Riflettere sulla professione giornalistica su nuove basi. Interrogarsi sulla necessità di aprire una finestra su un mondo, in cui non è tutto oro quello che luccica. Questo è stato l’obiettivo del convegno che si è tenuto ieri a Milazzo, alla Paladiana. Il titolo è altisonante: “2012, la stampa oggi, ai cittadini NON far sapere” Il momento di incontro è stato promosso dal Prc e ha visto la partecipazione di Riccardo Orioles giornalista de Il fatto Quotidiano, Antonio Mazzeo, giornalista e scrittore e Manuela Modica, giornalista de Repubblica come moderatrice. Prima dei vari interventi, ci è parso doveroso porre qualche domanda a Riccardo Orioles, sul nuovo progetto de I Siciliani giovani, e sulle condizioni della professione giornalistica, tra mito e realtà.
Qual è la situazione dell’informazione in Sicilia?
Non c’è informazione in Sicilia. È un lavoro difficile I giornali veri li fanno i ragazzi che hanno meno di trent’anni. Messina non si è unita al nostro progetto editoriale, ma vedo che c’è qualche fermento culturale diverso nei blog. La Gazzetta, a mio avviso sta perdendo lettori ma non ha concorrenza. Quello è il problema. Fare un’informazione diversa.
Qual è il punto forte dei Siciliani giovani?
È fatto di giovani. Noi riusciamo a gestire il giornale attraverso punti dislocati. Tutti però apportano il proprio contributo. Alla fine i giovani d’oggi sono tutti disperati. Il mestiere del giornalista è difficile. Si naviga controvento. Le difficoltà sono immense. Noi per uscire in edicola abbiamo bisogno di 15.000 euro. Non sono tanti ma non si trovano. Noi abbiamo delle basi forti. Tizian e Capezzuto sono il vanto del nostro progetto. Pensa però che c’è una situazione assurda. Tizian è stato minacciato. All’indomani della scoperta di questa situazioni sono sorti comitati spontanei: “Siamo tutti Giovanni Tizian”. Ora questo giornalista ha ricevuto un contratto di un anno nelle testate nazionali. Alla fine, insomma, quello che stupisce è che nella lotta alla mafia siamo tutti spettatori e se fai qualcosa ti premiano con un contratto precario. Antonio Mazzeo, per parlare di Messina, è un giornalista che rischia infinitamente di più, eppure, nessuno ci pensa.
Quali sono gli obiettivi?
Intanto creare un’organizzazione solida. Bisogna saper fare tutto. Vedi i siciliani sono attorniati da un’aurea romantica. Tutti i giovani che vogliono collaborare chiedono di poter seguire delle inchieste. Alla fine bisogna essere disposti anche a correggere le bozze. Attualmente le cura una ragazza che sta in Messico.
In che senso aurea romantica?
Il mio direttore Pippo Fava è stato assassinato dalla mafia. Oggi, è ricordato solo per questo, eppure prima aveva fondato i Siciliani. Soprattutto di questo bisogna parlare.
Chi è il giornalista, oggi?
I giornalisti sono rarissimi. I redattori vecchio stile tendono a essere obsoleti. I famosi giri di cronaca non li fa più nessuno. Si basa tutto sulle fonti ufficiali, sul comunicato. Se si vogliono scoprire le sfumature, i particolari bisogna andare sul posto. Per esempio, un comunicato dei carabinieri dirà a tutti le stesse cose, ma se un cronista va a porre domande dirette allora I poliziotti cominceranno “a cantare”. Lì esce la storia.
Le inchieste?
Notizie ne esistono a milioni. Oggi manca l’approfondimento. Manca la piccola notizia, quella del quartiere. Il paese è fatto di microstorie. Nessuno in Italia hai mai pensato di intervistare un mussulmano se non terrorista. Con la rivoluzione tunisina si è capito che i musulmani sono religiosi quanto noi siamo cattolici. A volte credenti, ma non troppo praticanti. In questi giorni mi ha colpito un fatto la gente in Veneto è tornata a bere l’acquavite. Questo vale di più di mille prediche di Monti sul risparmio.
Quanto è lontano l’ideale di un’informazione libera?
Noi non viviamo in una società repressiva, ma chiunque di noi dipende dalla volontà di due, tre persone. Il problema non è solo Berlusconi. Del resto l’Italia è stata fatta prima. Lui fa parte di un sistema che ti dice: “Qui comando io”.
L’intervento di Antonio Mazzeo ha sottolineato la difficoltà del mestiere, tra precariato, querele e scenari inquietanti: “ Un particolare mi ha sconcertato. Dal 1 gennaio sono state notificate 112 illazioni a 245 giornalisti italiani. Ragazzi che lavorano per tre o quattro euro al pezzo, e che spesso sono costretti a emigrare al nord per fare il pizzaiolo o l’operaio. Noi da anni denunciamo, in un territorio che ha seri problemi di legittimità politica. Dove c’è la guerra io scrivo contro la guerra dove c’è la mafia io scrivo contro la mafia.
La situazione del Muos, ad esempio, a Niscemi è da considerare a livello nazionale. Io credo che la questione non sia stata affrontata per due ragioni. Dal un lato c’è una buona fede che riguarda i giornali e il giornalismo che non ha ben percepito la drammaticità di questo strumento di guerra. Dall’altro lato c’è un dato di fatto: la maggior parte dei soggetti che controllano le armi sono gli industriali. Quelli che regolano il mercato dell’informazione. Lo scambio diabolico è questo: ‘Se tu ti prendi le schifezze io ti apro le porte dell’America’. L’impatto sulla sicurezza è devastante per questo non si vuole che se ne parli”.
Alla fine risuonano le parole di Loredana Catalfamo, segretaria di Rifondazione Comunista che aperto i lavori dicendo”Il giornalismo d’inchiesta non esiste di più. Quello di Pippo Fava, Mauro Rostagno, Mauro De Mauro”. Quello che è chiaro, aggiungiamo noi, è che la libertà di stampa ci fa conoscere anche il grado di maturazione di una democrazia. Nel nostro paese, forse, qualche passo in avanti va ancora fatto, non solo in termini tecnologici.