Messina, 19 gennaio 2017. I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Messina, nel territorio di Messina e Catania, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Messina su richiesta della competente Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, nei confronti di 19 soggetti (13 dei quali ristretti in carcere, 4 sottoposti agli arresti domiciliari e 2 all’obbligo di presentazione alla p.g.), ritenuti responsabili – a vario titolo – di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi da fuoco e altri reati.
Il provvedimento restrittivo è esito di una complessa inchiesta denominata “DOPPIA SPONDA”, sviluppata sin dal marzo del 2013 dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina. I risultati dell’indagine hanno permesso di comprovare l’operatività di due gruppi criminali attivi nel territorio e riconducibili a Marco d’Angelo e Maurizio Calabrò, quest’ultimo in grado di impartire anche dal carcere le disposizioni per la gestione delle attività di narcotraffico, facilitate dagli stretti rapporti con esponenti di vertice di alcuni circoli mafiosi catanesi.
In particolare, l’attività investigativa ha consentito di delineare gli assetti interni dei gruppi indagati e le responsabilità dei singoli in merito all’approvvigionamento e alla commercializzazione di ingenti partite di cocaina e marijuana, destinate al mercato messinese.
Una storia che comincia nel 2013, per svilupparsi in una fitta trama di intrecci e rapporti fatta di accordi e tradimenti. Le indagini partono dall’arresto in flagranza di reato di uno spacciatore messinese l’8 marzo 2013, quando i Carabinieri del Nucleo Radiomobile lo trovano in possesso di 1,2 kg di marijuana suddivisa in 12 involucri. Quantità dalla quale, come accertato dalle successive analisi del R.I.S., si sarebbero potute ricavare oltre 5500 dosi, confermando come intorno al traffico ruotasse un circuito importante di spaccio e non certo un singolo individuo. E’ stato così possibile individuare un’organizzazione criminale che ruotava intorno alle figure di Maurizio Calabrò e Giuseppe Valenti. Il gruppo si occupava principalmente dello smercio di marijuana e cocaina provenienti dalle province di Reggio Calabria e Catania, oltre che di reati contro il patrimonio e in materia di armi.
Come capo originario viene individuato Calabrò (chiamato “Militto”, soprannome ereditato dal padre Carmelo, nel periodo in cui questi militava tra le file della criminalità messinese tra gli anni 70 e 90). E’ lui a dare ordini, a indicare ruoli e attività, nonché a curare il reperimento della merce attraverso contatti personali con elementi calabresi rimasti ignoti e il catanese Sebastiano Sardo. Al suo arresto, il 6 luglio 2013, giorno in cui viene trovato in possesso di 4, 8 Kg di marijuana, le redini del comando passano subito a Valenti che, come il predecessore, si sarebbe poi occupato di organizzare il trasporto della droga dai luoghi di acquisto (soprattutto Gioia Tauro e Catania) alla piazza messinese. Sul finire dell’estate 2013 si comincia però a delineare una nuova struttura delinquenziale capeggiata da Marco d’Angelo, desideroso di chiudere la collaborazione con Valenti e di prendere il controllo del mercato messinese, forte dell’essere il futuro genero di Giuseppe Trischitta, uno degli storici reggenti del clan di Mangialupi.
Rispetto alla prima associazione, quella di d’Angelo muterà il metodo di spaccio, affidandosi per la commercializzazione ad un ristretto numero di complici, e a precise meccaniche che regolamenteranno in modo quasi canonico l’attività di spaccio. Il luogo degli incontri con i pusher è sempre la sua abitazione, in orario notturno, adottando e facendo adottare ogni cautela per eludere i possibili controlli delle forze dell’ordine; il venerdì è il giorno scelto per la riscossione degli introiti. Un’altra abitudine di d’Angelo consiste nell’ annotare in un registro le somme che i singoli associati gli devono per le partite di droga di volta in volta consegnate loro. Dal “libro mastro”, sequestrato dagli investigatori, sono emerse transazioni di importi rilevantissimi. Tra tutte, spicca la somma di 23.800 euro, equivalente in denaro di due partite consegnate a due acquirenti. Per ciò che riguarda le comunicazioni, vengono sfruttate espressioni ‘in codice’ per indicare lo stupefacente, menzionato come “rose rosse” o “prezzemolo”.
Come in ogni storia di droga e soldi, anche il sesso e il tradimento prendono parte al tutto, il 23 agosto 2013, quando Letterio Russo, altro membro del gruppo, dà fuoco all’auto della fidanzata, di cui aveva scoperto la relazione parallela con il socio Samuele Zocco.
Ai reati di spaccio e danni contro il patrimonio, va ad aggiungersi quello di detenzione illegale di armi da fuoco. Durante le indagini infatti, precisamente il 26 novembre 2013, i Carabinieri sequestrano un fucile cal. 12, occultato in un bar di Via La Farina, Messina, con il quale alcuni degli indagati avevano intenzione di commettere reati contro il patrimonio.
Al lungo elenco di arresti eseguiti nel corso dell’operazione, va ad aggiungersi il nome di Giuseppe Micali, per detenzione di droga ai fini di spaccio.
11 dei soggetti (CALABRO’ MAURIZIO, D’ANGELO MARCO, DI MENTO SALVATORE, IANNELLI FILIPPO, MICELI GIANLUCA, NERONI DOMENICO GIOVANNI, PANDOLFINO ANTONINO, PANTO’ PAOLO, RAFFA LADDEA MASSIMO, SARDO SEBASTIANO e VALENTI GIUSEPPE) sono stati condotti in carcere, 4 (BARBUSCIA ANTONIO, CALABRO’ SANTINO, CRUPI FRANCESCO e VALENTE ROCCO) agli arresti domiciliari, 2 (LANFRANCHI ROCCO e MICALI SALVATORE) agli obblighi di presentazione alla P.G.
GS Trischitta