Giuseppe De Francesco, ucciso a Messina in zona Camaro, non era un boss e non aveva regole comportamentali, seppur deviate, che fosse in grado di capire e seguire. Il presunto autore dell’omicidio, Adelfio Perticare già ascoltato in carcere nell’interrogatorio di garanzia dal Gip. Maria Teresa Arena, non sembra volesse uccidere tanto che l’imputazione di cui deve rispondere è l’omicidio preterintenzionale. In altri termini Giuseppe non aveva il calibro di un brusca o di un provenzano, anche se è stato trattato come tale e l’omicidio che l’ha visto protagonista nella parte della vittima nasce molto probabilmente nell’ambito di quelli che nell’ambiente si chiamano “avvertimenti” per atteggiamenti violenti o aggressioni compiute in più occasioni. Atteggiamenti violenti ed aggressioni che non comprendeva e capiva pur essendone autore.
A stabilirlo è stato un collegio di tre periti psichiatrici chiamati a decidere se Giuseppe De Francesco, morto ammazzato a Camaro il 9 aprile scorso, era o meno capace d’intendere e volere quando aveva effettuato una rapina a mano armata di un coltello, con lesioni personali, accoltellamento della vittima e tentato omicidio. I periti l’hanno messo nero su bianco che l’assassinato era affetto da “Disturbo di personalità antisociale con alterazioni della dimensione impulsiva-aggressiva in soggetto con ritardo mentale di grado moderato” e la Corte d’Appello di Messina sez. minorile ha recepito la perizia tanto da dichiararlo incapace d’intendere e volere e per questo applicandogli la misura di tre anni di libertà vigilata e la presa in carico globale dei servizi di psichiatria (di Messina Nord) che avrebbero dovuto predisporre un idoneo programma terapeutico individualizzato.
La sentenza con l’affidamento ai servizi psichiatrici seppure emessa a gennaio del 2016 è diventata esecutiva solo il 20 Marzo 2016, però al momento dell’omicidio, il 9 aprile, ancora non era stata notificata alle parti e questo significa che se fosse stata applicata con il ricovero del De Francesco in una REMS, casa di cura dove all’esecuzione della misura di sicurezza segue l’attivazione di percorsi terapeutico riabilitavi, l’omicidio si sarebbe potuto evitare e un ragazzo di vent’anni non sarebbe morto ammazzato.
Di questo è convinto l’avvocato difensore Salvatore Silvestro che pur non conoscendo ancora le motivazioni del provvedimento della corte d’Appello conosceva bene il De Francesco: “aveva un mare di processi e di precedenti penali. Era sottoposto, per un precedente processo, alla libertà vigilata con l’obbligo di frequentare i servizi psichiatrici di Messina nord, ci dichiara l’avvocato. Sono tanti i motivi che l’hanno portato alla morte, se fossero intervenuti (i servizi psichiatrici) e non solo loro, soprattutto se lo avessero tolto da quel contesto deviante in cui si trovava con l’inserimento in una casa di cura (Rems), poteva tranquillamente essere salvato”.
Opposta la tesi della magistratura minorile di primo grado, per cui il De Francesco preordinava il tentativo di farsi passare per incapace di intendere e volere “da sempre”, in modo da evitare il riformatorio. E’ questo il motivo per cui il Tribunale dei minori di Messina non credendo alla patologia mentale lo aveva condannato a 5 anni di reclusione oltre 1.500,00 euro di multa e considerando che sarebbe diventato presto maggiorenne stabiliva che un anno fosse di riformatorio. Come abbiamo visto la Corte d’Appello sez. minorile ha ribaltato la sentenza di primo grado e tramite un perizia collegiale di tre dottori confermava che il ventenne morto a Camaro era stato riconosciuto disturbato mentalmente sin dal 2010.
Sulla stessa lunghezza d’onda della magistratura minorile si trovano i Carabinieri a cui sono state affidate le indagini dell’omicidio e che conoscono bene il De Francesco per i numerosi precedenti che l’hanno visto protagonista di fatti odiosi e violenti nei confronti delle persone e delle cose. “Spesso e volentieri delinqueva sotto l’effetto di cocaina”, confida una fonte autorevole. In questo modo attribuendo all’uso di stupefacenti l’alterazione mentale che l’ha visto protagonista di scoppi incontrollati di ira, aggressioni, rapine e lesioni
“Ha fatto piangere tante persone, continua la fonte, dispiace dirlo trattandosi di un ragazzo di vent’anni che si è reso autore non solo di rapine ma anche di aggressioni commesse quando non era pienamente in se…ma non per motivi psichiatrici, faceva abbondantemente uso di cocaina. Detto questo il suo atteggiamento era quello di volersi affermare come quello che comanda, forte del fatto che tutti sapevano chi era il suo patrigno (Giovanni Tortorella elemento di spicco della criminalità organizzata della zona sud di Messina e da poco costituitosi in carcere per altro procedimento) ha tagliato con il coltello un sacco di gente e parlo anche di ragazzi di buona famiglia”.
