donatella – riconobbe uno dei rapinatori, un attuale collaboratore di giustizia e per anni appartenente ad uno dei principali clan mafiosi della mia città. Per la testimonianza resa da mio padre, questo signore fu condannato ed arrestato ma, già durante il riconoscimento in presenza del magistrato, minacciò mio padre di morte”.
Questa collaborazione con la giustizia gli costò la vita perché, malgrado i biechi avvertimenti ricevuti durante gli anni del procedimento penale, portò avanti la sua versione per far trionfare la verità. Ma la verità è che, dal 3 settembre 1979, Aloisi visse una vita infernale fatta di intimidazioni e di paure fino ad essere prima ammazzato e poi diffamato. Sì, è vero: era riuscito a far condannare quel criminale che aveva visto in azione ma solo per pochi anni, appena 8 di reclusione … perché poi lo stesso boss si vendicò sulla guardia giurata. Una vendetta che si realizzò freddamente in una stradina vicino la propria abitazione e che ancora si protrae infangando la sua memoria secondo un piano prestabilito: fu infatti accusato di aver partecipato alla rapina soltanto dopo la sua morte quando cioè non avrebbe più potuto dimostrare nulla, neppure il contrario.
Ormai, la storia di Ignazio Aloisi può essere catalogata tra le storie tristi d’Italia…. e in particolare tra le storie tristi di Messina. Tristi non solo per l’omicidio ma anche per una burocrazia la cui lentezza non può essere annoverata tra il normale espletamento delle pratiche … e sì, perché per la prefettura di Messina evidentemente Ignazio Aloisi è solo una pratica. A sostenerlo è l’Associazione Antimafie “Rita Atria” che si batte anche per i familiari della vittime.
Donatella Aloisi dopo aver saputo che la procura di Messina aveva mandato, da ben un mese, la lettera alla Prefettura in cui relazionava sull’omicidio Aloisi ha sentito il bisogno di chiamare per sapere se il tutto era stato spedito a Roma… ebbene si è sentita rispondere che stavano elaborando la risposta… Cosa significa? Ci vuole un mese per elaborare una risposta?
“Una brutta storia – conclude l’Associazione – che denunceremo facendo nomi, cognomi e ruoli a tempo debito”. Intanto, la burocrazia messinese ha consentito che la pratica di Aloisi fosse parcheggiata su una scrivania come una qualunque scartoffia di poco conto.
“Ma perché emergono questi capi di accusa dopo la sua morte e non sono emersi negli 11 anni delle testimonianze di mio padre?” A chiederselo è sempre Donatella. “Che tipo di accertamenti ha disposto di fare il giudice che si è occupato del caso? Se mio padre fosse stato coinvolto nella rapina, avrebbero dovuto esaminare quantomeno il conto in banca …”
In questa storia, resta la vittoria di aver puntato il dito su un pericoloso boss di Cosa Nostra e di avergli fatto scontare solo una parte della pena che realmente meritava durante la vita di Aloisi. Ma dopo il suo delitto, ci sono stati ben tre collaboratori di giustizia che hanno individuato il mandante in pasquale castorina, malvivente dell’ormai noto colpo del ’79 e rivelano di aver mentito sulla versione diffamante nei confronti della guardia giurata.
Il rapinatore aveva solo da guadagnarci nello scaricare le responsabilità su Aloisi accusandolo e facendolo accusare da altri di complicità di reato: ottenne ben 4 anni di sconto pena per quelle dichiarazioni infamanti.
Ricordiamo che la Prefettura di Messina ha dato parere favorevole il 27 novembre del 2008 al Ministero degli Interni per il riconoscimento di Ignazio Aloisi quale vittima di mafia. Il Ministero degli Interni “Antimafia – Vittime della mafia” temporeggia sul riconoscimento di Vittima di mafia di Ignazio Aloisi. Il Ministero, lo scorso 11 gennaio dopo continui rinvii e “vi chiamiamo in settimana” fa sapere di non avere ricevuto il fascicolo dalla Procura di Messina in cui si dice che Aloisi è Vittima.
L’Associazione “Rita Atria” si dichiara pronta a partire per Roma insieme alla famiglia Aloisi per consegnare personalmente il prezioso fascicolo che impedisce ai burocrati di stato di riconsegnare giustizia.
In questo fascicolo, è detto a chiare lettere che Pasquale Castorina ha mentito ma che non si può agire per prescrizione. Non lo dice la sentenza perché non lo può dire, ma lo dicono le carte del fascicolo del rinvio a giudizio. Lo dicono i collaboratori di giustizia. Quindi, evidentemente, la memoria di Ignazio Aloisi è prescritta e infangata per burocrazia. Se sarà necessario renderemo pubblici tutti gli atti dell’istruttoria. Possiamo testimoniare di aver raccolto le dichiarazioni (regolarmente verbalizzate agli organi competenti) di collaboratori di giustizia “capi” di Castorina in cui dicono espressamente che stava mentendo.
Aloisi è stato infangato senza uno straccio di prova ma con labili, quanto assurde e infondate, deduzioni giudiziarie.