C’è anche Peter Pan tra gli ospiti del Centro Diurno “Camelot”. Si arrampica nella libreria dipinta all’interno dei locali dell’ex Ospedale Psichiatrico “Mandalari” ed accoglie gli utenti in un’atmosfera fiabesca e, allo stesso tempo, rilassante e familiare. Non è un intreccio tra favola e leggenda epica (malgrado il richiamo a Camelot quindi ai Cavalieri di Re Artù) ma la storia di una struttura che si converte in un progetto costruttivo e di inserimento dei malati psichiatrici e di cui si aveva paura a pronunciare persino il nome.
I “manicomi“ sono spariti in Italia da ben 31 anni, da quando nel 1978 è entrata in vigore la legge Basaglia. Pochi sanno che questa imponente riforma sanitaria disponeva non solo la chiusura dei cosiddetti “M” ma anche l’introduzione dei “Gruppi Appartamento” ovvero gruppi ristretti di tre persone destinate a convivere e rinascere attraverso la riconquista dei propri diritti e la consapevolezza delle competenze individuali. Nella provincia di Messina, ne esistono ben cinque: uno ad Oliveri, due a Barcellona P.d.G., due in città. L’esperienza di queste realtà, fino ad oggi in tutta la penisola, è risultata insoddisfacente tranne alcune eccezioni.
Il centro diurno, localizzato nell’area della “Cittadella della salute” sul Viale Giostra, rappresenta uno sguardo al futuro delle problematicità mentali che vengono riversate nell’arte e, in una certa misura, combattute dal valore stesso dell’arte. La pittura, il teatro, la danza sono solo alcune delle molteplici attività che arricchiscono i pazienti di “Camelot” e di cui possono usufruire in modalità semiresidenziale. Chi frequenta il centro ha la possibilità di tornare come e quando desidera potenziando le proprie abilità, a volte, nascoste o che vanno recuperate attraverso un sensibile lavoro di ricerca. Il tetro passato di emarginazione è solo un lontano ricordo di chi non conosce o non vuole conoscere le speranze di integrazione dei soggetti psichiatrici. E’ corretto ricordare che esiste un altro centro diurno a Santa Lucia del Mela, nato qualche anno dopo rispetto a quello cittadino e che opera con alcune attività simili al suo predecessore.
Il plesso di Camelot è stato ricavato dai locali della vecchia cucina dell’ex ospedale psichiatrico mentre gli stessi pazienti hanno contribuito a dare un tocco personale all’arredamento. Alcuni mobili sono stati donati dalle suore e qualche reperto del nosocomio è stato rivisitato con le tecniche dell’arte: così un vetusto armadietto dei farmaci è stato dipinto trasformandosi in una bacheca fiorata dove conservare le sculture degli utenti oppure una sedia è diventata un contrasto tra cielo e prato. Ancora oggi, sono appesi alle pareti i quadri che gli ospiti hanno realizzato sulle lenzuola utilizzando gli acquerelli, all’epoca in cui erano ricoverati tra il 1991 e il 1997. In quel periodo, persino le ragazze dottorande che hanno dipinto gli affreschi presenti nella nuova struttura hanno dovuto lavorare tra i pazienti incuriositi. Da una parte le pittrici hanno superato le loro paure, dall’altra i degenti hanno capito che anche loro potevano esprimersi con i colori.
“Gli utenti sono legati a “Camelot” con un filo di seta – commenta Matteo Allone, responsabile del centro. Non c’è distinzione tra la persona sana e malata: ognuno è libero di impegnarsi nell’arco della giornata con le attività più congeniali al proprio modo di essere. E’ finita l’epoca in cui i pazienti si crogiolavano nella loro malattia – continua Allone – vagando nei casermoni e fumando “a più non posso”. Il loro tempo era scandito dalle ore di colazione, pranzo ed igiene personale. Da diversi anni, possono scegliere di dipingere, suonare, recitare e, perché no, andare anche a cavallo ma, soprattutto in ogni locale della struttura, trovano strumenti e personale adeguati per comunicare sensazioni e pensieri”.
“Le emozioni possono anche materializzarsi attraverso l’Arteterapia ed assumere le “Forme della Terra”- ribadisce lo specialista. I pazienti hanno lavorato con le pietre e hanno creato ciò che la loro mente vedeva in assoluta libertà”.