Su questo versante gli inquirenti hanno ipotizzato che l’omicidio dipendesse da una guerra tra clan per il territorio e che la morte del ragazzo fosse dovuta alla perdita di protezione che gli veniva riconosciuta quando ancora il Tortorella era a piede libero. Proprio per questo il questore di Messina, Giuseppe Cucchiara, aveva emesso un provvedimento con il quale si vietavano i funerali in forma pubblica per “precedenti giudiziari della vittima e le modalità che hanno caratterizzato l’omicidio”.
“Tra l’altro, continua la nostra fonte, su dieci aggressioni non denunciate che si sono verificate nei locali notturni di Messina, dove circola molta droga, di nove probabilmente potrebbe essere il responsabile. Dispiace umanamente perché si tratta di un ragazzo di vent’anni ma non mi meraviglia quello che è successo. Anzi è successo prima di quello che mi aspettavo, ma sapete quante famiglie, secondo me, saranno sollevate da quello che è successo? E’ brutto da dire ma ha fatto piangere un sacco di gente ed il motivo per cui è successo (l’omicidio) è molto attinente agli atteggiamenti che ha avuto… ha sparato gente in faccia, ha accoltellato le persone, ha sparato alle gambe…è ovvio che parliamo sempre di un ragazzo di 20 anni però, secondo me, il suo recupero era praticamente impossibile”.
“Mentre il patrigno, conclude la fonte, aveva certe regole deviate di comportamento, ma pur sempre regole, cioè aveva un codice, il De Francesco non conosceva il significato delle regole. Non volevano ucciderlo, lo si capisce dalla dinamica, ma è chiaro che se si spara si deve mettere in conto che si può causare la morte di qualcuno”. Le parole della nostra fonte hanno trovato poi riscontro nell’imputazione di omicidio preterintenzionale che ha colpito il presunto autore dell’omicidio Adelfio Perticare.
In questa vicenda di rapine, lesioni, sangue, morte e proiettili ad espansione un’altra circostanza ha colpito l’immaginario collettivo. E’ stata la presenza di un nucleo di ragazzini sui motorini che indossavano l’effige del morto ammazzato e che in occasione della messa tenutasi a Camaro da padre Nino Caminiti hanno voluto rendere onore al morto o forse molto più probabilmente hanno recapitato il “messaggio” che i reggenti della zona, attraverso i ragazzini, hanno voluto mandare al patrigno che seppure in carcere ancora porta un cognome pesante nella zona.
Messina non è Roma e De Francesco Giuseppe non era un boss a cui rendere omaggi ed onori. A ricordarlo è stato Padre Nino Caminiti. “Ma quale funerale senza bara, era una messa di suffragio dopo otto giorni dalla morte. Me l’hanno chiesta i parenti come di solito si fa per i morti e non mi posso neanche lamentare perché in effetti la gente in chiesa è rimasta composta e silenziosamente poi è uscita. Poi fuori cumminaru chiddu che cumminaro. Voglio ancora dire che le Autorità erano a conoscenza che si sarebbe tenuta la messa di suffragio”.
Non sappiamo quanto la patologia abbia influito sulla pur breve vita del De Francesco, come non sappiamo se l’uso di stupefacenti abbia influenzato o aggravato l’attitudine a delinquere. Una cosa è certa, l’ambiente ha influito in modo preponderante, basti pensare che se quei ragazzi del motorino che hanno invaso le vie di Camaro con l’effige del morto sono riusciti i idealizzare e prendere a modello una persona come il De Francesco qualche dubbio di non aver bene operato su quel territorio di frontiera se lo dovrebbe porre l’intera città di Messina e non solo Camaro.
A conclusione riportiamo la definizione penale dell’incapacità d’intendere e volere proprio per eleminare l’equivoco in cui durante questa inchiesta è incorsa molta gente e addirittura un magistrato del Tribunale dei minori sez. penale di Messina, per il quale l’attitudine del De Francesco a saper usare i “ferri” del mestiere (coltelli, pistole, piede di porco ecc.) escluderebbe in radice la possibilità della malattia di mente.
A fronte di un orientamento restrittivo volto a considerare rilevanti solo le malattie mentali stricto sensu intese e cioè le gravi psicosi acute e croniche accertate clinicamente, si è sviluppato un orientamento che ritiene che il concetto di infermità recepito dal codice penale sia più ampio di quello di malattia e che quindi vi possono essere soggetti incapaci di intendere e volere, seppure non malati in senso stretto.
Vengono in rilievo in questo senso i disturbi della personalità e comunque stati psicopatologici e nevrotici che, in quanto anomalie psichiche non permettono al soggetto di intendere e di volere.
@PG @DS