Pochi fondi per il cosiddetto “orecchio bionico” e le associazioni di malati di otto paesi europei inviano un appello all’Unione europea perché si curi maggiormente dei centri di eccellenza. Una emergenza che tocca anche il Centro impianti cocleari del Policlinico Umberto I di Roma, capace di restituire la possibilità di sentire ad almeno 40 persone l’anno, la gran parte piccoli bambini. Il Centro, che esegue una parte dei 700 interventi l’anno effettuati in tutta Italia, rischia infatti di interrompere la propria attività proprio per mancanza di fondi. L’allarme è stato lanciato nel corso del convegno internazionale su “L’impianto cocleare in Europa: associazioni di utenti e centri clinici a confronto”, in corso al Centro congressi della facoltà di Sociologia: al centro il problema della sordità profonda e la necessità di disporre di adeguate risorse per la cura di questo grave disturbo. Fra i partecipanti, rappresentanti delle associazioni di otto paesi: Italia, Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Turchia, Paesi Bassi e Polonia.
“Abbiamo riunito i maggiori centri europei e le associazioni di pazienti – spiega Roberto Filipo, ordinario di Otorinolaringoiatria all’Umberto I – proprio per fare una petizione all’Unione europea con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione e l’Ue e ottenere che le persone affette da sordità profonda vengano riconosciute come disabili”. “Il nostro Centro – continua – è composto da otorinolaringoiatri, audiologi e psicologi e opera da circa 20 anni con ottimi risultati clinici e con una notevole produzione scientifica internazionale, ma ora rischia di ridurre o addirittura interrompere l’attività in quanto il budget viene garantito dalla struttura ospedaliera e non coperto direttamente dalla regione, come avviene in quasi tutta l’Italia”. Per Filipo il problema della mancanza di udito è stato finora “trattato in maniera superficiale e piena di pregiudizi”, nonostante la tecnica comunemente detta dell’orecchio bionico abbia permesso di “raggiungere incredibili risultati nei soggetti, soprattutto bambini anche di appena un anno di età, affetti da sordità profonda: in Italia si stima che siano circa 2 bambini e 4 adulti ogni mille persone”. L’impianti cocleare è una protesi costituita da una parte interna applicata con intervento chirurgico e una esterna simile a una normale protesi acustica: l’impianto stimola elettronicamente il nervo acustico svolgendo artificialmente il compito della coclea e quindi permettendo di sentire anche a chi è colpito da sordità profonda (cocleare) che fino al recente avvento di questa tecnologia era destinato a vivere nel silenzio. L’Umberto I è la terza struttura per numero di impianti l’anno in Italia, dopo i centri di Varese e Padova, esegue annualmente circa 40 interventi, che a Roma diventano 60 sommando quelli effettuati al Policlinico Gemelli e al Bambin Gesù.
Ma l’impianto della protesi non è sufficiente, perché chi è affetto da sordità prelinguale ha bisogno di una lunga riabilitazione per apprendere l’arte del parlare e del sentire. “Purtroppo – insiste l’esperto – in generale i fondi sono pochi: all’Umberto I un’unica logopedista esegue le valutazioni preliminari, ma non è in grado di riabilitare da sola tutti i 300 bambini. Si pensi che nei centri del Nord Italia di uguali dimensioni di terapisti dedicati a questa mansione ce ne sono sette”. Per il primario dell’Umberto I il problema è che “non si identificano i centri da parte della regione e non è mai stato individuato un budget ad hoc per la sordità profonda, mentre in tutti gli altri paesi europei, fra cui la Romania, è lo Stato che si fa carico di eseguire gli interventi, considerando il trattamento di questa patologia come livello essenziale di assistenza. In Italia, invece, – conclude – non ci sono fondi destinati dal ministero della Salute o dalla Regione Lazio a questo tipo particolare di interventi e tutto finisce per pesare unicamente sulle spalle del singolo ospedale. E in questo contesto i tagli all’assistenza che stiamo vedendo nel Lazio completano il quadro negativo