Sono 220 mila a soffrirne in Italia, 20 mila solo in Sicilia. Si tratta delle persone colpite dal morbo di Parkinson, la patologia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer che intacca soprattutto la sfera motoria, compromettendo le capacità di movimento. Grazie ai progressi della medicina, oggi, si può donare dignità ai soggetti che ne sono affetti e che possono svolgere moderatamente le proprie attività.
Nell’ambito del progetto “Conoscere la ricerca, sperare nel futuro”, è previsto giovedì 10 dicembre alle ore 16, al Palacongressi del Policlinico di Messina, un incontro con l’obiettivo di informare i pazienti e i familiari sulla malattia, sulle opportunità di cura e sul futuro della ricerca e dare nuove speranze ai malati e a chi se ne prende cura.
Fra i relatori, il presidente nazionale dell’Associazione parkinsoniani Gianni Pezzoli; il direttore della sezione Aip-Area dello Stretto, Antonino Romano; il direttore di Rai Sicilia Salvatore Cusimano che farà da moderatore e diversi esperti del Policlinico.
Le terapie disponibili non permettono di ottenere la guarigione ma consentono di migliorare la vita dei pazienti, grazie a una crescente efficacia nel controllo dei sintomi e un impatto ridotto degli effetti collaterali. “Fino ad oggi le terapie per la malattia di Parkinson” – sottolinea il prof. Letterio Morgante, associato dell’Università di Messina, facoltà di Medicina e Chirurgia dipartimento di neuroscienze, Scienze psichiatriche e anestesiologiche – “sono state terapie sintomatiche che non influenzano affatto la progressione della malattia ma migliorano la qualità di vita. La speranza per il futuro è che ci sia la possibilità di ottenere dalla ricerca dei farmaci in grado di avere anche un effetto neuroprotettivo” .
L’iniziativa, realizzata con il contributo di Novartis, leader nell’area delle neuroscienze da più di 50 anni, attiva nella ricerca e sviluppo di nuovi composti, impegnata a rispondere alle esigenze mediche non ancora soddisfatte e a sostenere i pazienti e le loro famiglie colpiti da questi disturbi.
Le persone colpite dal Parkinson manifestano: rigidità, lentezza dei movimenti e tremore, sintomi principali di un’evoluzione progressiva ma lenta. La malattia ha un esordio solitamente insidioso, con disturbi non specifici per cui spesso passa inosservata per qualche tempo prima della diagnosi.
I sintomi motori sono sicuramente i più avvertiti e riconoscibili ma a questi sono spesso associati anche disturbi cognitivi. La progressione determina una significativa disabilità con un considerevole impatto di tipo economico e sociale: oneri sulla vita familiare, perdita di reddito e prematuro ritiro dal lavoro sono tra le conseguenze più frequenti.
A tutt’oggi, il farmaco più efficace nel trattamento è la levodopa: precursore della dopamina, un neurotrasmettitore che viene a mancare nei pazienti parkinsoniani. Le nuove ricerche in campo farmacologico hanno consentito di mantenere una stimolazione dopaminergica continua utilizzando una formulazione di levodopa che contiene anche un inibitore delle COMT, sostanza che impedisce la degradazione periferica della levodopa, rendendo più stabili le concentrazioni del farmaco. Questa formulazione prolunga l’efficacia della levodopa, migliorando le fluttuazioni motorie che intaccano la qualità della vita dei pazienti. E’ inoltre possibile, in questa fase di malattia, aggiungere alla levodopa altri farmaci come gli inibitori enzimatici delle MAOb e i dopaminoagonisti sempre nella prospettiva di una stimolazione dopaminergica più continua. Nei casi più gravi, è possibile utilizzare pompe per introdurre farmaci in infusione continua. Infine è possibile utilizzare anche un approccio chirurgico, non lesionale, che prevede l’introduzione nel subtalamo di un agoelettrodo stimolatore.
Nell’ambulatorio Parkinson del Policlinico universitario di Messina, l’equipe diretta dal prof. Letterio Morgante, vice presidente nazionale della Limpe ha potuto illustrare ad alcuni pazienti e familiari le attuali opportunità farmacologiche che la scienza offre oggi per rallentare e controllare la malattia non per bloccarne l’evoluzione, rimedio che medici e soprattutto malati sperano prima o poi possa essere trovato.
“E’ importante saperne di più – sottolinea il prof. Morgante – perché molti collegano la malattia di Parkinson unicamente al tremore che colpisce soprattutto una mano del paziente mentre la malattia denuncia la progressiva morte dei neuroni, cellule nervose situate nella cosiddetta sostanza nera, una piccola zona del cervello che, attraverso il neurotrasmettitore dopamina, controlla i movimenti di tutto il corpo. Oggi, riusciamo a controllare meglio i sintomi e in qualche caso a rallentare la progressione ma non ancora a bloccarla perché complessi i meccanismi che interagiscono”.