Paolo Borrometi, un cronista da amare

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Paolo Borrometi è un giornalista siciliano, come tanti, ma anche come pochi.

Dopo una carriera che lo vede collaboratore dell’Agenzia Giornalistica Italiana (A.G.I.), fondatore de laspia.it, nonché scrittore di numerosi romanzi, Paolo è passato agli onori della cronaca con un lavoro di ricerca inflessibile e instancabile, riuscendo a scoperchiare numerose attività illecite nel ragusano, la sua provincia d’origine.

Come spesso accade quando si svolge bene il proprio lavoro, Borrometi non è stato, e non lo è tuttora, risparmiato da chi, quel lavoro, proprio non vuole farglielo svolgere.

Una lunga escalation di minacce, un furto in casa e l’incendio del portone, fino all’ultima aggressione che ha provocato al giornalista una seria lesione alla spalla: si trovava insieme al suo amato amico a quattro zampe, quando degli uomini incappucciati l’hanno aggredito.

La sua attività, che ha evidentemente scosso le dinamiche mafiose della provincia siciliana, ha reso quasi obbligatorio il suo trasferimento a Roma e il dover vivere, dal 2014, sotto scorta e lontano dall’amata terra.

In un mondo dove sembra sempre più raro trovare persone che amano semplicemente il proprio mestiere, al punto da mettere a repentaglio la propria esistenza per difendere un ideale di giustizia e legalità, Borrometi e quelli come lui continuano a rappresentare, pur nella loro semplicità di cronisti spesso bistrattati e sottopagati, uno spartiacque fondamentale tra quelli che Sciascia definiva uomini, ominicchi e quaquaraqua.

Raggiunto telefonicamente, in occasione della sua deposizione al processo contro le minacce di morte subite, non esita a raccontare, ancora una volta, perché ne varrà sempre la pena.

 

 

Secondo te,  ha senso,  per un giovane oggi, in Italia, voler fare il giornalista?

 

“Bisogna fare un passo indietro se posso permettermi, intanto sull’essere cittadini. Oggi in Italia io vedo sempre più ragazzi che non sono cittadini, ma succubi. Si girano dall’altro lato, non hanno interessi particolari.

Ha un senso importantissimo sognare di fare il giornalista. Io penso, e io spero, che ci siano sempre più ragazzi che si appassionino alle storie di Giovanni Spampinato, di Giancarlo Siani, di Peppino Impastato, tanto per citarne alcuni, che non sono da vedere come degli eroi ma sono da vedere come dei ragazzi che hanno cercato di fare il proprio lavoro e con il proprio lavoro, con il proprio impegno, sono diventati immortali non perché sono morti ma perché hanno reso immortale il loro lavoro, che è un qualche cosa di molto più bello, affascinante, importante della semplice professione. Poi è chiaro che se tu ti approcci al giornalismo come ci si approccia ad un lavoro d’ufficio, allora quello probabilmente non è giornalismo, ma un’altra cosa.”

 

Quante volte hai pensato che, in fondo, non ne valeva la pena?

 

“Tutte le volte che sono caduto, poi, però, ci si rialza e ci si rende conto che non solo ne vale la pena ma che un sogno è difficile da distruggere. Te lo possono tirare giù, te lo possono martirizzare, te lo possono cercare di rendere un incubo, ma se è un sogno, ed è tale, continua ad esserlo ben oltre le difficoltà. I momenti di delusione ci sono, i momenti di sofferenza ci sono, i momenti di solitudine, e potrei elencarne mille…eppure ad ogni momento di solitudine corrisponde poi un momento di fierezza, di confronto con le persone che ti scrivono, con i ragazzi che incontri, di studio delle sudate carte come si soleva dire, il confronto con le fonti, e a quel punto le guardi, le scruti, le annusi e ti rendi conto che non sono ne vale la pena ma è il mestiere più bello al mondo.”

 

Dopo tutto quello che ti è successo, riesci ancora a credere nel sistema politico italiano?

 

“Io penso che la politica sia una cosa seria, l’ho sempre pensato e continuo a pensarlo. Io penso che l’Italia meriterebbe di più e meriterebbe di più anche la Sicilia.

Penso che la Sicilia sia una regione di 5 milioni di abitanti per troppo tempo schiava di più o meno 7 mila mafiosi ma soprattutto schiava di una cultura mafiosa che è stata abbondantemente tracciata anche nella politica. Basti pensare a quello che sta accadendo in questi giorni: liste piene di impresentabili e non solo impresentabili giuridicamente parlando, impresentabili eticamente parlando. Penso a un ragazzo di 21 anni che si chiama Luigi Genovese.