“Una innovazione rispetto al passato è la “Cinematerapia” – spiega Allone. Attraverso un cineforum selezionato intitolato “Il viaggio notturno dell’Eroe”, abbiamo organizzato una serie di incontri con i pazienti seguiti da due operatori, oltre che da me, in modo che, nei diversi momenti della proiezione, scaturisca un dibattito, emerga il loro percorso emozionale, a volte oscuro, per poi ritrovarsi. In linea con le attività di sviluppo verbale, è previsto, una volta a settimana, il laboratorio “Alchimia della Parola” nella stanza di Peter Pan, battezzata “Tra Fantasia e Realtà”: indirizzati dagli operatori alla lettura di racconti ed articoli di giornale, gli utenti imparano innanzitutto ad ascoltare le proprie voci, a concentrare l’attenzione, a vivacizzare la memoria e a comprendere gli argomenti in comune per la conversazione”.
Nello stesso ambiente, si pratica il “Laboratorio musicale” in cui si educa all’ascolto profondo della musica che diventa un mezzo per esternare le proprie emozioni attraverso il connubio suono-silenzio. Nell’interazione tra note e sguardi, si percepisce la forza del linguaggio non verbale e del lavoro di gruppo.
“Non si può sottovalutare l’attività ginnica per un recupero psico-fisico – afferma lo psichiatra. Così i pazienti svolgono, due volte alla settimana, con personale specializzato sia attività motorie da palestra o in piscina: sicuramente un passo avanti per la riabilitazione corporea e per la socializzazione. Certe goffaggini vengono elaborate ed annullate attraverso il movimento creativo.”
In ultima analisi, l’Ippoterapia rappresenta un momento importante per la consapevolezza di sé attraverso il contatto diretto con il cavallo: l’ospite del centro acquista sicurezza dalla relazione con un elemento esterno che è l’animale.
Al di là di questo quadro suggestivo di terapie, bisogna urlare al mondo una verità: l’offerta sanitaria per le malattie psichiatriche deve essere variegata. Non esiste una problematica uguale ad un’altra. Per questo, nel 2000, sono nate le STAR, strutture residenziali che hanno la caratteristica di vere e proprie villette a uno o due piani, dotate di giardino o parco. A dirlo è il dott. Biagio Gennaro, direttore del DSM di Messina.
“Le STAR sono state inventate nella città dello Stretto – riferisce. Non si registrano altri esempi in Sicilia. Ce ne sono ben 14 per un totale di 84 persone. Ognuna non ne può ospitare più di sei. Inizialmente, ne sono sorte cinque, tutte nella Valle del Mela. Da lì, è seguito un processo di trasformazione fino ad arrivare ad una struttura libera a contatto con la gente. In queste ville, si cucina, si fa la spesa e giardinaggio ( nei casi in cui è possibile comunque accompagnati dagli operatori ). Si punta a restituire gli utenti al contesto di provenienza, nel 90% dei casi. Il personale è fornito dalle cooperative sociali mentre gli specialisti svolgono solo turni notturni”.
Altra realtà particolare è quella delle CTA ( Comunità Terapeutiche Assistite ) con 20 posti letto dove predomina l’aspetto medico . All’interno, è previsto solo personale sanitario ed ausiliario.
“Ce ne sono tre in tutta la provincia: una al Mandalari, una a Terme Vigliatore, una ad Oliveri – rivela Gennaro. Sono nate subito dopo la chiusura dei manicomi e sono utilizzate per inserire soggetti con patologie critiche e floride, magari senza famiglia”.
“Non si può non segnalare la presenza delle “Comunità Alloggio” – incalza il direttore. Sono un’altra realtà residenziale, una sorta di case allargate gestite dalla cooperative sociali. Sorgono poco prima della chiusura del Mandalari. Queste non sono dotate di personale sanitario ma sono a carico esclusivo delle cooperative e dei comuni. Ecco l’altra faccia della medaglia: attualmente, l’amministrazione comunale dichiara di non poter più pagare le rette di questi operatori. Intanto, non si possono rifiutare altri ricoveri, se necessari”.
Una sfaccettatura tragica che deve fare i conti con l’esistenza dei malati.
“Esistono quadri clinici gravi che non possono essere guariti – aggiunge Gennaro. La nostra battaglia è contenere la malattia. I pazienti critici non vengono mai abbandonati dai servizi. L’obiettivo è di dare dignità e un livello superiore di benessere. Da questo punto di vista, le “Comunità Alloggio” sono adatte a questa finalità perché sono piccole e maggiormente controllate. Ma le STAR restano le migliori strutture per l’integrazione sociale.”
E’ormai riconosciuto che l’arte tenta di alleviare le più varie problematiche della sfera umana. Bisogna comunque sostenere tutti i metodi ed l centri che aiutano il recupero dei pazienti psichiatrici. Resta il fatto che quando l’anima è ammalata vuole la bellezza per curarsi.