Cinema e realtà. Un pullulare di colori, suoni ed emozioni. Le distese del cielo si incontrano con quelle del mare come un quadro fatto di tinte forti e colori naturali. A Panarea però i colori maturano non solo il giorno, ma anche la notte, quando le prime luci dell’alba esplodono con tinte giallo e arancio. La notte invece le stelle scintillano nel cielo e il profumo di bouganvillee inebria i sensi. A Panarea c’è sempre una musica doppia: quella intonata dai gabbiani che si alzano in volo e quella della movida.
Ma l’isola non è solo quella raccontata dalla tradizione cinematografica meno nobile, è anche quella targata Michelangelo Antonioni, uno dei padri del neorealismo. Era infatti il 1960, quando il regista scelse questa location per girare parte del suo capolavoro “L’avventura”. L’ambiente selvaggio gli sembrò adatto per descrivere un tema a lui caro, quello dell’incomunicabilità, e sotto l’apparente casualità di sceneggiatura e riprese si nascondeva un disegno ben costruito, che rifletteva l’attenzione quasi maniacale che del regista ferrarese: “Non conoscevo Antonioni personalmente, ma ricordo un episodio che descrive la sua maniacalità. Lui e mio fratello avevano lo stesso modello di macchina, un’Aurelia B 20”, ricorda Luciano Colapinto, “e ogni settimana andava dal meccanico, il migliore di Roma, per farsi lucidare le cromature. Infatti la stessa pignoleria si riscontra nei film. Il suo cinema è tutto un modo nuovo di pensare il cinema”. Ma le radici del cinema eoliano affondando nell’abisso più profondo. Erano gli anni del dopoguerra quando il principe Francesco Alliata di Villafranca diede vita a una casa cinematografica indipendente, per dare luce alle prime riprese subacquee della storia del cinema. I documentari della Panaria Film, oggi quasi introvabili, hanno fissato su celluloide momenti importantissimi. Senza l’audacia di questi giovani rampolli dell’aristocrazia siciliana, Roberto Rossellini, Anna Magnani, Ingrid Bergman forse non sarebbero mai approdati alle Isole Eolie. Oggi, però, si ricorda solo il loro triangolo amoroso, la guerra dei vulcani e l’aspetto frivolo. La storia ha ceduto spazio al chiacchiericcio vuoto. Succede spesso. Se non ci fosse stato l’intervento del Centro Studi Eoliano e di giornalisti come Nino Genovese, oggi nemmeno i cinefili più nostalgici se ne ricorderebbero.
Benvenuti a Panarea. La perla delle Isole Eolie è rimasta negli anni immutata. Si cammina ancora a piedi nudi, si è illuminati dalle stelle e si resta disarmati davanti alla bellezza di Dattilo, Lisca Bianca e Spinazzola. Le acque del mare restituiscono la bellezza dei fondali e un giro in barca riesce a sospendere il tempo e lo spazio. Per molti anni, però, quest’isola è stata vittima di un’informazione sterile e mistificatrice. Le sono state incollati stereotipi e cliché: Panarea l’isola del “mordi e fuggi”, l’isola della perdizione e della movida. Panarea l’isola dei vip. Oggi, quando questi turisti mordi e fuggi vengono a Panarea, cercano la casa di Dolce e Gabbana, gli attori che camminano nelle vie e centrali. Non comprano nulla, sporcano e non contribuiscono all’economia. Ad agosto, l’isola arriva a ospitare tremila persone, anche se non ha la possibilità di contenere tutte questi villeggianti. Non esistono i bagni pubblici, e ogni anno si assiste alla stessa scena: bar che vogliono offrire il servizio dei bagni in cambio di una consumazione e turisti che non appena tornano a casa riversano i propri malumori sul giornale di turno, disposto a pubblicare tutto senza verificare e approfondire le notizie, come l’etica vorrebbe. Si sommano poi le etichette. Spesso si sconfina nella diffamazione. Nessuno dice nulla. L’isola, albergatori, commercianti, abitanti, intanto, accettano tutto passivamente, perché spesso non hanno il tempo della replica. “The show must go on” e i riflettori si spengono a settembre.
