Richiesta di scioglimento di un accordo mai attuato. Questa la sintesi della nota stampa che oggi 2 giugno Padre Pippo Insana, cappellano dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto e ancora attuale presidente della Casa di Solidarietà ed Accoglienza (CaSA), ha diramato a proposito della mai attuata collaborazione con la Casa Circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto.
“Il Consiglio di Amministrazione dell’Associazione di Volontariato CaSA – si legge nel comunicato –, riunitosi in data 24 maggio 2017 per fare il punto sulle attività dell’Associazione ha dovuto constatare grande disagio per continuare a collaborare nelle varie attività previste, programmate e concordate con gli operatori della Casa Circondariale (situata nei locali dell’ex O.P.G. “Vittorio Madia”, ndr) ormai da molti mesi, perdendo anche credibilità nei confronti dei volontari impegnati nei vari servizi disattesi”.
L’amarezza di Padre Pippo Insana sembra senza soluzione di continuità: innanzitutto, nella nota si allude alla situazione “abbastanza carente sotto diversi aspetti” della vita dei soggetti che sono detenuti nell’VIII Reparto. Per l’ex cappellano, queste persone sono “sempre chiuse nei tre repartini e nelle celle”, così da essere costrette a rinunciare quasi tutti all’ora d’aria. Questa situazione, che li porta a vivere “continui conflitti con operatori e tra di loro a cui seguono spesso incomprensibili castighi collettivi”, è aggravata dall’assenza di “attività di qualsiasi tipo”.
Nell’accordo firmato con la Casa Circondariale, a giugno erano previste le cene mensili: anche queste mai avviate. Neppure i volontari del progetto “Si può” possono svolgere le attività di sostegno, perché difficile è il loro ingresso per motivi di sicurezza. “Manca la continuità di gestione del Chioschetto – si legge ancora nel comunicato – e viene concesso il beneficio del permesso a due soli soggetti”.
Padre Insana, domandandosi quali siano i motivi per cui non sono state concretizzate le attività concordate ormai molti mesi fa attraverso un protocollo di intesa, conclude amaramente: “E’ giunto, forse, il momento in cui la Casa Circondariale comunichi in modo chiaro all’Associazione che, non essendo in grado di mantenere quanto concordato e sottoscritto, si dia fine alla collaborazione. L’Associazione impegnerà i volontari in altri settori, lasciando con dispiacere gli interventi nei confronti dei detenuti con disagio mentale”. Tutto questo nonostante tali soggetti conducano, secondo il presidente dell’Associazione, “una vita disumana, incivile, incostituzionale perché mancanti di un diritto qual è la cura completa per la loro patologia che, oltre l’assunzione di farmaci, deve essere completata da continua attività socializzante e riabilitativa”.
Leggi la risposta di Nunziante Rosania, direttore della Casa Circondariale [LINK]