Palazzo Comitini potrebbe essere un museo

10 aprile 2008, trasmissione “Porta a Porta”, il candidato e futuro premier Silvio Berlusconi annuncia che le provincie saranno tagliate, pronosticando un risparmio di circa 13 miliardi di euro all’anno per le casse dello Stato. Tre anni su cinque sono passati e le province sono ancora lì. Tutte tranne 10 a quanto pare, 10 su 110. La manovra finanziaria alla quale la crisi economica – che fino a ieri non c’era – ci ha costretti, ha spinto il ministro Tremonti a puntare alla razionalizzazione. 10 province, tutte con un numero di abitanti inferiore a 220mila, spariranno dalle cartine istituzionali del nostro Belpaese a quanto pare. Sono Biella, Vercelli, Massa Carrara, Ascoli Piceno, Rieti, Isernia, Matera, Crotone e Vibo Valentia. 1.577.351 abitanti spogliati dello straordinario contributo sociale ed amministrativo delle Provincie di riferimento, realtà istituzionali previste dalla Costituzione all’articolo 114, recitante «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni»: una disposizione alquanto scarna, naturalmente integrata dalle fonti legislative successive, primarie e secondarie. L’idea dei Costituenti era di allargare i riferimenti istituzionali dei cittadini, in modo da distribuire in maniera consona e razionale le competenze fra le varie istituzioni; la pratica politica si è dimostrata quella di una proliferazione di competenze ed attribuzioni di ruolo irrazionale ed ambigua, maschera dell’unica vera utilità attuale del settore provinciale, il mantenimento e l’ampliamento dei tessuti clientelari e della gestione malavitosa su cui si regge l’intero ordine politico nazionale. Almeno per il Sud, questa è roba certa.

Il mio primo anno come studente del liceo Galileo Galilei di Palermo fu l’anno delle occupazioni autunnali contro la riforma Moratti della scuola pubblica – le cui perfidia ed irresponsabilità sono state oggi ampiamente superate dalla discepola Mariastella – , ma allo sconcerto per le leggi omicide del Ministero si accompagnava quello per le condizioni delle strutture scolastiche, in particolare in riferimento alle scale antincendio che, l’anno prima del mio ingresso alla scuola media superiore, il non molto lontano 2003, erano state realizzate in ottemperanza alle norme nazionali sulla sicurezza nelle scuole – una barzelletta per chi frequenti le realtà scolastiche italiane – e che, incomprensibilmente, un anno dopo attendevano ancora il vaglio di sicurezza e la conseguente autorizzazione all’utilizzo da parte della Provincia. Oggi, 2011, terminata l’era Musotto e cominciata quella Avanti, gli studenti del liceo scientifico G. Galilei attendono ancora quella benedetta autorizzazione, con la certezza che, se davvero scoppiasse un incendio all’interno degli ambienti scolastici, nemmeno riuscirebbero a raggiungere i corridoi da aule prive di porte tagliafuoco in cui gli studenti stanno accatastati come fossero deportati dentro un treno diretto a Dachau. Questa è la mia esperienza soggettiva con l’amministrazione provinciale palermitana.

La realtà oggettiva è ben peggiore, d’altra parte, e si fa forte del semianonimato e dell’ombra dei riflettori di cui gode la Provincia rispetto a realtà come quelle del Comune e della Regione. Nell’ottica di un bilancio di 122 milioni di euro annui, la Provincia di Palermo – alla faccia della crisi, dei tagli, dei sacrifici, delle lacrime e del sangue – continua a violare i termini della legge Brunetta sul ricorso a dirigenti esterni da parte degli enti locali – il cui limite imposto è dell’8% del totale della dirigenza – , scavalcando anche le sentenze della Corte dei Conti al proposito. Su 33 dirigenti, 10 – evidentemente una percentuale che supera il 30% del totale, e con quattro nuovi innesti rispetto all’amministrazione Musotto – sono i dirigenti esterni, i cui stipendi si superano i 100mila euro lordi l’anno. 1 milione di euro annui per il mantenimento di 10 posizioni dirigenziali illegali, ed illegittime – in quanto per molti la carica si perpetua dal 2005, aldilà del limite di 2 anni imposto dal regolamento interno dell’amministrazione. Dalle battaglie legali che sono scaturite da tali “problematiche” la Provincia ha, inoltre, tratto la spinta per la ricerca del parere di due avvocati esterni – ed ai loro onorari – , Giuseppe Ribaudo ed Agostino Equizzi, rifiutando un fin troppo semplice e gratuito ricorso all’Avvocatura dello Stato di Palermo, obbligata per legge al patrocinio in favore delle «Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo». Come se ciò non bastasse, e come se a ciò non si aggiungesse – come sottolinea Accursio Sabella sulla rivista “S” – l’autentico dramma delle auto blu di Palazzo Comitini, 17 per un totale di 26 autisti, 16 dei quali dipendenti della società partecipata Palermo Energia, e la questione dell’Audi A6 da 54mila euro voluta dal Presidente Giovanni Avanti in sostituzione alla Bmw già in possesso dell’amministrazione, in quanto «a trazione posteriore», come se ciò non bastasse, compare la questione della “Provincia in festa” 2011, per la quale saranno spesi 1,5 milioni di euro. Ma la crisi c’è, e da qualche parte bisogna pur tagliare. E da chi si poteva cominciare? Dal 2008 ad oggi le spese di funzionamento delle scuole sono calate da circa 1.300 ad 800 euro, e negli anni i fondi per il diritto allo studio sono passati da 200mila a 40mila euro, mentre le scale antincendio del mio liceo attendono ancora un vaglio di sicurezza che non arriverà mai.

Fra un centinaio d’anni Palazzo Comitini potrebbe essere il museo ufficiale della Prima Guerra Civile italiana dell’età repubblicana, prodotta dalla dissolutezza della nostra classe politica.