Destagionalizzare. Da qualche mese le speranze degli isolani si erano accese, quando la giunta capeggiata dal presidente della regione Rosario Crocetta aveva manifestato l’intenzione di programmare un turismo di lungo periodo. Non si è mai capito come e quando. Qui, intanto, si pensa a quali iniziative possano promuovere il turismo di bassa stagione. Il museo è chiuso. Non ci sono spazi ludico-ricreativi. E le buone intenzioni non bastano. Da anni, quest’isola si è sentita separata dal comune, dalla Regione, dallo Stato. Sembra che i diritti fondamentali non siano garantiti. Non pare ci sia stata l’evoluzione democratica. I bambini non hanno spazi per divertirsi, i vecchi spazi per giocare a briscola in cinque e i giovani spazi di espressione. L’unica distrazione resta la televisione, la tv-spazzatura, perché i giornali non arrivano. Il freddo gela i pensieri e li scongela in primavera, quando tutto comincia a rifiorire: la bouganvillea, i tinteggi, i lavori di manutenzione, i buoni propositi.
Le eccellenze. “Giampie’ sei bravo, da quanto tempo fai questo mestiere?”. “Da quando avevo quattordici anni”, mi risponde, “ma conta che questo è un mestiere che non vuole fare più nessuno. Troppi rischi. Basta uno sbaglio e muori. E’ successo l’anno scorso a Giacomo, un mio amico, a Gioiosa Marea. L’avevo sentito dieci minuti prima della tragedia”. “Cosa è successo ha questo tuo amico?”, ho incalzato io. “E’ morto, Claudia, fologorato, ma di quelli come noi non parla mai nessuno, perché quelli come noi sono nuddu ’mmiscatu cu nenti”. Queste poche parole tra me e Giampiero, che fa l’elettricista qui sull’isola, mi hanno ricordato che in Sicilia molti, quando non volevano proseguire gli studi, sceglievano di imparare un mestiere. Oggi forse questi discorsi sono un po’ anacronistici, perché semplici impiegati e laureati stanno sulla stessa barca, eppure, una volta avevi la possibilità di scegliere. Sapevi che le tue scelte potevano aprirti molte possibilità. Oggi, se tutto va bene, un laureato trova un lavoro in un call center. Sta succedendo a molti miei coetanei, i cui sogni sono strozzati dal paravento della crisi e da una politica inefficace. Inevitabilmente, ho pensato a Giacomo, e per questo ho voluto menzionarlo. Sotto questo grande cielo ognuno ha le proprie colpe: chi non ricorda, chi distingue le persone in base ai titoli e agli oneri e chi non va oltre la materialità delle cose. Ma a Panarea anche molti giovanissimi lavorano. Aiutano i propri genitori, zii e parenti. Salvatore, Antonio, Sabrina, Angelo li ho visti sempre faticare. Certo, prima delle notti targate Raya.
Le sfumature di un cognome importante. Ho conosciuto Puri da qualche anno. E’ una donna di origine filippina cui, scherzando, dico sempre che potrebbe diventare ambasciatrice dell’Onu per il suo Paese. Lavora con la famiglia DeBenedetti. Ho scoperto solo l’anno scorso, con molta sorpresa, che anche loro villeggiano qui.