Luigi Genovese si può tranquillamente candidarsi, come tutte le persone che hanno diciotto anni e che quindi hanno elettorato sia passivo che attivo. Il problema è un altro; io mi interrogo “Luigi Genovese, se non avesse quel cognome e si chiamasse Luigi Carnemolla, avrebbe la stessa platea?” E quindi, le sue ambizioni sono legittime, il problema è il sistema della raccolta dei voti, cioè uscendo dal caso specifico e riabbracciando ancora la situazione generale, il problema è che in Italia, in Sicilia a maggior ragione, e nelle regioni del Sud, qualcuno ancora è convinto che si possa scambiare il diritto per il favore e te lo fanno pesare soprattutto nel corso delle elezioni. Ci sono persone che sono raccoglitori di voti; penso alla famiglia Cuffaro, penso alla famiglia Lombardo, penso alla famiglia Genovese ma potrei fare mille esempi.

 C’è ancora qualcuno che pensa che quel diritto, quello del voto, possa essere invece un affare di famiglia, che possa essere un affare privato di qualcuno, che ci possano essere tanti soldatini che metti in fila che vanno a votare sempre gli stessi cognomi al di là del nome proprio della persona, e questa è una follia. Io non faccio politica, io faccio il cronista, però penso che fare giornalismo libero voglia dire interessarsi della propria collettività, ecco perché esprimo solo e unicamente la mia opinione, ed ecco perché, non oggi ma qualche giorno prima della presentazione delle liste, io feci proprio un articolo nel quale scrivevo tutti quelli che, secondo me, eticamente prima ancora che giuridicamente fossero impresentabili. Mi spiace che quegli impresentabili li ho trovati tutti schierati, uno sull’altro, nel corso della presentazione delle liste.”

 

Sono anni che si parla e si fa antimafia: è cambiato qualcosa in Sicilia?

 

“E’ cambiato tanto nella coscienza civile e lo spartiacque sono state le stragi. Quella meravigliosa antimafia, che è l’antimafia della quale sono innamorato, quell’antimafia sociale, quell’antimafia che portò le persone a indignarsi, a passare dalla indignazione alla legittima e meravigliosa voglia di dire ‘no, basta, noi non siamo mafiosi, noi non siamo quelli che fanno saltare chilometri e chilometri di autostrade’. Quei giudici erano la speranza più bella per la Sicilia. Poi, pero’, purtroppo qualcosa è cambiato e qualcuno, la mafia, ha pensato che potesse utilizzare  l’antimafia per i propri servizi e lì c’è il problema. Io penso che l’antimafia sia una cosa seria, ma non sia un mestiere. Penso che l’antimafia sia qualche cosa che ognuno di noi deve incarnare da dentro, come l’essere cittadini. Io non posso pensare che ci sia un siciliano che sia lontano dall’antimafia perché se è lontano dall’antimafia è grigio, e se è grigio vuol dire che è mafioso.

Io non sono d’accordo quando si dice che chi si gira dall’altro lato non abbia la stessa responsabilità dei mafiosi, anzi. Chi si gira dall’altro lato ha una responsabilità più grave dei mafiosi, perché nei fatti li sta facendo vincere, nei fatti sta tutelando i loro interessi.

La lotta antimafia deve essere incarnata da ognuno di noi. Giovanni Falcone diceva che la mafia ha avuto un inizio, un suo sviluppo e avrà una fine. Io sono convinto che Giovanni Falcone avesse ragione, però voglio aggiungere una cosa. La mafia non ha avrà mai fine se non avrà fine quell’atteggiamento mafioso, che è peggio della mafia stessa, e che, purtroppo, a noi siciliani soprattutto, troppo spesso, piace.”

 

Quanto tutto quello che hai vissuto ti ha cambiato? Quanto ha influito sulla tua vita il dover vivere lontano da casa e affetti?

 

“Io continuo a sognare una passeggiata in spiaggia, nella mia spiaggia di Sampieri, mano con mano con una ragazza, che sia magari la donna della mia vita, e con il mio cagnolone. Questo desiderio, questo sogno, mi è precluso ma so bene che un giorno arriverà, quel giorno. Arriverà quando ci saremo resi conto che non è la battaglia di Paolo Borrometi, di Lirio Abbate, di Giovanni Tizian, cioè dei tanti colleghi che vivono questa situazione, ma è la battaglia di ognuno di noi. Mi pesa tanto.

Si dice che io, in verità non sia un uomo libero perché fisicamente non sono libero, perché devo organizzare la mia vita, perché sto con 5 carabinieri che mi guardano con 10 occhi, ovviamente affettuosi. Io pero’ dico una cosa; io la sera torno a casa, magari lontano da casa, magari lontano dai miei affetti, ma mi guardo allo specchio e mi vedo la coscienza pulita. Io penso che la libertà non sia solo la libertà fisica, ma la libertà più bella, più importante, più determinante per la vita di ognuno di noi sia la libertà di pensiero, la libertà di parola e la libertà di azione.

Io quella libertà la sento forte e la rivendico. Quella libertà è la mia libertà. E’ pesante ma ne vale la pena. “

 

Come diceva il celebre Sallustio “Pochi uomini desiderano la libertà; molti uomini si augurano solo un padrone giusto.”

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