di Claudia Fucarino
Oltrepassando la via Vittorio Emanuele, in direzione mercato Ballarò nei pressi dell’antico quartiere ebraico, arriveremo alla via che un tempo fu il letto del fiume Kemonia: Via Porta di Castro. Nei pressi dellla via si trova l’ex convento dei PP. Gesuiti, oggi biblioteca comunale, che preserva, nei suoi misteriosi locali ipogei, la paleocristiana Catacomba di San Michele Arcangelo. Essa, costruita sulla sponda meridionale dell’antico fiume Kemonia, è un vasto complesso catacombale che ricade sotto la distrutta chiesa medievale di Santa Maria la Grotta, dove venne in seguito edificata la cinquecentesca chiesa di San Michele Arcangelo. La chiesa, oggi visibile in Piazzetta Brunaccini, fu probabilmente fondata con il titolo di San Michele de Indulcis, l’arcangelo guerriero adorato dai popoli dell’Europa settentrionale e della Normandia. Negli scritti di Inveges[1] risulta che in contrada Girio si ergevano ben quattro chiese: la Chiesa di San Michele di Indulcis, la Chiesa di San Leonardo (oggi intitolata ai santi Crispino e Crispiniano), la chiesa di Santi Cosma e Damiano e la Chiesa di Santa Maria de Crypta; quest’ultime facenti oggi parte della Casa Professa dei PP. Gesuiti.
Oltrepassando il portale rococò della Chiesa di San Michele si accede in una sala a pianta basilicale a tre navate con abside semicircolare. L’interno, oggi utilizzato come deposito dei libri della Biblioteca comunale, non conserva più alcuna opera d’arte visibile, sebbene la principale opera monumetale della chiesa risieda proprio nel suo sottosuolo. Si accedeva alla Catacomba per mezzo di una botola, situata nella cappella dei Sett’Angeli, a destra dell’altare maggiore.
Sono pochi e rari gli studiosi che hanno tramandono notizie certe relative alla Catacomba. Si tratta per lo più di numerose, vaghe e frammentarie descrizioni e testimonianze di uomini che ebbero la possibilità di entrare e conoscere i locali della catacomba.
In primis citeremo Agostino Inveges che, negli “Annali della Felice città di Palermo” del 1650, riferisce come in questo luogo, nel XVII secolo, fu ricercato il corpo di sant’Oliva, la cui salma arricchita da tesori fu sepolta dai cristiani provenienti dalla Tunisia. Due secoli dopo, Salvatore Mattei, nella relazione tecnica relativa alle opere di restauro da lui eseguite nel 1855 riferisce, invece, che dal mese di marzo del 1831 il sotterraneo risultava inagibile a causa dell’esondazione del fiume Kemonia.
Veniva descritto come un locale ipogeo, costituito dalla presenza di due vani contigui e comunicanti. Il primo, dalla particolare forma di Tempio cristiano, possedeva colossali muri incavati nella roccia e otto arcosoli polisomi per contenere tre o quattro sepolture simmetricamente allineate. In fondo tramite un gradino si accedeva ad una grande nicchia con altare coperto. Nella volta erano visibili accenni d’intonaco. Nell’altro locale si entrava tramite un passaggio stretto e basso, a sinistra della scala. Esso di dimensioni inferiori, ma con le stesse particolarità del precedente, fu tuttavia messo in comunicazione con il locale attiguo solo in seguito. É molto probabile, infatti, considerati i lavori di ampliamento dello spazio e la costruzione del basso sedile semicircolare, che esso fungesse da stanza del Refrigerium catacombale.
Per le modeste estensioni dei due ambienti e per il numero ridotto di sepolture, è facile supporre un uso limitato della catacomba ad un unico nucleo familiare.
Anche lo studioso ottocentesco Stanislao Cannizzaro dovette conoscere la Catacomba che descrive come una struttura ben lontana dalle moschee arabe per accordarsi perfettamente con le tipologie costruttive delle cripte e delle catacombe cristiane.
Di sicuro la catacomba di San Michele, così come la già descritta catacomba di porta d’Ossuna, visse un oscuro periodo di abbandono. Esso fu la causò di devastanti depauperamenti e saccheggiamenti, alla ricerca di fantomatici tesori, custoditi all’interno delle sepolture e certamente mai ritrovati, essendo la morte per i cristiani cattolici un dies natalis e quindi scevra da qualsiasi forma di vincolo materiale.
Non ci resta infine che citare lo studioso Morso, che nel 1718 visiterà la catacomba con il sagrestano della Chiesa. Sarà lo stesso studioso a tramandare il particolare aneddoto che ha come oggetto la catacomba di San Michele. Nel XVI secolo, al tempo dell’arcivescovo di Palermo Giovanni Paternò, numerose bare, custodite nella Catacomba, furono smantellate. L’allora sacrestano della chiesa fu “tanto mosso d’avidità di ritrovar denari, che ruppe dette bare..”. Non trovando nulla, decise di dipingere nella Catacomba l’immagine di Nostra Signora. Fingendo che trattavasi di un’immagine miracolosa, divulgò la notizia con lo scopo di attirare l’attenzione di tutti fedeli che, mossi dall’evento sorprendente, nel fare visita all’immagine miracolosa, avrebbero devoluto, com’era consuetudine, le elemosine al povero sacrestano, testimone e custode di cotanto prodigio. Ciò che accade fu sorprendente e quando il sacrestano si arricchì lo fu altrettanto. L’ingegnoso sacrestano, nel montare tale farsa, non poteva però immaginare che qualcosa di straordinario avrebbe però messo a soqquadro il suo astuto piano. Dopo essere fuggito con tutti i denari, il mal caputato dovette presto far ritorno. L’immagine da lui dipinta per far soldi, cominciò, a causa della sua fuga, realmente a lacrimare. Tale aneddoto suscitò una tale curiosità da spingere numerose persone a far visita alla Catacomba, come lo stesso Morso che, nel visitare la catacomba, non ometterà di riferire della presenza dell’immagine in fondo alla cappella, e darà una succinta ma dettagliata descrizione di tutto il locale ipogeo. Lo descrive, infatti, come un luogo composta da una stanza con otto minori cappelle, quattro per lato di grandezza diseguale. Attraverso una bocca molto stretta, di forma ovale, si accede ad un’altra stanza, con il tetto più basso rispetto la prima e anch’essa contenente delle tombe. Inoltre piccole nicchie incavate nella pietra hanno lo scopo di allocare le ampolline.
Questa ultima descrizione corrisponde perfettamente alla Catacomba, oggi conservata. A seguito dei lunghi restauri realizzati dalla Soprintendenza dei BB.CC. della Regione Sicilia, realizzati ben 5 anni fa, siamo ancora in attesa che essa venga definitivamente aperta al pubblico.
Spero che questo avvenga quanto prima e auspico che in futuro tanta gente abbia la fortuna di vedere e conoscere ciò che io, fortuitamente, ho avuto la fortuna di vedere e che oggi ho il piacere di descrivervi.
Per informazioni:https://facebook.com/ConoscereAmarePalermo
[1] Agostino Inveges nato a Sciacca nel 1595 fu uno storico siciliano definito “lo storico di Palermo”.