“Perché a noi la mafia ci piace!”

“Diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo, ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia, e tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscatu cu nenti.”

Questo discorso è tratto dal film “I cento passi”, film che racconta la storia di Peppino Impastato, uno degli eroi che la mafia ha ucciso, uno degli eroi che è morto in nome di un’Italia più giusta. Per fortuna l’Italia, nonostante tutti i cambiamenti, ha ancora tanti eroi che combattono per la giustizia, anche se i nemici da combattere non sono più armati di mitra o fucili, bensì passeggiano tranquillamente per le strade indossando eleganti abiti scuri.

La mafia infatti oggi non è più quella di una volta, non fa più attentati, non uccide centinaia di persone, la mafia adesso si occupa dell’economia, del mercato mondiale, si occupa di esportare e importare droga, si occupa di entrare in politica e raggiungere i vertici più alti, la mafia oggi si cela sotto un manto di perbenismo invisibile agli occhi poco attenti degli italiani.
Una delle poche “tradizioni”che la mafia continua a rispettare è il pizzo: l’estorsione, operata ai danni di un commerciante o di un imprenditore, di una percentuale sull’incasso o di una quota fissa in cambio di una “maggiore sicurezza” garantita dal mafioso.

Ma quando nasce il pizzo?

La sua nascita risale alla fine dell’Ottocento per opera del boss palermitano Vito Cascio Ferro, ed è per questo considerata la più antica attività mafiosa attualmente praticata. Vito Cascio Ferro è stato uno dei primi boss siciliani a tessere una fitta rete di collegamenti tra “la mano nera americana”, il più potente sistema di racket presente nelle città statunitensi e canadesi, e la mafia siciliana.
L’origine della parola in realtà si deve al testo teatrale “Li mafiosi di la Vicaria” , lo stesso testo in cui per la prima volta il termine “mafioso” prende il significato attuale. Le prime estorsioni venivano operate richiedendo ai piccoli proprietari terrieri una parte del loro raccolto, in un clima in cui era difficile che questo bastasse per il sostentamento della sola famiglia. Si racconta che i mafiosi chiedessero alle loro vittime di permettere agli uccellini di beccare qualche chicco di grano per non morire, da questo aneddoto deriva l’utilizzo della parola pizzo per indicare l’estorsione. Letteralmente, infatti, il termine pizzu significa becco, da questo ha origine l’espressione “fateci bagnare u’ pizzu” usata dai mafiosi per chiedere il pagamento alle povere vittime.

Per la mafia l’estorsione costituiva la base dell’attività in quanto rappresentava un introito sicuro su cui basare i propri investimenti o lo svolgimento di altre attività criminali. Dai cittadini non veniva classificato come un vero e proprio reato, ma costituiva una sorta di tassa necessaria per continuare a vivere serenamente: proprio questa rassegnazione ha permesso che il pagamento del pizzo diventasse una delle principali fonti di guadagno e di controllo del territorio da parte della mafia. Coloro che si ribellavano alla mafia subivano intimidazioni, danni fisici o economici e a volte potevano anche essere uccisi o pagare con la vita di uno dei propri cari.

Partito dalla Sicilia e dalla Calabria l’estorsione è un fenomeno che adesso è presente in tutta l’Italia, anzi, le zone di maggiore interesse sono diventate proprio le regioni nordiche. La crisi economica presente nel paese infatti ha influito anche sul sistema mafioso: le imprese al sud non garantiscono più una solida base di guadagno, è stato necessario così, anche per la mafia, emigrare in zone più ricche, dove l’imprenditoria e l’economia sono fiorenti. Inoltre, è proprio nelle regioni in cui il fenomeno è nato che è iniziata la lotta al racket, tramite la costituzione di diverse associazioni che si impegnano a creare una coscienza sociale e, allo stesso tempo, a diffondere l’idea di una società in cui si è liberi di fare economia senza essere strettamente legati alla mafia.

Attualmente quindi la coscienza degli italiani, in merito al pizzo, è diversa rispetto a quella dei primi anni del novecento, i commercianti e gli imprenditori spesso sono portati a rifiutare il pagamento. Piegarsi una sola volta a tale ricatto, infatti, implica una perdita della propria libertà, implica l’inizio di una schiavitù a cui si è condannati per il resto dei propri giorni, una schiavitù che comporterà il pagamento di un prezzo sempre più alto. Oggi, quindi, non conviene lasciarsi sottomettere dalla criminalità, conviene denunciarla e collaborare con la giustizia: le vittime di estorsione, grazie alla legge 44 del 1999, possono attingere a un contributo in relazione al danno subito.
La storia del pizzo è una storia di paura, di sottomissione, di rassegnazione, una storia che racconta gli italiani per quello che erano e purtroppo, a volte, sono ancora, ma allo stesso tempo, una storia che fa emergere figure come Rocco Chinnici, magistrato assassinato dalla mafia, Silvana Fucito, prima donna che ha avuto il coraggio di ribellarsi al pizzo, i ragazzi palermitani che hanno fondato l’associazione Addio Pizzo, e tante altre figure che si sono battute e tutt’ora si battono per garantire un’economia libera nel nostro paese.