Palazzo Piacentini fra Arte e Giustizia

Non è un periodo roseo per le istituzioni del nostro Paese. Sono continue le critiche e gli attacchi da parte dell’opinione pubblica, spesso rimbalzati, sempre meno velatamente, anche da personaggi pubblici e movimenti politici.  È  la società figlia della crisi economica e sociale, sempre più esasperata e frustrata dalle difficoltà quotidiane, che manifesta insofferenza e carenza di fiducia nei confronti di chi riveste ruoli pubblici. Nel mirino ci finisce di tutto, non solo le istituzioni “politiche”, ma anche quelle giudiziarie.

Anche e soprattutto per questo motivo, la sezione locale dell’Associazione Nazionale Magistrati di Messina ha organizzato la “Giornata della Giustizia – Il Tribunale apre alla città”. Sabato scorso, dunque, porte aperte a Palazzo Piacentini. Mattinata dedicata alla lectio magistralis del prof. Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte Costituzionale, incentrata sulla Costituzione Repubblicana e sul delicato ruolo dei giudici. Nel pomeriggio il rigore della Legge incontra la delicatezza dell’Arte, con l’attore messinese Maurizio Marchetti a dar voce a brani sui temi della giustizia, accompagnato dalla fisarmonica di Orazio Corsaro. In chiusura, i ragazzi del coro “Maurolico – Verona Trento” diretto da Dario Pino.

«L’idea della Giornata della Giustizia segue una riflessione nata in seno ad un’assemblea nazionale dell’Anm – spiega la dottoressa Maria Teresa Arena, presidente della sezione provinciale dell’associazione togata – in merito agli attacchi gratuiti di cui spesso è vittima la nostra categoria. Molti cittadini non credono più alla “giustizia”, per questo abbiamo deciso di aprire il Tribunale a tutti. A tutti, perché nessun invito istituzionale è stato rivolto, sfidando anche il rischio di vedere palazzo Piacentini tristemente vuoto. Vedere, invece, le aule piene ci ha fatto sentire meno soli. Perché ricordiamolo, noi amministriamo la giustizia in nome del popolo italiano».

Musica e voce, quindi, hanno guidato i presenti lungo un percorso articolato e controverso fatto di brani tratti da discorsi di uomini politici, giudici, poeti e scrittori. Obiettivo: stimolare una riflessione sul senso di responsabilità ed il tormento interiore di chi veste la toga. Un primo momento, intitolato “Il potere della giustizia”, ha visto protagoniste le parole del giudice “ragazzino” Rosario Livatino e di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica in carica l’anno della sua morte. Ma anche il cinema di Elio Petri, con una scena tratta da “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” o l’attualissimo libro di Marzia Sabella con Serena Uccello intitolato “Nostro onore – una donna magistrato contro la mafia”. Uno scrittore poco più che trentenne come Giorgio Fontana ed il suo “Morte di un uomo felice” apre il sentiero ad “Applausi a scena vuota” di David Grossman, che chiude la prima parte del monologo. E la fisarmonica tormentata apre la seconda parte, intitolata “Lo Stato siamo noi” dall’omonimo brano di Piero Calamandrei. Si incastrano ed amalgamano un attualissimo Giacomo Leopardi, ne “I costumi degli italiani”, un visionario – ed al limite della scomunica – don Andrea Gallo con il suo “Vangelo di un utopista” ed il principio dell’indignazione del diplomatico francese Stéphane Hessel. E dopo la lettura di alcuni articoli della Carta Universale dei Diritti Umani (1948), drammaticamente attuali nella loro incompiutezza, si chiude in poesia con Bertolt Brecht e “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Un concentrato di spunti di riflessione, quasi coltelli affilati lanciati contro le coscienze immobili. Una lezione di educazione civica – o alla civiltà – che dovrebbe essere portata in tour nelle scuole, per le strade. E perché no, nelle stanze delle istituzioni.