Ero davvero curiosa di conoscere la signora De Benedetti di persona e quindi ho chiesto a Puri di farmi sapere quando Barbara Ghella DeBenedetti sarebbe arrivata sull’isola. Quel giorno è arrivato poco tempo fa. Armata di agenda, penna e tante domande in testa, sono andata a trovarla. La sua accoglienza mi ha spiazzato. Cadute le barriere del tu e del lei, ci siamo sedute al tavolo per parlare del più e del meno, della Sicilia, della bellezza di questa isola. La mia domanda è stata una: “Come mai vi siete sempre tenuti fuori dalla realtà di quest’isola? Non vi vediamo mai in giro. Insomma, se non avessi parlato con Puri non ne avrei saputo nulla”. Nel chiederglielo, tenevo a mente che molte persone che vengono in vacanza vogliono sul serio staccare la spina, ma volevo proprio capire il motivo di tanto silenzio: “Mia madre ha comprato questa casa settamtanni fa” mi ha risposto. “Per tantissimi anni ho registrato quello che accadeva su quest’isola. Da una decina non ho la possibilità di indagare. Ho la sensazione di avere la conferma di tutte le cose che ho immaginato. Quest’isola mi colpisce molto. Gli anni sembra non siano passati. Io credo che bisognerebbe pensare al lungo periodo, perché il clima lo permette. Sicuramente, dal punto si vista economico, è una grave perdita, ma sono sicura che la bellezza è rimasta così, quasi allo stato primordiale è merito dei siciliani. In questi anni ho imparato a rispettare le tradizioni, le idee, anche se molte volte non le condividevo. Non mi sento una Perseo che viene da fuori e che vuole dettare legge”. Poi, le ho chiesto, come testimone oculare della scoperta di quest’isola, di raccontare come si è creata questa immagine modaiola: “Io credo che la maggior parte della colpe le abbia l’informazione sbagliata, che ha alterato l’identità dell’isola, sempre vista come un luogo trasgressivo, del massimo divertimento. L’isola ha registrato tutto passivamente, fino a quando, negli anni che stiamo vivendo, sta dirompendo un turismo selvaggio. Negli anni ’80 e ’90 ricordo che c’era talmente tanta gente che non riuscivi a passare con un bicchiere. Mi ricordo che però questo turismo non portava tanta ricchezza. Si sbarcava e nemmeno si pernottava. Si arrivava al 24 agosto che si chiudevano le botteghe e le saracinesche dei negozi. Ora non c’è più questo fenomeno, però il fatto che quest’isola si sia ben conservata e sopravviva immutata a se stessa è un grande valore, che va rivalutato.
Multiculturalismo. Alla fine di questo viaggio, vorrei parlare di Latifa, dei suoi figli: Barah e Fedi, e della colonna portante di questa famiglia, Mohammed, che lavora sull’isola da dieci anni. Sono anche loro l’Italia, oggi, anche se per qualcuno ancora esistono pregiudizi ancestrali e arcaici. Lavorano qui, ma si sentono ospiti. Sarebbe davvero una bella evoluzione culturale se la gente si aprisse al prossimo, qualunque sia il colore della pelle, perché siamo tutti uomini. Voglio fare anche un breve accenno a Davide, nato in Italia da genitori shrilankesi, ha gli occhi neri e profondi. Ha una capacità dialettica non indifferente, capace di far impallidire qualsiasi linguista. Ama andare all’asilo. Ha un destro perfetto e secondo me diventerà un calciatore.
E’ un mondo nel mondo, variopinto e colorato, merito anche di Myriam Beltrami, la proprietaria del Raya, che considera tutti come suoi figli e non dipendenti.
Impressioni di settembre. A settembre, i tempi si dilatano e si allungano. E’ tempo di bilanci, partenze e saluti. Il sipario dell’informazione si apre solo ad agosto, per raccontare il chiacchiericcio vuoto e le ultime apparizioni vip. Degli isolani non parla nessuno, dei problemi nemmeno. Alla fine, si capisce che questo è un mondo talmente bello che bisogna accettarne pregi e difetti. Bisogna però tornare a parlare nelle tavole rotonde dei problemi dell’isola e delle sue esigenze. Non importa a nessuno che l’isola rimanga senza collegamenti e senza i servizi primari. Non importa a nessuno che il turismo selvaggio vada rivisto e monitorato, perché nuoce all’immagine dell’isola e a chi viene a visitare questo incantevole posto. Non importa a nessuno che Panarea sia una delle perle più belle delle Eolie e vada salvaguardata e rispettata. A me e agli isolani e a qualche altro importa.
Claudia Benassai
Foto di Adam Buttler
©ilcarrettinodelleidee/ RIPRODUZIONE VIETATA